La
Palma d'oro vinta a maggio si è disseccata in ottobre, con l'uscita
nelle sale di La vita
di Adèle - Capitoli 1 & 2,
travolto dalle accuse di attrici e troupe al regista franco-tunisino
Abdellatif Kechiche, che le ha decisamente respinte. Il suo metodo
di lavoro, sì, estenua gli attori, li porta allo sfinimento fisico e
psicologico ma sempre in nome dell'arte. Molti critici gli hanno dato
ragione, una cosa è l'autore, un'altra l'opera.
Il film ha trionfato a Cannes 2013, presidente della giuria Steven Spielberg, deluso dall'accoglienza americana del magnifico (e anti-kolossal d'azione) Lincoln, e grato alla Francia (e all'Europa) per il tributo che gli riserva. Tanto da assegnare il premio maggiore al film francese, ma quello del “cuore”, il Grand Prix speciale della giuria, ai fratelli Coen.
Le accuse rivolte al regista nato a Tunisi nel 1960 si sono infrante nella forma del gossip piccante (che mai avrà fatto Abdellatif alle belle protagoniste?) davanti al giudizio (non unanime) dei critici, sopraffatti dalla valanga emozionale dentro, sopra e sotto i corpicini nudi, le bocche allargate, lacrime, sudore e sangue, un melodramma lesbico d'immane potenza, tre ore di febbre erotica... Ben venga dunque il “metodo Kechiche” che estrae umori segreti dall'adolescente Adèle Exarchopoulos avvinta a Léa Seydoux, la Emma dai capelli turchini come la fata di Pinocchio. La “favola” è infatti all'origine del film, tratto da Il blu è un colore caldo, graphic-novel di Julie Maroh (furiosa con il film) , best-seller con le sue figurine strampalate, tormentate e arruffate in cerca di autrice.
Il fumetto di Julie Maroh |
Kechiche inquadra la coppia in una serie di “tavole” che dal fumetto trasmigrano sul tavolo della morgue, istantanee di cosce, seni, sesso, seni, organi sezionati nel furore di un voyeur con intenzioni punitive.
I primissimi piani dominanti sullo schermo, l'incursione costante da odontoiatra tra le labbra di Adèle, la camera addosso alla carne desiderata e sacrificata, è un mai vedere oltre, e tenere sotto controllo le pulsioni sessuali in un tessuto filmico poverissimo, condito con dialoghi pseudofilosofici e ammiccamenti a le jeu d'amour di Marivaux, La vie de Marianne.
"Fantasie da maschio etero maniaco sadico”, “Umiliazioni, abusi, violenza psicologica”, il leit-motiv di Léa Seydoux e dell'associazione tecnici, indignati da un set durissimo e dai “ritmi di lavoro troppo elevati”, suona come un fallo di frustrazione post-femminista e post-sindacale. Ma questa volta autore e opera sono avvinghiati dal medesimo gusto “perverso e manipolatore”.
L'opposto del citato, a torto, Ultimo tango a Parigi, dove Bertolucci forzava allo sprigionamento dei sensi, allo “scandalo” liberatorio della parte oscura e bandita di sé. Mentre Kechiche è lì a dirigere il traffico emotivo, a bearsi del “peccato” di due bambole cattive che vorrà pentite, una, Emma, attratta dalla maternità (altrui), l'altra, Adèle, maestra d'asilo, pronta a convertirsi all'amore “normale” con un bel ragazzo maghrebino.
Paesaggi
di provincia, Lille, all'estremo nord della Francia, Adèle, liceale
di 15 anni, corre a scuola alla scoperta di sensazioni liberatorie
che la sua famiglia operaia neppure concepisce (stramba idea di un
proletariato naif). Affamata di tutto (“adoro le bocche mentre
mangiano”, così Kechiche scelse Exarchopoulos mentre masticava un
panino) assaggia anche Thomas (Jeremie Laheurte), coetaneo
innamorato. Sapore zero. Ma ecco che appare la ragazza dai capelli
blu, sfiorata per strada, attraente, esotica, enigmatica. E'
un'artista in erba, più adulta, e dipingerà Adèle come lei si
vuole, fuori norma, un'Alice nel mondo dei club lesbo, oggetto di
desiderio speciale. “Modella” di Emma - l'omosessuale di papà,
genitori smaliziati della borghesia intellettuale - Adèle si
scoprirà straniera a quel mondo. Capitolo 2, il viaggio di
formazione è finito. Si torna a casa. Emma non le ha mai perdonato
il cedimento alla passione etero, il tradimento con un uomo.
Redenzione
di Adèle.
Abdellatif Kechiche (al centro) |
Kechiche
non è nuovo all'esibizione delle “malformazioni” femminile, a
cominciare da Cous
Cous (Leone d'argento
2007) con quel pancione ballonzolante in un'oscena danza del ventre.
Fino alle vette da Terzo Reich nella spogliazione della Ve
nere
nera (Mostra di
Venezia 2010), l'ottentotta dalle natiche giganti, scrutata fin
dentro il sesso, scorticata viva davanti al pubblico di un circo di
strada e nei salotti “buoni” di Parigi. E poi “venduta”
all'Accademia Reale di Medicina dove severi scienziati la palpano e
la misurano per dimostrare le affinità anatomiche con la scimmia.
Dall'Ottocento a oggi, Kechiche trova le sue “veneri” anomale, aberrazioni da sbandierare nel suo cinema senza immagini, capace però di ipnotizzare le platee come ogni fenomeno da baraccone.
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