mercoledì 9 ottobre 2019

Pordenone 38. Siamo qui soprattutto per studiare attentamente le buffonate


Roberto Silvestri 



La star Marion Davies (a destra) fa l'uomo in Beverly of Graustark di Sidney Franklin 1926


L'attore nglese Reginal Denny, pugile, inventore e divo comico degli anni Venti
Pordenone
Ci sono i festival star-system e i festival studio-system. Qui alle Giornate del Muto le celebrities non ci sono più (c'erano ancora quando si cominciò, 38 anni fa...) e dunque si studia il cinema.
Si chiamano anche festival di ricerca, come era Pesaro come è I mille occhi (a proposito auguri a Sergio Grmek Germani di pronta guarigione, vediamo che si è ripreso, alla proiezione di Frammenti di un impero, di Fredrik Ermler, URSS 1929, questo martedì sera non poteva mancare!). Però ci si diverte anche molto. Mai sentito infatti un pubblico,anzi tanti spettatori consapevoli provenienti da tutto il mondo (circa 1000 gli invitati), così vivace e partecipe. Nessun cellulare acceso, o comunque sempre gentilmente nascosto al vicino. Applausi sempre, a ogni fine programma. Se non altro perché ci sono i musicisti in sala che si esibiscono (benissimo), da soli in band o in orchestra, come in un auditorium da concerti. La sensazione è di stare all'Hermitage o al Louvre che espone opere d'arte cinematografica. Ma non solo. Sembra anche di stare all'antologhy film archive, perché molti dei film che vediamo li vede l'umajnità per la prima volta, perché a forza di ricostruire, torvare i pezzetti censurati di qua e di là per motivi opposti per la prima volta si vedono i film pensati dai registi e non dagli apparati di otere. Insomma qui si vedono davvero prime anteprime mondiali!
Si dice a ragione che a Pordenone molti luoghi comuni tramandati dalle storie del cinema ortodosse vengano cancellati per sempre. Non si tratta solo di rendersi conto che il cinema non è mai stato muto né in bianco e nero. E che come scrive Mereghetti oggi sul Corriere (più attento di Repubblica ai fenomeni culturali importanti, qui alle Giornate una troupe brasiliana sta addirittura girando un film sul festival!) a proposito del film di Ermler “Frammenti di un impero” che anticipa di parecchio Goodbye Lenin!: “niente di nuovo si inventa”. Si viene qui per scrivere l'altra storia del cinema, capovolgere gerarchie, ed esigere che ciò che è stato per decenni censurato e nascosto torni in vita. Sia finalmente risarcito.
Abbiamo capito perché un bel film di Robert Vignola “The moment before” del 1916 non è mai stato visto in Italia. La censura del 1922, già fascista, quando il film richiese il visto, disse no perché non era ammissibile alcuna promiscuità razziale. Il melodramma d'amore coinvolge infatti un bizzarro e anticonformista rampollo dell'aristocrazia (oltretutto deviante perché ribelle e beve pure troppo in pieno proibizionismo, ed è l'eroe) e una zingara d'accampamento con tanto di pelle scura e vestiti gitani (ed è l'eroina) costretta dalla violenza della tribù a sposare un bruto. I due sono anche assassini. Lui almeno lo crede e lei ha sparato davvero, ma per amore, al marito. I due sono anche filantropi che faranno del bene ai poveri per tutta la vita. Non solo, Vignola lancia anche frecciatine perverse contro la chiesa cattolica che approfitta dei sensi di colpa dei fedeli più sinceri per accaparrarsi le loro ricchezze, subdolamente. Insomma tra w l'alcool w l'antirazzismo e abbasso il Vaticano dell'epoca marianae dei Pii, non si può dire che via della Ferratella (o come si chiamava allora il minculpop, ministero della cultura popolare) si sia comportato mussolinianamente in modo scorretto.

Reginald Denny (a sinistra)
Altro esempio. Quest'anno il punto focale della rassegna è lo studio della comicità anarchica europea (erede di millenarie tecniche del riso, anche yiddish e medioorientali) per comprenderne meglio la sua metamorfosi hollywoodiana (The Kid, Reginald Denny, etc). Insomma il filo che collega e divide molti comici del nostro continente, dai clown a Lubitsch, da Laurel a Linder, da Chaplin a Reginald Denny (di cui non avevamo mai sentito parlare prima di Pordenone 38). Da una parte il repertorio di gag del comico e dall'altra la più complessa struttura di commedia. La slapstick, tutta azione vorticosa e parola svitata da una parte e la “commedia sofisticata”, tutta giocata sulla serietà massima con la quale si affronta la situazione più assurda, illogica, farsesca  e paradossale, dall'altra.
Le nasty girls, le gags, i comici eleganti o straccioni, le torte in faccia, le cadute, gli scherzi, le eccentricità a ripetizione, la tradizione antichissima del duo grasso/magro e stolto/finto colto .... insomma quella che poi ritroviamo in Stan Laurel e Oliver Hardy di The Duck Soup. E le pagliacciate a ripetizione che durano poco ma fanno ridere molto devono diventare altro se si passa al lungometraggio dotato di una struttura più complicata e psicologie meno primordiali e poi al film parlato. E comunque non si devono mescolare i generi, non ci si può sovrapporre. Jerry Lewis  con Dean Martin è una cosa, Jerry regista un'altra. Non si può fare commedia sofisticata esagerando nelle pagliacciate continue perché già la situazione che si descrive nella commedia è “al limite”, assurda, paradossale. E' questo l'insegnamento che Reginald Denny, star dell'Universal negli anni 20, consegna al suo successore dell'era parlata, il connazionale Cary Grant, polemizzando con il suo primo regista di studio, Harry Pollard, che vorrebbe esagerare nelle scemenze a ripetizione (Oh Doctor, con una bellissima Mary Astor giovane) mentre impone a Carl Leammle un più misurato e raffinato regista, William Seiter (di What Happened to Jones) per rendere il divertimento più sottile ed efficace, meno puerile e più, appunto,'sofisticato'. Sarà Cary Grant con un inglese meno radicale di quello di Denny a ottimizzare il percorso assieme a Hawks e Katharine Hepburn. La faccenda non è solo estetica è anche etica. Per combattere le dittature europeee occidentali e le loro culture democraticamente autoritarie e fasciste, dunbque portatrici di valori davvero eccentrici e paradossali nno c'era nessuna arma di distruzione di massa così efficace e potente come l'umorismo hollywoodiano. 

Reginald Denny
Insomma quest'anno si analizza seriamente il buffo, i buffoni e la loro pericolosità. La comicità europea d'inizio 900 che diventerà scienza seriale a Hollywood. La tradizione circense, vaudeville e di farsa popolare da strada che poi da slapstick comedy effimera, con inseguimenti al cardiopalma di poliziotti perennemente beffati, entrando in metamorfosi consegnerà alla 'commedia sofisticata'.
Si radiografa anche il trapasso dal cortometraggio al lungometraggio. Passaggio possibile, industrialmente, solo dando alle banche che anticipavano i capitali garanzia di tenuta di tutta la macchina attraverso un prodotto differente da quello che fino al 1914-1915 aveva permesso all'oligopolio Biograph-Vitagraph di dettar legge esclusivamente con il corto, e possibilmente senza star. Come si passa dall'inglese Reginald Denny all'inglese Cary Grant che decide lui con chi e come fare i film? Come Charlot "il francese" diventerà Chaplin regista di lungometraggi? Come fanno Oliver Hardy e l'altro inglese Stan Laurel a resistere al passaggio cinema muto-cinema sonoro senza disturbare il pubblico americano che detesta l'accento Oxford almeno quanto l'accento cockney? Perché Ernst Lubitsch di cui vediamo la farsa “sbagliata” del 1914 “L'orgoglio della ditta”, che lo vede protagonista (ed è già un personaggi di commesso di moda costruito come avrebbe fatto Jerry Lewis) ma non regista (è d Karl Wilhelm) dovrà andare in California, letteralmente spintonato da Mary Pickford, per sprigionare davvero tutta la sua potenza comica sovversiva? Perché il razzismo congenito nelle società aristocratiche e assolutiste dell'Europa pre -bellica (e figuriamoci post bellica) non può sopportare una commedia nella quale i modelli di bellezza e di etica non siano caucasici e ariani e il senso dell'umorismo yiddish già tutto collegato alla tecnica di sopravvivenza economica, appare scandaloso all'ipocrisia cattoprotestante?
Su queste domande il direttore Jay Weissberg ha costruito il bellissimo programma 38.
Ricordiamo che Reg Denny, pugile professionista peso massimo (ha utilizzato abbondantemente questa sua arte secondaria nei film) è stato anche un ingegnere esperto in modellistica, anzi i suoi esperimenti hanno contribuito alla costruzione di droni militari adottati perfino durante la seconda guerra mondiale. E nella sua industria, la Radioplane Company, che produceva soprattutto aerei telecomandati per ragazzi, ha lavorato una giovanissima operaia di nome Norma Jean Morrison, la futura Marilyn Monroe.
Marion Davis
Marion Davies, raffigurata a colori nel poster dell'edizione 2019, è la protagonista di una eccellente commedia romantica da operetta mitteleuropea, a forti striature sofisticate, e brani girati a colori, diretta nel 1924 da Sidney Franklin, Beverly of Graustark, e il set le è particolarmente caro perché per tutto il tempo sembra di stare, sala da pranzo soprattutto, nel castello medievaleggiante e un po' cupo del suo magnate amante, Mister Hearst, presso Cambria, California. Il film è molto inquieto perché è uno dei primi concentrati sugli equivoci nati dal cambio di sesso e di vestiti. Il cross-dressing, lei si veste da uomo, per conquistare un trono, e poi si dovrà "travestire" da donna, per conquistare la sua guardia del corpo (la parodia, in anticipo di qualche anno, però, è di Marlene Dietrich, zarina di nome Caterina nel film di von Sternberg) provocando lo stesso effetto che fa Stan Laurel quando in The Duck Soup è costretto a travestirsi da cameriera, turbatissima quando la padrona nuda le chiede di massaggiarle la schiena. E' un altra situazione proibita nel cinema europeo delle dittature razziste, sessuofobe e assai turbato da ogni accenno gender negli anni venti e trenta. E proprio sul cross dressing probabilmente Weissberg potrebbe costruire nei prossimi anni una riflessione più approfondita. 
Marion Davis mezzouomo e mezzodonna in Beverly of Graustark


ps. In "Oh Doctor", l'ipocondriaco Reg Denny guarisce alla sola vista della infermiera Mary Astor. Colpo di fumine.  Ma essendo un ragazzotto (somiglia nel film un po' a Harold Lloyd e un po' a Paolo Fabbri) che ha paura di tutto, perfino delle bistecche, è convinto di morire da un momento all'altro, e soprattutto non sa proprio come comportarsi con le donne, per guarire chiede alla sua cameriera scatenata e danzerina quali sono le qualità che servono per conquistare le ragazze. Sono 4. 1. Guidare la macchina. 2. Saper ordinare a cena. 3. Saper ballare e 4. Non avere paura di niente. Inizia allora un indiavolato esperimento su stesso e la sua capacità di mettersi all prova. Guida bolidi da corsa inautodromo (ma contromano), la motocicletta senza averla mai presa in mano e decide di dipingere il pennone di un grattacielo sfidando il suo terrore delle vertigini. Ma chi è più terrorizzato di lui sono 3 banchieri (sui quali John Landis si baserà per i cattivi di 48 ore) che gli hanno prestato 100 mila dollari in cambio dei 750 mila che riceverà in eredità tre anni dopo, a meno che non muoia prima....   

martedì 8 ottobre 2019

Pordenone 38. Le Giornate del cinema muto ovvero Back to the Future


Roberto Silvestri, da Pordenone

Marion Davies nel poster di Pordenone 38
Giornate del cinema muto numero 38. Fino al 12 ottobre.
Una festa unica che si svolge quest'anno dal 5 al 12 ottobre nel teatro Giuseppe Verdi, restaurato anzi rifatto ex novo e molto male, trasformato in una specie di gigantesco Vespasiano di marmo bianco, durante la gestione cittadina della Lega di una volta.
Al primo piano del teatro poster, merchandising, rarità bibliografiche e dvd del cinema muto, introvabili altrove. Ho comprato un Protazanov a 16 euro. Gvozd' v sapage. Del 1932. Censuratissimo da Stalin perché prendeva in giro, fin dalle scaturigini, i processi stalianiani diretti da Andrej Januarevic Vyzinskij. Qui si svolgono le presentazioni dei libri e dei progetti che riguardano il 'silent movie'. Mercoledì Marco Giusti presenta il suo lavoro su Polidor e Polidor, ovvero un saggio che costa 20 euro su un grande clown e comico delle origini, Ferdinand Guillaume (1887-1977) che con Fellini girò Le notti di Cabiria e La Dolce Vita, e sul fratello Edouard,
Perché il clima di Pordenone è diverso dagli altri?
Non è solo un appuntamento (tra i più prestigiosi del panorama italiano cinematografico, se non il più autorevole) diretto da un americano a Roma, Jay Weissberg. Rispetto al predecessore inglese, lo storico David Robinson, il giornalista di Variety ha abolito completamente le lunghe o brevi presentazioni dei film serali, consegnando tutto quel che c'è da dire sui singoli film, sulle specifiche cinematografiche e sui “movimenti” e le sezioni al catalogo (13, 14...), ricco e esaustivo.
Ma è proprio l'unico “festival” che si svolge in Italia nel quale la lingua principale è l'inglese.
Un meeting e un melting pot di specialisti che vengono da tutto il mondo, restauratori, filologi del cinema “primitivo”, prima che di appassionati e di storici generici e di critici e di pubblico che comunicano con la lingua mondiale. Qui al bar, tra un bicchiere di bianco e l'altro, prima di pranzo, due anziani del posto col Gazzettino in mano parlano di.. cinema e non di contanti o carte di credito?. “C'è un film bellissimo”.... “Dove, al cinema muto?” “Ma che cinema muto! a Cinemazero... con quell'attore di cui parlano tutti... bravissimo.... ah si Ad Astra... mi hanno detto che è bellissimo”. Tutto in dialetto. Sorprendente.
Il cinema muto, a lungo andare, fa benissimo anche al cinema sonoro... E lo rende anche più comprensibile. Venendo qui scopriamo che le idee iconiche che credevamo moderne sono invece antichissime. Sguardi in macchina e a colloquio con lo spettatore? Ben prima di Billy Wilder e J.-L. Godard ritroviamo il vezzo brechitiano in Il bacia cuoio cioé The Leather Pusher di Harry A. Pollard con Reginald Denny (Usa, 1922), gentleman boxeur costretto ai guantoni dopo il crack finanziario del padre miliardario. Il suo manager, a dieci minuti dall'inizio del film, racconta la trama a chi è arrivato un po' tardi allo spettacolo... Questo Reginald Denny, bellezza charmant, è una star dell'epoca muta che ha avuto anche tanta parte nella storia dell'industria bellica, perché ha inventato cose ingegneristiche che più tardi sarebbero state utilissime per costruire i droni. Il rapporto tra cinema e ingegneria non si limita dunque alle scoperte radar di Hedi Lamarr o alle origini universitarie di Alfred Hitchcock...
Prendiamo poi In the sage brush country di William S. Hart, il primo grande cowboy di Hollywood. Il cattivissimo, una sadica 'jena ridens' messicano, rapinatore con tanto di sombrero, rapisce la bella ariana e la vuole concupire. Lei si barrica, lui prende l'ascia e sta sfondando la porta, proprio come Jack Nicholson in Shining. Kubrick era molto più colto visivamente di quanto potevamo immaginare. Arriva l'eroe Hart (che in realtà vuole liberarla, ma per rapinarla...) e.... Il film è del 1914. L'eroe è sempre inizialmente non un 'senza macchia e senza paura', ma proprio un fuorilegge che si caracolla con il suo gilé fantasia (Marilyn Monroe non a caso farà una frecciatina contro Hart in Quando la moglie è in vacanza), un rapinatore o un criminale inferocito e incarognito dalla malvagità generale, che poi ritrova sempre un surplus di umanità in più. Rispetto ai buoni ipocriti e ai cattivi inguaribili che lo circondano, siano donne di malaffare e traditrici dagli occhioni prensili o loschi individui incrociati nei saloon che vogliono solo raggirarlo. Sarà l'unico, lui e il suo fido, velocissimo cavallo pezzato King, capace di farsi ipnotizzare dal messaggio che angeliche creature ingenue, in genere adolescenti bionde, candide d'espressione e di bianco vestite, sanno trasmettere. E' quello che succede in “The aryan”, del 1916, notare il titolo, piena epoca Nascita di una nazione, nel quale in nome di istanze patriottiche (la guerra anche commerciale contro il Messico) si riappropria della sua identità wasp e tradisce i suoi complici criminali che sono tutti brutti, ispanici e indiani. Non c'è che dire, Hart è proprio il simbolo dell'imperialismo razzista senza vergogna In un bellissimo corto sonoro e a colori del 1939, “Tumbleweeds” di William Berke, Hart, ormai anziano, ma sempre vestito da cowboy, rievoca la grande corsa alle terre rubate ai Coman
che dal governo Usa nonostante patti e contropatti. Prima quelle terre appartenevano agli indiani. Poi Washington le ha date agli allevatori e nel 1889 a chi, bianco e cristiano, voleva prendersele, semplicemente decidendo che le avrebbe coltivate e che avrebbe costruito lì sopra la casetta dei suoi sogni difendendosi con pistole e fucili dagli avidi gruppi finanziari in cerca di petrolio o di speculazioni ferroviarie. E lo dice candidamente, senza rendersi conto dell'orrore. JohnWayne avrà la stessa faccia tosta e ruberà le sue stesse due espressioni, col cappello e senza. Ma come sono ineguagliabili e artisticamente complesse quelle due espressioni. Non c'è neppure bisogno del trucco agli occhi, sopra e sotto, quel nero utilizzato per affidare all'espressione dello sguardo il tragitto narrativo di tante sequenze mute.
Dicevamo atmosfera unica. Piuttosto calorosa, anche per sottolineare gli accompagnamenti musicali, non più solo il pianista solista ma spesso piccole band, di raffinatezza inusuale. Qui non ci sono claque, uffici stampa obbligati ad applaudire calorosamente, né interviste da piazzare, purtroppo.
Dicevamo del programma, fittissimo, di questo numero 38. Una cinquantina gli appuntamenti cinematografici, divisi in quindici sezioni. Quelle personalizzate, oltre a Hart e Reginald Denny riguardano Mario Bonnard, ovvero i giri europei di un cineasta italiano dopo la grande crisi della nostra industria per colpa della grande guerra; le super star francesi Mistinguett (le gambe più “assicurate” della storia, ma anche le mani erano di rara potenza seduttiva) e Suzanne Grandais. Oltre alla prosecuzione della monografia John Stahl.
Una riguarda una cinematografia nazionale poco conosciuta e interessante, l'Estonia.
Quattro sono invece più storico-critiche: lo “slapstick europeo”, ovvero il contributo comico del nostro continente, e soprattutto dei clown e dei surrealisti gestuali di Francia e Inghilterra, alla nascita della grande comicità “Chaplin-Keaton-Lloyd “; la “pubblicità nel muto” ovvero come si facevano gli spot attorno alla prima guerra mondiale; i “corti del cinema di Weimar”, che aiutano a comprendere meglio un periodo molto complicato della storia tedesca e del suo immaginario. E i “film sul cinema” ovvero come già in epoca 'sorda', si producevano documentari per raccontare i retroscena artistici e industriali della messa in scena, come funzionava uno studio system e il sistema di censura e anche come francesi, tedeschi e inglesi glorificavano il proprio ingegno secolare documentando il contributo specifico, artistico e scientifico, alla nascita della settima arte, tornando indietro nel tempo fino al XVII secolo e alle Lanterne Magiche, per poi passare a Reynaud, Grimoin-Sanson, Marey, Gaumont, i Lumiere e Muybridge, Edison...
Una, di interesse più strettamente museografico, riguarda i tesori dell'Archive de la Planete, ovvero della collezione fotografica e documentaristica parigina Albert-Kahn. Infine le sezioni tradizionali del festival: il Canone rivisitato, cioé la riproposizione di grandi classici (come il Faust di Murnau con un Emil Jennings che spiega a Joaquim Phoenix e perfino a De Niro che c'è modo e modo di strafare e che si può andare anche oltre le righe, ma bisogna essere sempre diabolicamente e subdolamente sorprendenti mai compiaciuti di sé), le riscoperte, i ritratti (Keaton) e gli eventi speciali, che sono gli appuntamenti popolari di grido, per i film celebri o spettacolarmente stuzzicanti, accompagnati dalla grande orchestra, quest'anno: The Kid di Chaplin del 1921; Carmen jr. di Alf Goulding satira esilarante dell'opera di Bizet con la piccola Baby Peggy Montgomery (Usa, 1923); The Lodger di Hitchcock inglese, Dogs of war di Robert F. McGowan (Usa 1923) e Fragment of one Empire di Fridrik Ermler (Urss1929) che, a proposito di furti contemporanei, è il film famoso per il Cristo in croce con la maschera anti gas, e racconta la storia di un sottufficiale che ha perduto la memoria nella grande guerra e che si ritrova dieci anni dopo e a memoria ritrovata in una San Pietroburgo diventata Leningrado e in una Russia ex zarista, ora socialista, costruttivista e avanguardista. Ricorda qualcosa? Goodbye Lenin del 2003, e del post DDR, no?
Tra i film più sorprendenti visti nei primi giorni vogliamo ricordare un “documentario ricostruito”, realizzato in perfetto stile 'terzo cinema' nel 1918 dall'argentino “bianco”, lo scrittore progressista Alcides Greca, El Ultimo Malon, sulla feroce repressione di una insurrezione indigena del 1904. Poveri, sfruttati, umiliati e senza terre dopo la rapina coloniale, un migliaio di indios Macovi, dopo essersi sbarazzati di un capo asservito, attaccarono armati alla meno peggio la città di San Javier, nella provincia di Santa Fé, sicuri che dopo i riti propiziatori sincretici, “le pallottole del nemico si sarebbero trasformate in fango”. Non fu così. Oltre 50 i morti. Una storia autentica nella giungla del Chaco narrata assieme agli stessi reduci della insurrezione. Senza pietismi né paternalismi.
Il film cinese e nazionalista del 1932 (il sonoro in alcuni paesi è arrivato tardi) La lotta, Fen Dou di Dongshan Shi, ambientazione Shanghai, qualità fotografica stupefacente (di Zhou Ke) che a parte la romantica e struggente storia d'amore puro tra un operaio bello, onesto e virile e Rondinella, una orfanella sedicenne, ostruita dalle gelosie del violento padre adottivo di lei e da un lussurioso e corrotto amico di lui, e il richiamo patriottico alla lotta antigiapponese dopo l'invasione della Manciuria, propone interessanti lezioni morali alla Lu Shu, e una alta qualità visuale, tra urnau e Pudovkin, affidata a movimenti di macchina di grande potenza emotiva e alla scenografia verticale, quasi una la grafica della 'lotta di classe', con i ricchi sfruttatori ai piani alti e giù gli operai e più giù i contadini, portatori però di valori tutt'altyo che passatisti. Per esempio il professore di origini contadine polemizza con le vecchie idee, per esempio con l'antico detto (confuciano?) di farsi i fatti propri, e interviene con astuzia e violenza per impedire ogni sopraffazione e sfruttamento ai danni di chiunque.
Naturalmente uno dei momenti magici del programma è quando sfilano le “dirty women” d'inizio novecento, le cameriere in sciopero violento e perenne, le ragazzine che non accettano un destino simbolicamente e praticamente subalterno: le Cunegonde, le Rosalie e soprattutto Leontine, con la sua grinta dadaista e distruttiva, da suffragette a tutto campo, capace di trasformare salotto, cucina, strade, negozi e commissariati di polizia in un quadro action painting ante litteram.