lunedì 31 agosto 2015

E' morto Wes Craven, o della vitalità dell'horror. Lo ricordiamo con una recensione che iniziava con un necrologio....




"Le colline hanno gli occhi". Quando abbiamo scoperto la dolcezza della paura drastica
SCREAM
Wes Craven, Usa 1996


Wes Craven e la sua colta maschera della morte


Scream. Shout. Howl. Il grido, l'urlo. La fine. Il tremendo crash parigino del 31 agosto scorso ci ha tolto il quarantaduenne magnate Dodi Fayed, produttore, in 17 anni, di sei film non secondari come Momenti di gloria, Hook, Lettera scarlatta, Breaking glass, F/X e F/X2, ha sintetizzato in un'immagine sola, da tutti solo immaginata, ma consciamente o inconsciamente desiderata perché siamo intossicati dai media e, peggio, dai loro acerrimi nemici, la fame di orrore che ha caratterizzato l'estate '97. E, non a caso, il contemporaneo riafforare repentino di un genere cinematografico, l'horror, che si dava per defunto a Hollywood solo mesi fa. Problemi di censura, soprattutto, e di costi che lievitano. Ma anche di una maggiore permissività di giornali e tv che offrono dosi di raccapriccio "autentico" in prima serata o in prima pagina sempre più volentieri, togliendo l'aura dell'iper-macabro (simulato) alla sala buia. Tanto che il filmaker newyorkese Frank Henenlotter s'era detto pessimista: Basket case o Brain damage non si potranno più fare. Infatti: chi va a vedere un horror "per tutti"? E se non è "per tutti" chi si azzarda a produrlo?

Un recente numero di Variety si interroga sul perché del ritorno di fiamma di gore (sangue raggrumato) e splatter (arti tagliati), cioè delle opere nello stesso tempo più inquietanti, sovversive e moraliste (non si perde mai d'occhio il "peccato" messo in scena, si punisca o meno alla fine il peccatore: perché è il senso di colpa dell'immaginazione criminale che si bracca), scodellando una convincente lista dei film "terrificanti" in sala e in produzione. Evidentemente hanno trovato il sistema per rendere digeribile l'indigeribile. E soft l'hard.
E' stato Wes Craven e il suo impressionante e demoniaco, ma irresistibilmente divertente Scream ("L'urlo") la causa di tutto. E Craven sta già scrivendo Scream 2... Un successone, questo intelligente Grease insanguinato (è ambientato in un campus dai colori pop) sia negli Usa che in Europa (a Parigi è stato il film dell'estate). Un horror shakerato col thriller, pieno di facezie, rompicapi, trabochetti, profondità psicologica, pezzi di bravura (i Cahiers du cinema sono andati in visibilio per la sequenza hitchcockiana dell'assassinio di Fonzie, qui preside democratico e simpatico). 



Un film scritto dal giovane fan Kevin Williamson, capace di terrorizzare, spalmare di suspense lo schermo, divertire e contemporaneamente fare il punto sulle epopee horror degli anni 80 (Freddy Kruger and Co.), conosciutissime dal pubblico svezzato a homevideo, microscopico vivisezionatore di cult movie da Blood feast a Venerdì 13, col quale Craven si diverte un mondo: a citare, ironizzare, dribblare, tendere agguati, suggerire incubi, senza perdere l'obiettivo. La paura. Produrre paura. Fabbricare emozioni forti e adrenaliniche. Senza pietà. Senza strizzatine d'occhio smitizzanti o autoironiche. Ricordando anche ai ragazzi quali sono gli oggetti di culto al Blockbuster: Sotto shock, Il serpente e l'arcobaleno di Craven, certo, ma anche l'opera omnia del grande collega e amico John Carpenter, al cui Halloween questo film è - anche esplicitamente - dedicato. 


Omaggio a chi inventò, grazie al personaggio della fragile e tosta Jamie Lee Curtis, l'antidoto al sadismo soperchiante, vigente e vincente, di tanta pornografia camuffata a la page nella vita e nell'arte (dalle sedie elettriche guaste a Breaking away, per intenderci). Il film si apre con dieci minuti giganteschi, star Drew Barrymore che si prepara il pacchetto di pop corn in una villettona vetro e luce mentre l'assassino col cellulare, nell'ombra del rigoglioso giardino, fa con lei da gatto col topo, promettendole salva la vita se riuscirà a rispondere esattamente ai suoi horror quiz.

Wes Craven e Drew Barrymore
E parte così un film terrificante e grottesco, cinefilo e baudelairiano ("il riso è demoniaco"), un vero gioco della morte, pericoloso, vertiginoso, alla ricerca del killer seriale specializzato in donne, vestito da uomo nero con la maschera dell'"Urlo" di Munch sul volto che potrebbe essere chiunque: chi, se non il cervello a fantasia piatta, non è infatti, coi morti che ci fioccano attorno senza movente, o peggio per esclusive ragioni bancarie, un cultore di film dell'orrore? Così mentre i liceali impazziscono letteralmente per la fantasia espressionista dell'assassinio, travestendosi da mitico killer e affittando sempre più videocassette infernali, complicando le indagini, la piccola Sidney (Neve Campbell), madre assassinata l'anno prima, padre perennemente assente, ragazzo (Skeet Ulrich) di nazistoide seraficità, diventa la vittima designata. Ma chi è l'assassino: il buffone della classe, il fidanzatino, la squallida reporter tv, il poliziotto, la migliore amica, Tatum, o Stu, il suo ragazzo?