Sotto il Fujiama, simbolo del Giappone imperiale e imperialista Sea of Trees, la foresta dei suicidi |
Cannes
Oggi giorno soleggiato per Nanni Moretti, molto applaudito alla prima stampa di Mia madre, e ieri cielo nero per Gus Van Sant, accolto da un'ondata di “buu” che ha sommerso i flebili battimani al termine di The Sea of Trees. Entrambi i film corrono per la Palma d'oro, entrambi i registi l'hanno già vinta.
Matthew McConaughey in Sea of Tress di gus Van Sant |
Il film prosciuga la narrazione e
stringe l'inquadratura sulla questione che sta più a cuore al
regista, l'esistenza impalpabile e sfuggente che neppure il
professore di fisica Arthur Brennan riesce a decifrare nella sua
lavagna di algoritmi, qualcosa che chiede al cinema di scovare, darle
forma, renderla visibile. Qualcosa di condiviso tra Mia Madre
e The Sea of Trees, tutti e due indagatori della zona tra
aldiqua e aldilà, esaltanti antidoti del lutto.
L'inquadratura si stringe sull'uomo,
Matthew McConaughey, solo corpo in campo radiografato in primissimi
piani a coglierne il passaggio emotivo, tanto che la storia (scritta
da Chris Sparling) resta sfocata, espediente per arrivare nel “luogo
ideale dove morire”, il mare di alberi di Aokigahara, vista in
“cartolina” dall'alto perché il Giappone ha negato il set
del “suicidio perfetto” ( e Van Sant se n'è andato in
Massachussets).
Arthur Brennan ha consultato Internet e
deciso di partire per Tokyo con un flacone di sonniferi, sua moglie
Joan (Naomi Watts) è morta, ma non è per questo
vuole andarsene dal mondo. E' perché ha sprecato un'occasione,
come il fantasma kamikaze di Restless che dimenticò di
consegnare una lettera d'amore. E perso il tempo di vivere,
dilapidato i giorni nella banalità di gesti e parole, come un
film che fa spettacolo e accumula fotogrammi incerti. Sarà la
foresta a battere il tempo e a dare senso alla storia di Arthur
Brennan.
Cadaveri semi-mummificati, scheletri,
corpi appesi nel buio, il bosco roccioso è una tomba aperta,
ma nella griglia di alberi e cespugli si muove uno spettro, Takumi
Nakamura ( Ken Watanabe) aspirante suicida pentito, che fermerà
Arthur alla seconda pillola. L'uomo sanguinante chiede aiuto, e
coinvolge l'altro in una corsa per la sopravvivenza. Segnali magici
spuntano nella foresta, un'orchidea a testimoniare la perdita di una
vita, una canzone, un rebus di parole, e i discorsi avvinghiati ai
due uomini, lo scienziato scettico e il samurai mistico... In comune
la favola di Hans e Gretel e il sentiero verso la salvezza.
Niente new age, la spiritualità
laica di Gus Van Sant si sprigiona nell'abbraccio amoroso tra il
giapponese che viola la tradizione del disonorato (ha perso il
lavoro) e l'americano restio a credere a ciò che non vede.
Feriti, ghiacciati dal gelo della foresta, i due sembrano su un
terreno di guerra, mormoranti confidenze e segreti. In flashback le
fasi del conflitto tra Arthur e Joan, il risentimento perché
lui l'ha tradita, incapace di dirle l'amore. E poi la tragedia che
non lascia margini di ripensamenti.
The Sea of Trees, quarto titolo
di Gus Van Sant in gara a Cannes, va alla ricerca del punto della via
d'uscita dal labirinto mortifero, una mappa incisa sulla carne di
Arthur Brennan (performance impareggiabile di McConaughey) che non sa
qual era la stagione e il colore preferiti dell'amata, “non la
conoscevo”, rivelati post-mortem dagli ideogrammi dello spettro
(non c'è traccia di lui, non è mai entrato ad
Aokigahara) che tradotti suoneranno così: “inverno” e
“giallo”.
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