martedì 29 ottobre 2013

Roma tromatizzata da Lloyd Kaufman, il vendicatore del cinema indie

Don't worry, we will continue to lose money for a long time to come because we love our fans! (Lloyd Kaufman)

Quale è il film più Tromesco dell'anno? "Lincoln, di Steven Spielberg" (Lloyd Kaufman)


di Roberto Silvestri

Stanley Lloyd Kaufman jr.
Stanley Lloyd Kaufman jr. a Roma. Grande festa. E' il primo invito ufficiale. E' arrivato il patron della Troma, da 40 anni simbolo del cinema più indygesto, libero indipendente splatter (non manca mai una gamba spaccata e spezzata che vola, non mancano mai le automobili che fanno le capriole e vanno a pezzi, nei suoi film) autonomo e scomodo d'America. Le sue commedie splatter (e quelle che produce) sono puntute, animaliste, anti razziste, anti sessiste, anti nucleari ma di un grande e bel cattivo gusto, sono poesia pura già solo nei titoli, The Good, the Bad and the Subhumanoid, Terror Firmer, Surf nazis must die Tromeo and Juliet, per esempio. E ha dato magnifiche lezioni di cinema, in due giorni, per giovani filmaker svegli, a Cinecittà, in via Tuscolana 1055, sede del Nuct, scuola privata finanziata dallo stato... "Peccato, solo sei ore in tutto, avremmo voluto godercelo molto di più" ci confessa un allievo dei corsi, un giovane musicista italiano che vive all'estero perché in Italia non si può fare proprio nulla di serio. Ma Kaufman è molto occupato sul set. Sta girando in questi mesi anche come attore una grande quantità di film (in uno fa l'ubriaco, in due il presidente degli Stati Uniti, in uno Hitler...). "Ma sono tutte produzioni di amici, no budget. Non prendo una lira, non come ai tempi di Avildsen, di Joe, Rocky, Il pornocchio...".

Pat Swinney. Al fianco di Lloyd, biondissima, 'lady Butterfly', sua moglie Pat Swinney Kaufman, per oltre 30 anni leader della Film Commission newyorkese e prima di andare in pensione presidente delle Film Commission di tutto il mondo. Andare in pensione? Non si direbbe. Sembra una Super Tromette! Troma è, evidentemente, un elisir d'eterna giovinezza. I film Troma sono girati in esterni in New Jersey. E' lì che ha sede l'immaginaria città di Tromaville (la città dove i polli si trasformano in zombie). Nessun conflitto di interessi, dunque. L'incontro con Lloyd e Pat è a piazza Navona. Mi parlano delle loro tre figlie, tutte filmaker. Ma lei sa tutto anche sul conflitto artistico Bernini/Borromini. Della chiesa di Sant'Agnese e della statua berniniana terrorizzata dalle architetture sovrumane e subumane del grande artista svizzero-barocco che stanno per cadergli addosso... Barocco è anche lo spazio Troma. Inquieto. Mutante. Con corpi in metamorfosi continua. Grandi spinte dall'interno verso l'esterno. E viceversa. Una spazialità conflittuale.

Ma che vuol dire Troma? Nelle interviste Kaufman continua a ripetere ai giornalisti, che regolarmente appuntano e riportano, che è una parola latina, tratta dall'Eneide. Che lui ha un culto speciale per Virgilio. E detto a Roma, a piazza Navona, dentro quel vortice architettonico e davanti a un Manhattan e a due prosecchi, ha un certo fascino, l'aneddotto. Ma quando svela il significato della parola, "l'eccellenza nella celluloide".... non può non ridere ed è costretto a confessare. "No, è la parola più brutta e cacofonica che abbiamo trovato quando si è trattato di inventare con il mio socio Michael Hertz un marchio effimero per lanciare commedie teenager da college come Squeeze Play! Tanto lo avremmo cambiato prima o poi..." Invece. Ma è brutta, la parola, come il musical hitleriano di The Producers. Troma funziona. Anche se in ufficio da 25 sono dovuti scendere a 12. La crisi.

Yiddish scaccia Yiddish. Kaufman fisicamente assomiglia a Mel Brooks, ma è molto più asciutto, magro e salutista (è vegetariano praticante, per sfuggire all'avvelenamento da junk food destino di chi, negli States, non ha una lira e rischia un futuro genetico da obeso-plastico). Ha vissuto e insegnato un anno in Ciad dopo l'università. "Volevo disintossicami dalla metropoli. In Africa siamo tornati anni dopo, in Camerun, con mia moglie". E' molto incuriosito dal film di un grande regista del Ciad, Mahamat Saleh Haroun, Grigris, che ha perso a Cannes perché racconta l'odissea di un brillante ballerino senza una gamba. E' appena uscito in dvd negli Usa. Kaufman è sempre spietato con il pietismo ipocrita. E nei suoi film egualitari l'handicappato è presente inevitabilmente ma entra in campo e lotta ed è anche cattivo e perfino massacrato, come tutti gli altri. 

Una Tromantica avventura. Kaufman ha infatti uno spirito comico e dissacrante molto sviluppato. Svezzato anche a comics book (oltre che a droga ricreativa e masturbazione). Suoi grandi amici sono Fred Camper e Stan Lee, con cui scrisse una sceneggiatura, Night of the Witch, che stava per diventare un film Cannon.  Il loro sogno autorale infranto fu di far dirigere un loro copione, The man who talked to God da Alain Resnais. La caratteristica dei Troma film è una non comune violenza nella parodia della vita e del sogno americani, portata a un livello di nefandezza quasi insostenibile, ma mai volgare e disgustosa come i fatti orribili da cui trae spunto, dal culto delle pistole all'opposizione fanatica all'Obamacare. Il colmo del suo cinema è che perfino la comicità yiddish, che danza spesso con l'assurdo, e si difende dal mondo ritirandosi nel surreale, viene fatta a pezzi (come uno dei personaggi del suo nuovo film, Return to Nuke'em High - parte prima, un ebreo ortodosso canterino gay, con tanto di candelabro hassidico, che si trasforma in un mostro, tatuato da gang, assetato di sangue, anche se migliora di gran lunga le sue sonorità vocali). Se Jerry Lewis fosse nato un po' più tardi, se avesse studiato a Yale cinese-mandarino, latino e Lds (versione anti Harvard- anti-Timothy Leary) in un ambiente sessantottino come Lloyd, i suoi film oggi sarebbero proprio così. Il cattivo gusto trattato con una giuste dose di surrealismo acido e giocoso sadismo infantile diventa high style, high art. Proprio come nella ricetta del suo doppio giapponese, l'adoratissimo Miike Takashi.

La strana coppia. Un duo affiatato, quello di Pat e Lloyd. Proprio come Lauren & Hardy, Roger e Julie Corman (la femminista della New World), o John Landis e Deborah Nadoolman (la costumista di Thriller, suo il magico giubbotto di Michael Jackson). Identica la passione cinefila, il coraggio produttivo, l'intelligenza e l'umorismo, la capacità di nuotare nei propri lati dark e in quelli altrui, il senso del ritmo e l'umiltà di non fare annoiare mai il pubblico, anche se i Kaufman sono  più feroci nella polemica politica, a giudicare dall'incontro pubblico al Nuovo Cinema l'Aquila di sabato e domenica scorsi. In occasione della presentazione del suo nuovo film, un bellissimo e svitato pamphlet anti nucleare, una satira del 'verde e del biologico' come riciclaggio di sostanze velenose, superficialmente modificate, perché il capitalismo è morte, orrore e distruzione per sua natura, Return to Nuke'em High - Parte prima. Il sequel della trilogia aperta da Class of Nuke'em High, 1986, firmato ufficialmente da Samuel Weil, ma è un alias, è proprio lui.

Catherine Corcoran e Asta Paredes in Return to Nuke'em High
Il film, esplicitamente collegato ai due teen-cult-student hits di Allan Arkush The Rock'n'roll High School e di Mark Lester Class of 1984, è anche una versione tollerabile e non repressiva di Adéle di Kechiche, una parodia del film 'lesbo' liceale in stato d'allarme che ha vinto a Cannes parallelamente alla sua proiezione pulp nel Marché. Qui lo stato d'allarme non c'è e la storia d'amore nel college tra la ricca bionda appena arrivata, Lauren (Catherine Corcoran) e la proletaria bruna ambientalista e blogger Chrissy (Asta Paredes) va avanti spedita per la sua strada, contrastata solo dai tacos verdognoli, e non di guacamole, di cui si abbuffano i nerds, perché la centrale atomica di stanza a Tromaville, anche se apparentementa spenta e riconvertita in Tromorganic Corporation, non può rinunciare alla commercializzazione delle scorie fino al termine delle scorte. E' il capitalismo, bellezza! E i comignoloni eruttano sostanza grigiastra in odore Fukushima. Esalazioni e cibo-mensa che trasformano i ragazzi più docili in mostri aggressivi e dotano le nostre amanti saffiche, ormai toxic warriors, di giganteschi peni alla Aubrey Beardsley o di pancioni liquamosi. O forse è un sogno? La parte seconda dovrebbe essere montata in tempo per Cannes 67. Speriamo. Se no, come direbbe Jack Hill, cosa si va a fare a Cannes?

Tutto iniziò con Reed. Certo. Kaufamn è furioso soprattutto con i razzisti, i fascisti, i teapartisti, i servi delle multinazionali, quel complesso militare industriale che oggi, a differenza che negli anni di Eisenhower, ha inglobato anche i vertici sindacali, hollywoodiani e le lobbies dei congressisti (Time-Warner, per capirsi). E, altro che terra della libertà, quando si scaglia contro la censura economica negli States. Troppi i poveri che non riescono a diventare una antitesi. Obama, e il suo ispirarsi a F.D. Roosevelt, ci prova. Ma è stretto a tenaglia. Questo ci racconta e poi ci spiazza. Infatti partono strali anche contro i liberal Al Gore, Jesse Jackson e Clinton (anche Hillary), rappresentanti della ala limousine del partito democratico. Miliardari che proteggono miliardari. Che lottano contro la pollution per vincere il Nobel e per ampliare i loro affari più che per impedire l'avvelenamento del mondo, una guerra nucleare definitiva o un secondo diluvio universale. E che hanno peggiorato la vita dei bosniaci e dei serbi oltre che dei cineasti indipendenti, dei pochi rimasti, favorendo con un paio di leggi atroci sempre i poteri forti. Adesso il film è sempre più del produttore e sempre meno del regista. Altro che Robert Aldrich. Hollywood, d'altra parte, è la seconda voce per giro d'affari dell'economia americana...

L'ammazzabigotti. E Al Gore, in particolare (sua moglie Tipper soprattutto, nello specifico, ma poi hanno divorziato) ha perfino cercato di proibire o almeno imbavagliare un certo tipo di musica black e non black (il rap, ma anche Madonna, le canzoni violente, sessualmente troppo esplicite, immorali e diseducativa perché, diceva,  machiste, guerrigliere e gangsteristiche), costringendo Frank Zappa, John Denver e Dee Snider e altri musicisti a intervenire per fermare il Parental Music Resource Council con il loro kit ammazzabigotti e salvare la carriera di Ice Cube, Ice-T, Prince, Cindy Lauper, Black Sabbath e gli ACDC. Ecco, interpretata in questo modo, si può perfino apprezzare la polemica contro il politically correct, questo penoso cavallo di battaglia della destra razzista e maleducata o della sinistra disillusa e sedicente postideologica in stile South Park. Ma, se è Tromatically correct, is perfect.

Troma, un vero Trauma. Finalmente si è imparato dunque qualcosa di importante nelle scuole di cinema italiane, troppo poco esposte alle radiazioni benefiche dell'arte vivente. Per esempio: come si fa a usare bene il sesso e la violenza, questi giganteschi rimossi del cinema mainstream? Si possono scatenare giochi grafici estremi, ai confini della morale e dell'illegalità estetica, per ampliare gli orizzonti rivoluzionari dell'immaginario politico e esistenziale, al di là o almeno nei paraggi delle forme di Alberto Grifi, Mariano Laurenti, Asia Argento, Franco Brocani, Annabella Miscuglio e Tinto Brass? Henry pioggia di sangue, nonostante l'editto bulgaro di Nanni Moretti, sarà finalmente sdoganato dagli accademici e dagli anti accademici del nostro cinema? 

La tromette Catherine Corcoran
The Troma System. E la quadrilogia Toxic Avenger, l'epopea di un mite ragazzino oggetto di bullismo studentesco che diventa un mostruoso, deforme supereroe dopo essere caduto in un fusto di scorie radiattive? Ce la faremo a digerire il suo quarto episodio Citizen Toxic (2000), il sequel di The Last temptation of Toxic (1989)? Anche la scena dell'irruzione terrorista nella scuola per handicappati? Anche quella che ci racconta le gesta di Masturbator? Anche quella - di angelico cattivo gusto che de-sadizza Abu Ghraib per farci indignare di più - con Toxic che afferra per i piedi il terorrista e lo picchia per terra fino a fargli uscire la testa dal culo? Ognuno di questi film è costato dai 400 ai 500 mila dollari. Quasi una bestemmia per Hollywood e per tutto il sistema fondato sui megabudget, e guai a chi lo vuole far saltare in aria dall'interno. Quali sono i film che Kaufman odia di più? Pretty woman, perché non mette in discussione lo schiavismo della prostituzione, anzi se ne bea. Non si può non essere d'accordo. In sostanza il film racconta la storia di un incontro. Stronza incontra stronzo (mercante d'armi). Sono fatti l'uno per l'altro. Ma perfino un Robert Zemeckis, Forrest Gump, perché glorifica proprio chi è del tutto integrato, chi ha subito il lavaggio del cervello e segue pedissequamente ciò che deve essere, un militare in Vietnam, per esempio, senza rendersi conto di non volerlo esserlo.  Su questo non sono d'accordo. Invece Toni Negri lo sarebbe. E' vero che nella realta' e' la lotta degli sfruttati la molla dello sviluppo (Schumpeter). Ma nella realta' del cinema, dedicare alll'integrazione placida e gioconda un primo piano glamour e farne l'origine della crescita, e' esibire un senso dell'umorismo, volontario per Zemeckis, forse involontario per Tom Hanks, davvero micidiale.


Il Tromalab. La Latina Film Commission, e il suo direttore, dinamico e cosmopolita, Rino Piccolo, svezzato a Los Angeles, ci hanno provato a portare questa pura dinamite nel nostro sonnolento ambiente cinematografico. E, in collaborazione con Spaghetti Horror TV e con la Nuct, la Scuola Internazionale di Cinema che ha sede a Cinecittà, e la Puglia Film Commission che ha inventato, per merito di Paolo De Cesare un bel premio tromiano per il miglior soggetto cinematografico 'obliquo' (consegnato dal maestro dell'horror demenziale in persona), ha invitato infatti a Roma nei giorni scorsi questo cineasta nordamericano speciale e che fa film estremamente strani per affidargli un esplosivo seminario (a pagamento davvero irrisorio), il  "Tromalab". Come si dirige, come si produce, come si distribuisce (lui ha distribuito in America tra l'altro La sindrome di Stendhal di Argento e Totoro di Miyazaki), come si vende un film e come continuare a farne per decenni di pellicole (ora digitali) anche se non si riesce mai - vera eresia americana - a far grandi profitti, quasi a non farne.  Quasi a teorizzare la perdita dei soldi, con sensibilita' Zeman e anti-Roger Corman.

Lloyd Kaufman, 68 anni,  nato a New York City il 30 dicembre 1945, mai frequentata una scuola di cinema, è un total filmaker: regista, attore, sceneggiatore, produttore, distributore cinematografico (di tutto Fred Olen Ray, per esempio, ma anche del preistorico post apocalittico nucleare A Nymphoid Barbarian in Dinosaur Hell di Brett Piper, 1991, a cui impose questo titolo e un po' di tagli, senza che il regista se ne dispiacesse, anzi), nonché montatore, direttore della fotografia, compositore e scrittore di ben sei libri, tra fiction, autobiografia e 'professional'. Inoltre è l'ispiratore delle Tromette, le pom pom girls che fanno promozione 'live' dei film (anche a Cannes). E' il sindaco onorario di Tromaville, il direttore del TromaDance Film Festival, che prima si svolgeva durante il Sundance e lo Slamdance ("è molto più interessante della rassegna di Redford ormai dedicata a ex indie o a indie che non vorrebbero esserlo") a Park City, ma adesso lo ha spostato nel mese di aprile, in New Jersey. Dura due giorni, si proiettano 5 film al giorno. Un festival a bassissimo costo, "dove però si scoprono talenti magnifici, come quel giovane portoghese davvero in gamba che farà una grande carriera. Si chiama Fernando Ale e dovete tenere d'occhio un film che si intitola Banana Mother Fucker... Insomma. E' la passione per il cinema che muove tutto. 


The Troma aroma is $$$$. Un amor fou per la settima arte appreso dai suoi registi preferiti: Mizoguchi, Fuller, Welles, Lang, Lubitsch, Ford, Brakhage (adora Anything), Woody Allen, Cronenberg, Ozu, Renoir...  E dai Cahiers du cinema. E dalla 'politica degli autori'. E dalle visioni studentesche di Sirk, Hawks, Welles, Malle, Resnais cui lo costringeva l'amico di stanza Eric Sherman, il figlio del regista blacklisted di Hollywood Vincent Sherman (Gilda) senza il quale sarebbe diventato un insegnante o un assistente sociale, ma col quale poi ha rotto i rapporti per certe simpatie esagerate dell'amico verso una setta religiosa futurista, da una parte, ma fanatico-passatista dall'altra.  Quale è il segreto di Kaufman, invece? La povertà francescana. Il budget sotto-zero. A Cannes nel 2009 i 22 Troma-men, Tromette e Super Tromette sulla Croisette (sono un appuntamento annuale immancabile, vendicatori tossici e bellezze leopardate) dormivano tutti stipati in un appartamento con un solo letto a castello. Ma chi va a Cannes per dormire? Il Troma building, poi, per motivi finanziari, è stato recentemente spostato dall'opulenta Manhattan alla proletaria Queens, con studi impresentabili che si vergogna a far visitare. 

Tromaprize. A Kaufman è stato conferito dunque, in questi tempi di superausterity e arte di arrangiarsi post-berlusconiani, anche un meritato premio alla carriera (iniziata nel 1969 con The Girl who returned), consegnato al cinema Oxer. Grazie, comune di Latina! E l'occasione è servita anche per provare a lanciare i suoi film in Italia, che da 40 anni è come se avesse decretato un embargo, alla faccia della legge Mammì che sta rincretinendo da tre decenni il nostro pubblico, televisizzato, oratorizzato e brumorizzato. 

Tromaville a Cinecittà. Che poi è questa la vera causa della crisi, e della trasformazione di uno dei mercati più importanti e ambiti al mondo in una secondaria periferia cinematografica (vendono più biglietti in Svizzera che da noi) che vede i suoi gloriosi studios deperire. Con gli occhi accecati e avvelenati passa la voglia di uscire per andare al cinema e di fabbricare immagini innovative o almeno aggiornate al design 'interiore' internazionale. Ma, se pensiamo che l'intero circuito d'essai (le ex sale parrocchiali)  è per il 90% in mano al Vaticano (senza il cui ok censorio non si proiettano nemmeno le opere birichine di un auteur deviante come Pappi Corsicato), se pensiamo che perfino la Cineteca Italiana di Milano o la Cineteca Nazionale del Trevi di Roma non oserebbe mai proiettare un Troma movie, forse perfino il neo Filmstudio, e al disinteresse della stampa, della radio e della tv per questo grande evento culturale, c'è molto poco da sperare. A Kaufman il cinema italiano piace molto. Grandissimi a parte, nomina con affetto Mario Bava e Dario Argento (a proposito un pienone, per tre sere di seguito, un recente concerto dei Goblin a Los Angeles, come ne sarebbe estasiata Gabrielle Lucantonio). Ma anche gli zombies-movie di Lucio Fulci, che hanno sempre un retrogusto politico-sociale forte, come i George Romero. 

I vagabondi del Troma. Tra i suoi film indipendenti preferiti di sempre non dimentica di citare, tra Detour, Joe e Visitor Q (di Miike Takashi), anche Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato e non solo come a noi, prosaicamente e scherzosamente, perché Barbareschi alla fine viene mangiato vivo dai cannibali. Ma perché tocca il punto che a lui preme. La polemica contro i media e gli stati e i politici che controllano il pensiero e lobotomizzano i desideri della gente. Che impediscono ai cittadini di avere e di battersi per le proprie idee e di seguire la propria strada e non quella imposta. Di essere se stessi. Mai 'embedded'. Questo è il 'significato della vita' per Lloyd Kaufman. E bisogna essere piuttosto vistosi e dissacranti, scandalosi e prepotenti per fare con le immagini una critica dell'economia politica del visuale vigente, per liberare la testa e i desideri repressi del pubblico. Per questo è molto amato dai suoi fan. E' uno psycho killer che ci vendica per le brutte immagini che ci opprimono: le critica, sbriciola, vomita a forza di "scorregge" in stile Petomane, distruggendole con immagini ancora più insostenibili e folli. E' il metodo Orson Welles usato nel dramma radiofonico La Guerra dei Mondi.  Ci credete alle fandonie che vi raccontano i preti bigotti sui media che appartengono tutti alle grandi corporation? E allora beccatevi questa. Vi terrorizzo per guarirvi. Una terapia d'urto. Per questo è indispensabile. "E se vi serve un decalogo pret-a-porter non badate a Dogma 95, ho scritto per voi DogPile 95"...

Una Tromantica avventura. Chi è davvero Lloyd Kaufman? E' un 'blacklisted' dei tempi moderni. Come lo era Russ Meyer. Come lo è Brian Yuzan o Jack Hill. Un cineasta messo sulla lista nera economica. Indipendente, trasgressivo, moderatamente estremista, pulp (horror più softcore più humor più satirikon). Un militante della controinformazione politica leggiadra, molto al di là, perché charmant, dell'estrema sinistra. I suoi film e i suoi libri, studiati e adorati dai fan di tutto il mondo, sono perciò 'fuori casta', fuori schema e fuori catalogo. In circa 1000 film e programmi tv low budget ha fatto esordire cineasti del calibro di Oliver Stone e Billy Bob Thorton,  Trey Parker e Matt Stone (il duo di South Park), Kevin Costner e Samuel L. Jackon, Robert De Niro e Dennis Hopper, Dustin Hoffman e Chuck Lorre... E' stato eletto da più di un decennio presidente dell'Independent Film and Television Alliance (Ifta) che tutela gli extracomunitari off Hollywood.


Occupy Hollywood. Adesso Lloyd sta finendo di montare Occupy Cannes, il documentario girato sulla Croisette nel maggio del 2013 undici anni dopo il suo primo omaggio alla Croisette, All the love you Cannes (come sopravvivere sulla costosa costa azzurra senza farvi spennare). "Anzi, me lo ha strappato di mano mia figlia, molto più radicale di me, una militante stracomunista di Occupy Wall Street, una ragazza giramondo che parla l'arabo, è stata anche a Ryiad, chissà se farà in tempo a presentarlo a Cannes 2014. Durante le riprese la stampa e i media internazionali hanno molto parlato del film. Tutti, perfino l'Express francese. Grandi servizi. Tutti tranne gli americani. Né Hollywood ReporterVariety né Cbs o Hbo hanno scritto una sola riga o pronunciato una sola parola sul progetto. Come sempre". Il silenzio mediatico è il migliore antidoto contro gli irregolari indie. I film di Straub mica meritano le stellette o le palline di Ciak, d'altra parte. Mentre chi si piega ai voleri superiori per opportunismo (Elia Kazan) ne otterrà privilegi e vantaggi (Kaufman ha fatto parte del gruppo che ne ha contestato l'assegnazione dell'oscar alla carriera e lo considera, usando un eufemismo, un fascista). Eppure il francotedesco Straub non è uno dei migliori cineasti italiani, assieme all'americano Gianfranco Rosi e all'egiziano Maghed el Madhi?


The incredible Torture show. Le tv via etere e quelle via cavo Usa, dunque, non trasmettono i Troma, il circuito delle sale, multiplex o meno, sono impenetrabili e il sistema dei media li ignora. Out, off. Negli Stati Uniti il circuito underground produce dei volumoni-samizdat su tutte le notizie che non possono penetrare mai nel sistema comunicativo-informativo, forte e integrato. Solo ai margini, nelle nicchie, o quando ci si può far dei bei soldini (è successo a un grande amico di Kaufman, Michael Moore). Se metti in discussione le grandi compagnie multinazionali, chi avvelena il cibo, l'aria, l'acqua, i medici anti abortisti, chi fa il fracking, chi uccide 500 mila iracheni perché 'nascondevano' armi di distruzioni di massa...ti imbavagliano, ti ignorano, non esisti. Così per la Troma. La Company Samizdat. Che nasce nel 1974 a Manhattan per iniziativa di Lloyd Kaufman e di Michael Herz che chiedono a Joel M. Reed di girare Sucking Freak alias The Incredible Torture Show. 

Blood Sucking Freak. Il workshop/masterclass romano è stato diretto con humour e maestria da questo leggendario factotum del cinema no budget-no time che ha firmato classici comici o meglio satire politiche di contro cinema, o cinema bis o cinema trash, come The Toxic Avenger e Poultrygeist: Night of the Chicken Dead, film che hanno influenzato profondamente, tra gli altri, Quentin Tarantino, Eli Roth, Robert Rodriguez, Peter Jackson, Bobby e Peter Farrelly. Cineasti che hanno dato serietà horror all'espressione morire dal ridere, evitando di cadere nel postmoderno più futile e disimpegnato. La risata qui è un brivido di paura in più.


Il mistero del nome. La società di produzione indipendente Troma, famosa in tutto il mondo per il suo lungo e ricco catalogo sovversivo e comic-pulp - in rete si trovano molti film del loro catalogo -  è una delle pochissime entità off off ad avere resistito al soffocante monopolio dei big studios hollywoodiani. 40 anni è roba da Guinness dei primati. Si possono contare sulle dita di una mano i cineasti che sono riusciti negli ultimi anni a proteggere la propria integrità artistica rispetto ai colossi finanziari dell'immaginario e che hanno continuato a lavorare con regolarità dentro le mayor: Clint Eastwood, Oliver Stone (che è statao compagno di università a Yale di Kaufman, bé anche Bush jr. ma non faceva parte dello stesso giro né della stessa confraternita), Martin Scorsese e Francis Ford Coppola (non sempre), il canadese David Cronenberg, Tim Burton. Ancora meno coloro che riescono a stare ai margini del big business senza diventare invisibili, come John Waters o Gregg Araki o  Harmony Korine o Richard Linklater o Spike Jonze...Penelope Spheeris, per esempio, che fine ha fatto?

Adesso arriva il Moma. Kaufman ha parlato, il 26 e 27 ottobre scorso, ad addetti ai lavori e fan, circa 40 partecipanti e raccontato tutti i suoi trucchi del mestiere. Come fare esplodere teste e budella, come attraverso le nuove tecnologie si può ridurre il più possibile il budget senza distruggere l'opera che si vuole realizzare. Le sue pellicole (clonate in Cina e curate magnificamente, tanto che Kaufman preferiva la copia piratata del suo capolavoro zombie, Poultrygeist, scovata da un amico a Pechino, sia per il cast stellare assolutamente falso aggiuntovi sia per lo splendore della grafica di copertina) ormai fanno parte integrante della controcultura statunitense ma sono le più incomprese, se non odiate, dalla sensibilità mainstream. Ma forse le cose cambieranno presto. Infatti dopo Latina il Moma, il Museo d'arte moderna di New York, ha scelto proprio Lloyd Kaufman come uno dei grandi registi mondiali da onorare e programmerà i suoi film (assieme a quelli di David Lynch e di altri grandi filmaker di tutto il mondo) nel suo Festival di gennaio 2014, in una nuova rassegna chiamata "The Contenders".


Sottotitoli eccellenti. Durante il Workshop sono stati presentati alcuni gioielli del catalogo Troma, come The Taint e Terror Firmer, tutti sottotitolati magistralmente in italiani (con didascalie che spiegano i giochi di parole, le allusioni ai film, le citazioni dirette e le scherzose parodie perché due dei dodici impiegati della Troma Company sono italiani emigrati oltreoceano per le note ragioni). Il 27 e 28 è stato presentato Return to Nuke 'Em High, al Nuovo Cinema L'Aquila di Roma. I responsabili della sala ci hanno tenuto a sottolineare che il comune di Roma, proprietario di questo cinematografo requisito alla Mafia, non ha voluto dare il patrocinio alla rassegna. Con Alemanno sarebbe stato un no secco e scandalizzato alla proiezione (non facevo gli ex An così cinefili). Almeno, con Marino, è stato un ni (non sa neanche cosa sono). Meglio che niente.

lunedì 28 ottobre 2013

Adèle, la donna "malformata" di Kechiche. Palma d'oro a Cannes 2013

Mariuccia Ciotta

La Palma d'oro vinta a maggio si è disseccata in ottobre, con l'uscita nelle sale di La vita di Adèle - Capitoli 1 & 2, travolto dalle accuse di attrici e troupe al regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche, che le ha decisamente respinte. Il suo metodo di lavoro, sì, estenua gli attori, li porta allo sfinimento fisico e psicologico ma sempre in nome dell'arte. Molti critici gli hanno dato ragione, una cosa è l'autore, un'altra l'opera.

Il film ha trionfato a Cannes 2013, presidente della giuria Steven Spielberg, deluso dall'accoglienza americana del magnifico (e anti-kolossal d'azione) Lincoln, e grato alla Francia (e all'Europa) per il tributo che gli riserva. Tanto da assegnare il premio maggiore al film francese, ma quello del “cuore”, il Grand Prix speciale della giuria, ai fratelli Coen.

Le accuse rivolte al regista nato a Tunisi nel 1960 si sono infrante nella forma del gossip piccante (che mai avrà fatto Abdellatif alle belle protagoniste?) davanti al giudizio (non unanime) dei critici, sopraffatti dalla valanga emozionale dentro, sopra e sotto i corpicini nudi, le bocche allargate, lacrime, sudore e sangue, un melodramma lesbico d'immane potenza, tre ore di febbre erotica... Ben venga dunque il “metodo Kechiche” che estrae umori segreti dall'adolescente Adèle Exarchopoulos avvinta a Léa Seydoux, la Emma dai capelli turchini come la fata di Pinocchio. La “favola” è infatti all'origine del film, tratto da Il blu è un colore caldo, graphic-novel di Julie Maroh (furiosa con il film) , best-seller con le sue figurine strampalate, tormentate e arruffate in cerca di autrice.

Il fumetto di Julie Maroh
Sullo schermo, invece, Adèle ed Emma trovano lo sguardo dritto e perentorio di Kechiche, dedito all'autopsia di “femmine devianti” che danno spettacolo. Sguardo trasudante un'ossessione diametralmente opposta a quella liberatoria, ibrida e transgender. Sguardo normativo.

Kechiche inquadra la coppia in una serie di “tavole” che dal fumetto trasmigrano sul tavolo della morgue, istantanee di cosce, seni, sesso, seni, organi sezionati nel furore di un voyeur con intenzioni punitive.

I primissimi piani dominanti sullo schermo, l'incursione costante da odontoiatra tra le labbra di Adèle, la camera addosso alla carne desiderata e sacrificata, è un mai vedere oltre, e tenere sotto controllo le pulsioni sessuali in un tessuto filmico poverissimo, condito con dialoghi pseudofilosofici e ammiccamenti a le jeu d'amour di Marivaux, La vie de Marianne.

"Fantasie da maschio etero maniaco sadico”, “Umiliazioni, abusi, violenza psicologica”, il leit-motiv di Léa Seydoux e dell'associazione tecnici, indignati da un set durissimo e dai “ritmi di lavoro troppo elevati”, suona come un fallo di frustrazione post-femminista e post-sindacale. Ma questa volta autore e opera sono avvinghiati dal medesimo gusto “perverso e manipolatore”. 

L'opposto del citato, a torto, Ultimo tango a Parigi, dove Bertolucci forzava allo sprigionamento dei sensi, allo “scandalo” liberatorio della parte oscura e bandita di sé. Mentre Kechiche è lì a dirigere il traffico emotivo, a bearsi del “peccato” di due bambole cattive che vorrà pentite, una, Emma, attratta dalla maternità (altrui), l'altra, Adèle, maestra d'asilo, pronta a convertirsi all'amore “normale” con un bel ragazzo maghrebino.

Paesaggi di provincia, Lille, all'estremo nord della Francia, Adèle, liceale di 15 anni, corre a scuola alla scoperta di sensazioni liberatorie che la sua famiglia operaia neppure concepisce (stramba idea di un proletariato naif). Affamata di tutto (“adoro le bocche mentre mangiano”, così Kechiche scelse Exarchopoulos mentre masticava un panino) assaggia anche Thomas (Jeremie Laheurte), coetaneo innamorato. Sapore zero. Ma ecco che appare la ragazza dai capelli blu, sfiorata per strada, attraente, esotica, enigmatica. E' un'artista in erba, più adulta, e dipingerà Adèle come lei si vuole, fuori norma, un'Alice nel mondo dei club lesbo, oggetto di desiderio speciale. “Modella” di Emma - l'omosessuale di papà, genitori smaliziati della borghesia intellettuale - Adèle si scoprirà straniera a quel mondo. Capitolo 2, il viaggio di formazione è finito. Si torna a casa. Emma non le ha mai perdonato il cedimento alla passione etero, il tradimento con un uomo.
Redenzione di Adèle.

Abdellatif Kechiche (al centro)
Le due attrici sono presenze palpitanti, motore a sé di grande sensualità, corpo stesso del film, tanto d'aver costretto la giuria a una Palma tripartita. Ma anche personaggi sottoposti all'esibizione della colpa, femmine dichiaranti la loro mostruosità ontologica.
Kechiche non è nuovo all'esibizione delle “malformazioni” femminile, a cominciare da Cous Cous (Leone d'argento 2007) con quel pancione ballonzolante in un'oscena danza del ventre. 

Fino alle vette da Terzo Reich nella spogliazione della Ve
nere nera (Mostra di Venezia 2010), l'ottentotta dalle natiche giganti, scrutata fin dentro il sesso, scorticata viva davanti al pubblico di un circo di strada e nei salotti “buoni” di Parigi. E poi “venduta” all'Accademia Reale di Medicina dove severi scienziati la palpano e la misurano per dimostrare le affinità anatomiche con la scimmia.

Dall'Ottocento a oggi, Kechiche trova le sue “veneri” anomale, aberrazioni da sbandierare nel suo cinema senza immagini, capace però di ipnotizzare le platee come ogni fenomeno da baraccone.

Rock fatale. Lou Reed, anche lui se ne va

di Roberto Silvestri 

Dovremo ora sopravvivere, maledizione, anche senza Lou Alan Reed, il cuore del rock and roll, come si intitolava il lungo video musicale noir che vinse il Grammy nel 1999. Ci basteranno i suoi dischi? I film in cui compare, come Prozac Nation? O Brian Bell che lo ritrae in The Factory Girl, il biopic di George Hickenlooper del 2006 sulla vita da eroina di Edie Sedgwick?  Gli oltre 200 lungometraggi dove si usano le sue song, dal 1977 fino a Flight di Bob Zemeckis? Passando per Berlin Alexanderplatz, Perfect, Le età di Lulu, Fino alla fine del mondo, V per Vendetta, I Tanenbaun, Juno, Trainspotting, RocknRolla, Beautiful Girls, Men in Black 3.....

Ma i giornalisti per Lou Reed erano tutti 'idioti e ignoranti'. Riusciremo a capire, almeno un po', da gazzettieri, perché quel suo rock denso, misterioso e obliquo ha cambiato il mondo, anzi ha inventato un altro mondo, parallelo e più vivibile? 

"La musica è tutto - diceva - La gente dovrebbe morire per la musica. Si muore per tante cose, non capisco perchè non dovrebbe morire per la musica". Anche la Metal Machine Music.

Reed, prima chitarra - e che strana chitarra la sua Ostrich guitar, con quel tremulo elettronico incorporato - compositore e voce, certo, il grande musicista di pelle nera (per la sua immancabile giacca da black panther) che venne da Freeport, Brookyn e si fermò nel Lower East Side, l'inferno dell'inferno del mondo, con capacità di scovare sempre ciò che infernale non è, il traghettatore del rock verso il punk, ovvero verso 'la dolcezza nella violenza', 'la vita fin dentro la morte', il barocco degli squallors. 

Heroin, Black Angels' Death Song... Come potevano le nostre band beat nazionali di allora cantare ancora Wolly BullySono un ragazzo di strada, Sha la la la la o E' la fine del libro, senza rendersi conto che si trattava, al massimo, di motivetti da Cantagiro? Ma Lou Reed vive la metropoli ruggente che soffre i tagli della spesa pubblica e vede morire per strada homeless e junkies a palate. Si difende con il t'ai chi.

Reed, il compositore deviante, per non finire nel burrone tossico scavato poi da quel freak a rota di potere di nome Ronnie Reagan negli anni 80, l'icona della modernità metropolitana indocile e resistente, certo non senza grandi mal di fegato, è morto ieri a 71 anni. Complicazioni al fegato, appunto.  Nel maggio scorso aveva tentato un trapianto.


E' morto lo stesso giorno del volo nel vuoto di un ragazzo romano che a vent'anni ha preferito uccidersi piuttosto che farsi sbeffeggiare perché gay. E Lou Reed passò alcune settimane in un ospedale, da teenager, perché i suoi genitori gli imposero di curare una 'innaturale' sessualità multipla con dosi massicce di elettroschock e psicofarmaci.


Ne esce, dall'incubo, grazie alla musica. A 14 anni nel 1958 entra nella doo-wop band The Shades.

Ma non è finita. Frequenta la Syracuse University, negli anni di Kent. Quando i marines invece di sparare al nemico esterno vietcong, troppo forte, preferivano sfogare le loro frustrazioni vigliacche uccidendo e spezzettanto gli arti dei ventenni americani nei campus. Altro che Lsd. Altro che occhiali rosa, hippies e figli dei fiori. Ecco perché trovava così noiosi e conformisti i Greatful Dead e i Jefferson Airplanes, anzi l'intera scena di San Francisco.

Già, Reed era anche Factory, cinema warholiano, l'attore, bigger then male, che ha impersonato Auden, una parodia di Bob Dylan, in Get Crazy (in Italia Flippaut), un capolavoro sovraculturale diretto da Allan Arkush, allievo della scuola di cinema della New York University, 'compagno di banco' di Martin Scorsese (vediamo i 9' di Lou Reed di Flippaut nel video di You Tube sotto il titolo). Ed è stato dentro The Brave con Marlon Brando, a fare l'indiano metropolitano nel film incompreso sugli snuff-movies e il nuvo schiavismo di Johnny Depp.

Franco Battiato che gli fece da spalla in un concerto tanto tempo fa lo ricorda ancora come un punto luminoso di riferimento totale, e con lui Nico. Un po' meno Cale, ego extra extra large, che se ne andò presto infatti. E questo per ricordarne la grandezza di sound.


E non sarà facile adesso, Sunday Morning, muoversi con la stessa disinvolta libertà, senza essere teleguidati da quegli occhi prensili e saggi nascosti perennemente dietro occhiali scuri così poco autoritari. I primi Google Glass della storia.

E' dal 1964, anno di nascita della band The Velvet Underground, formato con il multistrumentista gallese John Cale (organo, compositore, contrabbasso), dalla seconda chitarra Sterling Morrison (tromba classica, anche) e dal batterista Maureen "Moe" Tucker, dai concerti al Café Bizarre di New York City, che la musica hard-pop non è più la stessa. 

Si blobbizza, globalizza, snazionalizza, smaterializza nel format. E' in mutazione perenne. Sostanza spessa e gelatinosa, corpo armonico incandescente che penetra ovunque. Berkeley e le sue lotte furiose hanno rotto gli argini della canzone, suoni e rumori dilagano, slabbrano, debordano nella vita, i Fugs azzerano tutto, Jimi Hendrix va a Londra, inseguito dall'Fbi, Reed si nasconde nella giungla (la banana...) inseguito dalla scimmia sulla schiena. The Exploding Plastic Inevitable. Lo show di Warhol che li lancia. Ma non ne inventa il nome favoloso. E anche il repertorio è tutto pronto, compresa Femme Fatale.

Una copia di quell'istallazione teatral-musicale è anche a Salemi, in vhs, fa parte del fondo Kim's che Sgarbi e Oliviero Toscano hanno acquistato dall'esercente di musica e cinema underground coreano-americano che ha svenduto gli interi magazzini dei suoi due bei negozi off off off di Manhattan, anni fa. 

Subito dopo il primo long playing, prodotto con Tom Wilson. Come cantante arriva la voce androgina e barbara di Nico Otzak, venuta dalla mitteleuropa e dall'oltretomba, capelli biondi imprecisati che sedussero Federico Fellini. Li catturò nella Dolce Vita. The Velvet Underground and Nico (1967) è un album miliare, ma anche un film, che è al centro di quello "show exploiding". Nico resterà nella factory (Closet, The Chelsea Girl, Four Stars, I, a man). Reed no. Sui misteri di Nico, sulla sua relazione con Reed e con Garrell, vedi il libro di Augusto Illuminati, e il film di Garrel Non sento più la chitarra, dove è il suo fantasma il protagonista (e in Le lit de la vierge canta una canzone, ed è l'interprete principale di La cicatrice interiore e Le bercau de cristal).

Dopo "White Light/White Heat" (1968) e "The Velvet Underground" (1969), con il mirabile "Loaded" (1970) c'è David Youle (organo, piano, basso, batteria, chitarra, voce) al posto di Cale in un crescendo di glamour, finezza concettuale ma anche gelida fluidità accademica...Litigio. Reed e Nico se ne vanno lasciando Sterling Morrison da solo.  

E, dal 1970, Lou Reed non è più Velvet né Underground. Il suo secondo album è prodotto dai due grandi fan dei Velvet, David Bowie e Mick Ronson, e si intitola "Transformer" (1972), con la canzone "Walk on the Wildside" che arriva nelle Top 20. 

Degli anni 70 sono gli album "Berlin" (1973), "Rock 'n' Roll Animal" (1974) e "Street Hassle" (1978). Nel giorno di San Valentino del 1980, inizia una nuova fase. Reed sposa Sylvia Morales e azzecca l'album "The Blue Mask" (1982). Nel 1989 con "New York" scrive una lettera di amore e odio alla sua città, dove l'urlo è soprattutto contro una civiltà e una ideologia, l'americanismo, malato e in crisi. 

Si va sempre per decenni in America. Gli anni 90 lo rivedono al fianco di John Cale. "E' matto, sarà perché è gallese, ma è un grande musicista e spero che un giorno sarà riconosciuto come il Beethoven dei nostri giorni", dirà Lou Reed del suo compagno.  E' "Songs for Drella", elogio funebre dell'amico Andy Warhol, Dracula più Cindarella, che li riunisce.  Dal 1993 The Velvet Underground rinascono e vanno in tournéé europea. Dal 1995 Lou vide con la musicista, videoartista e performer Laurie Anderson. Lou Reed, John Cale, Maureen Tucker e Sterling Morrison sono ufficialmente membri del 'Rock n roll hall of fame' di Cleveland, Ohio. Nella classifica di Rolling Stone i Velvet sono al 19° posto di sempre nella classifica degli artisti di Rock'n'roll più grandi.

Senza "Kill your sons", "Sweet Jane" o "Satellite of Love",  Sonic Youth, Nine Inch Nails, U2, David Byrne e Patti Smith non sarebbero gli stessi.E anche molti di noi.






sabato 19 ottobre 2013

Noi li odiamo i nazisti dell'Indonesia. "Act of Killing" di Joshua Oppenheimer e perché tutti gli interisti dovrebbero vederlo

Roberto Silvestri

Act of Killing di Jeshua Oppenheimer. Musical e orrore
Non se ne parlava da molto tempo, dall'epoca di un film australiano, diretto da Peter Weir, Un anno vissuto pericolosamente. Non andavamo da tempo col cinema a nord dell'isola di Sumatra. Ma ora c'è un fantastico film, finalmente uscito in Italia senza grande clamore mediatico (i distributori non sono dei magnati ma degli amatori) in qualche città (a Milano ancora no, a Roma è al nuovo cinema L'Aquila), e che non va perso assolutamente, soprattutto se si è dell'Inter (visto chi sono i nuovi proprietari), che si intitola Act of Killing. L'atto di uccidere. Capovolge tutti i nostri schemi. La maggior parte della troupe che lo ha realizzato si chiama 'Anonymus'. E' questa la dice lunga sulla pericolosità attuale dell'argomento trattato.

Act of Killing, scena in stile Bollywood incontra Oldenburg
Il lavoro è dedicato a Jim O'Rourke, il coraggioso cineasta australiano morto pochi mesi fa, un antenato del documentarismo 'altro', a forte tasso emozionale-investigativo. La Rai non ne parla tutte le sere, neanche a Che tempo che fa. Il film va cercato. Caccia al tesoro. L'Italia istituzionale è piuttosto imbarazzata da questa opera. Ma anche il pubblico, poco abituato dalla legge Mammì ai film duri, aspri, hard. Eppure dopo il Sicario di Gianfranco Rosi dovremmo essere abituati ai film nei quali gli autori di efferati delitti impuniti si raccontano giocondamente, senza paura di essere acciuffati dalla polizia. Però questo film turba particolarmente. Ma
qui gli assassini  sono coinvolti nella realizzazione del film. E sono loro che scrivono le scene. Ora noir, ora western, ora musical, ora horror.... E sono loro le star.

E' del 2012, è stato realizzato dopo dieci anni di lavoro sul campo, è stato invitato nei festival di tutto il mondo e ne ha vinti molti (anche Berlino, Toronto, Telluride, Lisbona). E' prodotto da Danimarca, Norvegia, Gran Bretagna e garantito da Errol Morris e Werner Herzog, tra gli altri. E' diretto da un texano, Joshua Oppenheimer, che assieme a Christine Cynn, si è occupato per anni di crimini della globalizzazione e di violenze politiche e traumi d'immaginario ad esse collegati. Tra i loro film precedenti ricordiamo The Globalisation Tapes (su Assange) del 2003. 

Congo nella terrazza della tortura spiega come strangolava i rossi
Act of killing, però è davvero speciale. Parla di Indonesia. Di una vecchia storia che è anche una nuova storia. Ma non dello tsunami oceanico che uccise 200 mile persone, ma di uno tsunami umano che ne uccise oltre un milione quasi 50 anni fa. E, vero record mondiale, nessun responsabile di quegli assassinii in massa è mai stato processato. Sono tutti liberi e (quasi) felici i killer seriali. Protetti eternamente dai partiti al potere. Aspettano, al limite, 'un tribunale di Giacarta' per spiegare cosa successe. Visto che quell'altro non ha nemmeno il coraggio di inquisire Bush per avere causato la morte di 500 mila irakeni solo perché ha giocato come un bimbo alla caccia delle 'armi di distruzioni di massa'.

Quasi Rick Baker all'opera
Parentesi. E poi ci si chiede come mai riaffiorò, poco dopo, il genere horror, splatter e gore, ovunque nel mondo. Anche nell'Italia di Bava, Fulci a Argento. Ciò che si rimuove, lentamente ma ostinatamente, ha modo di trovare altre forme per riaffiorare. 

Eppure qui abbiamo nomi cognomi e indirizzi di alcuni assassini. Pesci piccoli. Manovalanza. Ma abbiamo i loro corpi. Il regista gli spara addosso la cinepresa. E' come un'esecuzione psicoanalitica. A poco a poco vacillano. Forse si pentono. I conati di vomito sembrano però alla fin fine finti. Acting. Chissà. Per quasi tutto il tempo delle riprese gli infami simpaticoni sono spavaldi, raccontano nei minimi dettagli. Entusiasti di diventare protagonisti di un film. Di un film che glorifica le loro imprese. Entriamo nelle loro case. Si chiamano Anwars Congo, Haji Anif, Syamsul Arifin... Oggi hanno oltre 70 anni. Li vediamo spiegare le azioni più sanguinose, rievocare in tv i loro atti eroici, e vantarsene. Li vediamo addirittura cercare i posti autentici delle carneficine, mettere in scena gli incendi dei villaggi infidi. Ci accompagnano dentro le stanze e le terrazze della tortura e della morte, giocano agli interrogatori coi leader comunisti o gli studenti teste calde, travestendosi da vittime. 

Rocky Splatter Picture Show
Il make up sembra di Rick Baker, li sprofonda nell'horror finto, anche se tremendo, per alludere a quello vero. Per mostrare come erano conciate le teste (e i testicoli) dei sequestrati prima di essere sgozzati a livello industriale, soffocati con il filo di ferro che è molto comodo perché ti tagli se provi a resistere...

Anwars Congo & compagni coinvolgono gli abitanti dei quartieri, li invitano a far le comparse. Si divertono un mondo. Perché amano il cinema, il musical. Quello americano più di tutto. I divi, non ne parliamo. Per tutto il film vorranno mettersi in testa cappelloni rosa texani da cowboy, cravatte del New Mexico, completi bianchi con il Panama, proprio come quelli delle loro star preferite. All'inizio chorus girls che escono da un immondo pesce gigante costruito sulla collina, di fronte al mare, che sembra opera di Oldenburg, oppure danzano sotto una cascata, li presentano come se fossero le superstar  di uno show di Mister Ziegfeld. 

Congo interpreta il comunista che ha ucciso e il rimorso compare
Già. Solo i comunisti odiano i film americani, ricordate Allende? Cuba? Chavez? A un certo punto, con Sukarno, pretesero perfino di sottoporli a embargo.... Bisognava reagire. La patria lo ha imposto. Pancasila Youth è l'organizzazione di massa nazionalista e nazistoide che conta oggi 3 milioni di militanti pronti a rifare la strage dei comunisti se Pancasila lo richiede. L'ideologia è quella nazionalitaria di Sukarno, che cercava di tenere unite comunità parecchio distanti (cristiani, musulmani, buddisti...) trasformata da questi energumeni hitleriani in puro nazionalismo fanatico. Immaginatevi i fondamentalismi drastici di ogni religione uniti in una stessa organizzazione paramilitare vezzeggiata e finanziata dal potere sotto influsso Usa. Eccoli qui. E, questo piacerà molto alla componente interista antinazi, le loro divise sono infatti tutte, splendidamente rosso-nere. Come vediamo in queste foto. In Indonesia lo spirito hitleriano è milanista

Ecco gli ultrà 'milanisti' d'Indonesia
Il film ha una struttura strana. E' documentario e teatro nello stesso tempo, fiction e non fiction si apppropriano del 50% del tempo. Ma sembra incredibile, la storia, non puoi credere ai tuoi occhi, sfiora il mockumentary, il doc che ti inganna. Per questo quoziente, grottesco e allucinante, di involontariamente comico e tremendamente tragico, insomma di iper verità, Act of killing ha colpito e sedotto oltre a  Herzog ("è una nuova forma di surrealismo cinematografico") il serbo più apolide, Dusan Makavejev, sempre intrigato dal perturbante e dalle psicopatologie di massa dei fascismi. E il pubblico di tutto il mondo. 

Pancasila Youth, il gruppo paramilitare nazistoide d'Indonesia
Ma attenzione. In Italia, e non solo in Italia, la distribuzione (spero per motivi di mercato) ha tagliato a 115' un film di 159'. Molte situazione di contesto vengono così sacrificate. Non si nomina mai né SukarnoSuharto, per esempio e immaginiamo che lo si faccia da qualche parte per contestualizzare storicamente la strage. Non si spiega chiaramente quanti soldi hanno preso i gangster ("Sapete cosa significa? Uomini liberi, liberi di esprimere tutta la propria creatività, certo, anche quella più criminale e crudele") per ogni scalpo. Dicono pochissimo. Mmmmm. Anche se scopriamo che i loro mandanti diretti erano gli editori di giornali. Oppenheimer li intervista perfino. E loro tranquillamente ammettono.  E questo ci ricorda il processo Brasillach. Quando il critico cinematografico francese filo-nazista scriveva sui quotidiani di Vichy nome, cognome e indirizzo dei comunisti e degli ebrei da accoppare (Almirante dovette spiegare che non era vero, per difendere Brasillach, che i nazi già sapevano tutto, figuriiamoci se dovevano aprire i quotidiani la mattina per far fucilazioni il pomeriggio... però lì hanno perso). Comunque. E' sempre l'occidente il maestro. Non dimentichiamo cosa hanno fatto gli olandesi in Indonesia.

La ricostruzione della distruzione di un villaggio
Non si intervista, poi, nel film, nessun oppositore politico neppure in esilio, né Garin Nugroho, che per parlare di certi fatti ricorre all'epica e alla metafora (anzi sembra che nell'intera Indonesia non ce ne siano più di teste pensanti, neanche fosse l'Italia) e neanche uno storico o un politico straniero. Un solo momento 'avulso', durante le riprese tv in studio, quando la regista si chiede ad alta voce: "ma Anwars Congo e i suoi compari come fanno a guardarsi allo specchio la mattina?". Il resto è inno alla pulizia etica, cromatica ed etnica!

Imitando Jean Pierre Melville
Act of killing (doppio il significato: l'atto di uccidere è anche 'recitare l'uccisione') ha vinto molti festival (in Italia il Biografilmfestival) anche se mette in scena (senza mai voler essere raccapricciante, e dunque lo è di più) orrori autentici e insostenibili: le torture e l'assassinio di migliaia di comunisti, di cinesi progressisti, di malcapitati e di democratici indonesiani, moltissimi i bambini e le donne e gli anziani, sopraffatti dalla violenza cieca e fanatica dell'esercito regolare e irregolare, di bande di gangster prezzolate e drogate, aizzate dal colpo di stato di Suharto del 1965, ordinato dall'anonima assassini delle multinazionali che lo tennero ben protetto sul trono fino al 1998. La tecnica della mattanza è selvaggia secondo il nostro sguardo esotico ma tecnicamente sofisticata se si considera che lo sport nazionale del paese è il complicatissimo Pentjak Silat, arti marziali che prevedono l'uso del coltello e del machete che i pirati della Malesia tramandarono ai posteri, e agli inglesi in particolar modo. 

Non ci credete che l'Occidente plaudì al genocidio? Vedremo più tardi come reagì a tutto questo il nostro presidente della repubblica cattolico. E, non dimenticate che il vanto della stampa democratica mondiale, il New York Times, quando morì Suharto, il 29 gennaio 2008 gli dedicò due belle pagine da incorniciare. Anche perché non si faceva cenno alcuno del genocidio. Non c'era stato. Propaganda comunista.

Il gangster Congo e la divisarosso nera dei Pancasila
Eppure il nyt non è un giornale beceramente di destra. Di quelli che pensano perennemente al paradise now dei neoliberisti: un mondo senza sindacati che scocciano, con le donne che non stanno al loro posto, senza partiti marxisti che tramano, aizzano alla spesa pubblica che è sempre uno spreco,  minacciano 'colpi di stato' o peggio insurrezioni, impongono regole ecologiche, ostruzioni burocratiche, controlli nei cantieri, rendono anarchica e 'troppo desiderante' la società civile. E, invece, il mondo sarebbe perfetto se fatto di individualisti assoluti, simpatici pescecani, profitti che lievitano, buoneuscite faranoiche dai consigli d'amministrazione, subprime perché se uno è stupido è bene truffarlo, montagne di coca, e pesci piccoli schiacciati per l'eternità! Il mondo nuovo, l'ordine nuovo è proprio l'Indonesia!

Congo se la spassa alla faccia di Priebke
Non è ancora tutto il mondo così ma certamente il tenente colonnello Suharto e Pinochet, Videla e Thatcher, Reagan, Compaoré il traditore e i Bush, Putin e gli emiri arabi, non si può dire che non c'abbiano provato (alcuni perfino con un appoggio popolare entusiasta). E non è che, altrove, i partiti di ispirazione marxista spuntino poi come funghi... Dunque grande merito va reso ai combattenti per la libertà di Giakarta. L'Aja che pizzica Kenyatta jr. (che non risulta abbia lanciato cacce grosse contro i rossi), mai si permetterebbe di processare Jusuf Habibie o Wahid (i successori di Suharto che hanno adottato le stesse tecniche, facilitati dall'antenato). Dunque?!

Il gangster Congo e due suoi complici
E l'Italia si è particolarmente distinta nel rendere omaggio al maggiore criminale di guerra dai tempi di Hitler: gli ha conferito il 23 novembre 1973, primo stato al mondo, un ordine speciale: Suharto era Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana. Poi si arzigogola sulle respponsabilità subliminali di Giovanni Leone nella istigazione all'idea della lotta armata (che fu evidentemente di difesa, come dimostra quel precedente storico) nel nostro paese....

Congo cameramen
Ma nella gang di cui parla il film non si facevano le corna. Vive e vegeta quella gang tuttora nella città di Medam. I membri sono mostriciattoli di una certa età, capitanati da uno smilzo gagà (che dice di ispirarsi a Marlon Brando e Al Pacino, a Charlton Heston e a Victor Mature) e da un ciccione semi trans che, a un certo punto si presenta perfino alle elezioni (purtroppo per lui il sistema elettorale indonesiano non permette le liste chiuse decise dal partito, mica siamo in Italia, e perde). Come tutti i machi tendono molto alla omosessualità mal schermata.  Sono teppisti ancora vivi, vegeti, circondati da figli e nipotini che come tutti i nonnetti del mondo coccolano giocando con le papere e coi gattini. Compiaciuti del loro antico lavoro necessario, quasi come Adolf Eichmann (anzi di più, tanto, a loro, chi li becca?). E poi il nazi era un burocrate che non si sporcava le mani. Congo invece un proletario, con le sue mani ne ha accoppati oltre mille. E hanno vinto. Niente Norimberga. L'altra storia si farà quando perderanno. Tanto ormai!? Siamo in piena banalità dell'impunità.

Il momento pink di Congo
Ieri i gangmen controllavano il mercato nero e il bagarinaggio (la scena più commuovente del film, per i cinefili, è la rievocazione della rivendita dei biglietti in occasione di I dieci comandamenti o Sansone e Dalida...quando le masse assaltavani i cinema la domenica e quando il cinema era il cinema), oggi il giro losco delle slot machines, la droga, la prostituzione. Amano sentirsi crudeli. Sono contenti di essere addirittura più sadici sia dei feroci nemici rossi sia delle pellicole hollywoodiane (da cui traevano ispirazione) che i comunisti volevano addirittura censurare e proibire. Mentre loro garrotavano o giustiziavano ascoltando le rock songs di Elvis Presley. Vivono taglieggiando i commercianti (specialmente se cinesi). E, politicamente, sono sempre pronti al massacro di commies. Non hanno affatto paura delle chiacchiere sui diritti umani. Hanno vinto. Dal 1965 non c'è più nessun partito comunista nell'arcipelago più fitto nel mondo. Chi li può toccare? Forse, solo la loro coscienza. Il film, che loro utilizzano come auto glorificazione, cerca di punirli, ma molto obliquamente. Apparentemente.
Il poster del film


Parte seconda, cosa c'entra l'Inter

  Si discute molto in questi giorni - ed è un bene in questo paese così bendato al mondo - di estremo oriente, di Indonesia, il quarto paese più popoloso del mondo, delle elezioni presidenziali a Jakarta, nel 9 luglio 2014. E perfino di Jakartone, dopo il perfido commento juventino alla trattativa più entusiasmante del momento calcistico che allude a un paio di scudetti nerazzurri (di cartone) che sarebbero stati 'scippati'. Come se gli scudetti bianconeri fossero stati vinti sul campo e non da una gang di arbitri e di grandi giocatori d'azzardo abili nel 'fuori campo'. 

Erick "il vichingo" Thohir
Allora, si torna a parlare di Indonesia, del progressista Sukarno (che era un grande amico di Marilyn Monroe), di Bandung, di non allineati. Ma anche, inevitabilmente, della dittatura militare di Suharto, del suo colpo di stato, dell'imposizione di un feroce Ordine Nuovo sul sangue di oltre un milione di comunisti trucidati (cosa che manda in estasi ogni neonazista, anche interista), di Timor est e della brutale repressione militare anti indipendentista, della caduta di Suharto e del potere gestito in modo altrettanto dittatoriale (con uso costante di feroci gang fasciste) dai suoi uomini. 

Congo e i suoi nipotini, "guardate cosa faceva il nonno!"
E tutto questo proprio grazie all'Inter, al suo dna cosmopolita e al nuovo gruppo proprietario della "società che mai è retrocessa in b", capitanato dal magnate dei media - islamico moderato - Erick (da Erik il vichingo) Thohir, boss del Mahaka Group, proprietario del quotidiano (ex islamico-radicale, oggi moderato) Republika, appassionato di calcio e di Nba,  ed erede di una fortuna di famiglia. Piuttosto interessante da indagare, questa famiglia e i loro amici. Gli editori di giornali, nel 1965-1966 furono tra i principali responsabili delle liste di proscrizione poi distribuite ai militari golpisti, agli squadroni paramilitari e ai gangster prezzolati per rapire torturare e uccidere i 'non fascisti'. Perfino il super tifoso dell'Inter Fiorello ha manifestato insomma qualche dubbio e perplessità sentendo parlare di ricchissimi indonesiani. Interessa davvero lo squadrone che tremare il mondo fa? O il super business? O uno stadio da favola e un merchandising da schianto? Oppure se il gioco si fa global bisogna che l'Inter, dato il nome profetico, è obbligatorio attrezzarsi, e 'con ogni mezzo necessario'?

Teddy Thohir, manager della Union Carbide, Indonesia

Il fratello maggiore di Erick ha un nome altrettanto mitico, si chiama Garibaldi Thohir. Ed è un pezzo grosso del carbone e della raffinazione del petrolio. Ma è suo padre che preoccupa di più, Teddy Thohir, oggi a capo di una mega-holding, l'Astra International, 15 miliardi di dollari di fatturato l'anno, che controlla comparti chiave dell'economia del paese (dalle componentistiche d'auto alle banche, dalle infrastrutture alle nuove tecnologie) e ha dunque uno stretto rapporto con isituzioni politiche - ancora in mano al partito che fu di Suharto, il Golkar (Partito dei gruppi funzionali) e dal Pdi-L (Partito Democratico Indonesiano-Lotta) - che, nonostante l'emarginazione e poi la morte di Suharto, ed elezioni democratiche assai formali, sono rimaste sostanzialmente autoritarie e illiberali. 

Erick Thohir con la maglia della sua squadra di calcio Usa
Dedi Gumelar, membro del Partito Democratico-Lotta, ha già esultato pubblicamente per l'acquisizione dell'Inter da parte di Thohir.  E c'è di peggio. E' spuntato a un certo punto delle trattative interiste perfino il nome, come garante dell'operazione, del 40° uomo più ricco del mondo secondo la classifica di Forbes, Hashim Djodjohadikusumo, del potentissimo Bakrie Group, che è il fratello del famigerato braccio destro militare di Suharto, Prabowo Subianto, il boia di Timor est, il principale responsabile delle repressione antidemocratiche degli anni 80 e 90, dei rapimenti e assassinii di studenti, lavoratori, artisti e intellettuali scomodi, gran coordinatore di gang di assassini e squadracce paramilitari e principale, purtroppo candidato alla presidenza dell'Indonesia, in quanto fondatore del partito di estrema destra Gerindra (Great Indonesian Movement Party) e, secondo i sondaggi, il favorito numero uno.     

Hashim Djodjohadikusumo, capo del Bakrie Group e 40° magnate del mondo
Torniamo a Teddy Thohir, il papà del patron dell'Inter, che viene da lontano. E' stato responsabile locale della famigerata compagnia chimico-farmaceutica nordamericana Union Carbade (a Bophal, India oltre 2000 morti, ma i suoi 'morti sul lavoro' sono sparsi in tutto il mondo), oltre 10 anni fa risucchiata dalla Down Chemical.
Il papà di Hashim, sulla destra, probabile nuovo presidente dell'Indonesia

Nel dicembre del 1981 un'inchiesta del quotidiano newyorkese Newsday dimostrava che metà impiegati della Union Carbide indonesiana soffrivano di malattie renali causate dalle forti esposizione al mercurio; che il livello di mercurio utilizzato negli impianti era venti volte superiore agli standard autorizzati negli Usa e che le falde acquifere e le coltivazioni di riso di vaste aree del paese erano state pericolosamente inquinate irreversibilmente, con incalcolabili danni per l'intera popolazione e per l'agricoltura. 

Prabowo Subianto, fondatore del partito nazionalista Gerindra
Ecco. Questo spiega perché si fanno i colpi di stato. Profitti. Abbassare il costo delle materie prime. Distruggere i sindacati, i partiti di sinistra, imbavagliare i mass-media, portare quasi a zero i salari e imporre flessibilità e sfruttamento massimo alla forza lavoro, senza sottoporsi a controlli pubblici o terzi di nessun tipo. Il Bengodi dei Berlusconi planetari. 

Dal 1966 (quando la caccia al comunista e al cinese di sinistra si concluse con un auto-genocidio di oltre un milioni di indonesiani) a oggi, Jakarta è così diventata la capitale leader del neoliberismo. E la creazione di un partito anche vagamente di ipirazione marxista non solo è proibita, ma fisicamente molto sconsigliata.
Massimo Moratti, da domani ex patron

E' poi di queste ultime ore, inoltre, la notizia che uno dei due altri soci indonesiani 'nerazzurri' di Thohir, il finanziere Rosan Roeslani, 45 anni, dovrebbe coprire un buco di 200 milioni di dollari alla Bumi, società di sede britannica che ha diretto in passato. E siccome è lui che dovrebbe rimettere i conti dell'Internazionale in sesto, la cosa ha fatto un po' vacillare le speranze dei tifosi che già sognano l'onnipotenza universale. Il terzo socio, poi, è Handy Soetedjo, 43 anni, opera nel settore energia (carbone e materie prime), vive a Pittsburgh, masticherebbe, come molti, di calcio.  Si sente odore di Bakrie Group.

Ma chi non si fiderebbe di Massimo Moratti quando definisce il nuovo proprietario, 43 anni, e il suo gruppo, "gente perbene"?