giovedì 14 aprile 2022

L'urlo di Battaglia. E' morta la fotografa senza paura


Roberto Silvestri 


 «I palermitani non sono tutti mafiosi. Venite ad aiutarci, perché da soli non ce la facciamo».  Oggi, apprendendo l’orrenda notizia mi viene in mente questo primo film che le è stato dedicato. Diretto e fotografato dalla documentarista italiana che vive in Gran Bretagna Daniela Zanotto Battaglia (2004) è un’intervista- omaggio alla grande fotografa sociale palermitana, che ha insegnato a combattere (e a guardare in faccia senza paura) la Mafia, dall'epoca del quotidiano L'ora di Palermo, seguendo l'infinita sequenza di omicidi, fino ad oggi. 


Nata il 5 marzo del 1935 a Palermo (dove è morta dapo una lunga malattia il 13 aprile 2022, giornalista, ex assessore (verde) all'ambiente della giunta Orlando, ex deputata, editore, militante per la giustizia e per la libertà, premio Eugene Smith (New York, 1986) e Mother Jones Achievement for Life, 1999, ha esposto al Centre Pompidou e nelle più importanti gallerie del mondo. 

Letizia Battaglia, a 16 anni, nel ‘72, lascia il marito e parte per Milano con le tre figlie, lavorando come giornalista di cronaca e poi, per piazzare meglio gli articoli, si improvvisa fotografa. Scopre un grande talento.

La guerra «contro la barbarie più arrogante» inizia con il suo ritorno in Sicilia, e dopo l'incontro con Franco Zecchin, che sarà il suo compagno nella vita e nel lavoro. Nel frattempo diventa l'occhio di profondità della realtà isolana, una lottatrice indomabile per la libertà a 360 gradi, che Daniela Zanotto sa ritrarre con passione e finezza di tocco. 

E a cui Letizia Battaglia, il cui «archivio di sangue» fu rastrellato senza garbo dalla polizia, durante il processo Andreotti, spiega la situazione odierna: «Preferisco essere uccisa piuttosto che dichiarare di avere bisogno di una scorta, di arrendermi davanti a quelli che vogliono che abbia paura...

Dopo l'uccisione di Falcone e Borsellino, la mafia ha cambiato strategia, si sente in pericolo e si butta in politica. I mafiosi diventano i nostri amministratori». Girando nel centro storico della città barocca spiega: «Qui volevano mandare le ruspe, buttare giù tutto e fare dei grattacieli, mandando i vecchi abitanti a vivere nei casermoni delle periferie. In alcune zone sono riusciti a farlo, hanno demolito le chiese e le case che erano l'anima della città. Molti edifici sono stati comprati per un pugno di soldi dai politici stessi. Durante l'amministrazione Orlando siamo riusciti, con una stretta maggioranza, a cambiare il piano edilizio. Ora molti proprietari aspettano che la legge cambi ancora: preferiscono tenere chiusi i vecchi edifici, che diventano sempre più fatiscenti, piuttosto che restaurarli. Aspettano....». Un secondo bio-pic, Shooting the Mafia gli è stato dedicato nel 2019 da Kim Longinotto e ha avuto una vasta eco internazionale. 

Letizia Battaglia ha partecipato come ricercatrice fotografica d’eccellenza, nel 2005, al film di Marco Turco In un altro paese e nel 2014 al film-farsa-tragedia di Franco Maresco Belluscone Una storia siciliana. Con Maresco nel 2015 “complotterà” anche in Gli uomini di questa città io non li conosco (in un documentario nel quale sono stati coinvolti Scaldati, Andò, Emma Dante, Mimmo Cuticchio, Giuseppe Tornatore, Mario Martone, Roberta Torre e Goffredo Fofi, su cui Maresco sta girando attualmente un film-ritratto). E nel 2019 il bellissimo La mafia non è più quella di una volta, a 25 anni dalla strage di Capaci (un’opera particolarmente colpita dalla censura invisibile che caratterizza le democrazie liberali).


Ha recitato nella parte di una fotografa nel film, bello e sottovalutato, di Wim Wenders Palermo Shooting (2008) e ha collaborato generosamente a Lo sguardo dei turchi di Angelo Loy (2009), con Giulio Cederna co-sceneggiatore, a tre documentari sulla fotografia sociale, Fotografi (2012) e Dans un ocean d’images di Helen Doyle (2013),  Dateline (2016) ed è stata coinvolta nelle serie tv Corleonele Parrain des Parrains e L’assedio (2019). 





 

sabato 9 aprile 2022

I miliardi della manicure. Alla scoperta di Mitchell Leisen




Roberto Silvestri 


Un manicure “canaglia” potrebbe sposare il miliardario perfetto e invece si innamora di un miliardario imperfetto (ha perso tutti i suoi soldi nel grande crack, anche perché … lo ha provocato lui) che sta per sposare una ereditiera dell’ananas. Come finirà? 

Una battuta molto divertente di questa commedia brillante dal sottofondo erotico potente e imprevisto ci fa capire che siamo (proprio come in questo momento) in un momento cruciale della storia umana: “La Spagna è ancora repubblicana”…Se le democrazie europee si fossero comportate allora da democrazie, il nazismo non sarebbe spuntato dalle fogne …

Che ne dite di un giretto nel passato per aprirsi a future nouvelle jouissance?  Consiglio dunque un film di fascia alta, I milioni della manicure (domani mattina alle 11 al Quattro Fontane di Roma, ma c'è nel cofanetto dvd "Carole Lombard" a cura di Vieri Razzini), set un Grand Hotel che potrebbe essere un Trump Tower ante litteram, grondante multimiliardari. E’ un duetto del 1935 molto incandescente e pieno zeppo di bevute post-proibizionismo, tra Carole Lombard –  tra le commedianti della Hollywood classico l’unica capace di improvvisazioni free in grado di far arrossire il caos, solo Ted Tetzlaff sapeva seguirne i tempi con le luci, cesellando bianchi,  neri e chiaroscuri a ritmo - e Fred MacMurray, il cui volto era stato usato da modello per i fumetti di Captain Marvel e che esordisce “giocando a campana” con le mattonelle optical art del grattacielo.  



Il director è un mago del box-office, l’ex costumista e scenografo Paramount di Cecil B. D Mille, Mitchell Leisen, “regista delle donne” come Cukor, ovvero capace di rovesciare il punto di vista, la geometria del desiderio, dall’occhio maschile a quello femminile. Una sequenza del film, l’ultima notte passata insieme, ma distanti, senza riuscire a dormire, è guidata dal desiderio – frenato a stento dalle sigarette - di lei per il corpo maschile di lui. Una rivoluzione simbolica, come ci ha raccontato Cesare Petrolio a Hollywood Party, che ha scelto il film come curatore artistico della Cineteca Nazionale, responsabile delle proiezioni di sabato, domenica e lunedì al Quattro Fontano, ormai diventato il nostro Classic Theater. 

Ed è compito della nostra generazione far avanzare un po’ in classifica generale di molte posizioni questo cineasta che maneggia l’arabescato alla von Sternberg sia come delirio estetico che come deviazione onirica transgender (nel senso che ci sposta dall’atmosfera light della commedia a quella hard del melodramma, e d’improvviso). Come elemento strutturale, costruttivo della visione, alla Adolf Loos e alla Anita Loos.  

Ecco perché va punito il “generale capo dei vigili urbani della critica neworker”, Andrew Sarris, che colloca questo genio  solo al sesto livello nel suo The America Cinema. Forse perché Leisen era gay? Non è nel pantheon, nella Champions League, con Ford, Hawks, Hitchcock e Welles. Non è in serie b con Minnelli, La Cava e Cukor. Né in C con Stahl, Ulmer, Jacques Tourneur. O nel quarto livello con Antonioni, Eisenstein e Rossellini, e neppure nel quinto con Wilder, Mamoulian, Wellman e Wyler. Però con lui vediamo James Whale, Busby Berkeley, Michael Curtiz, Mervyn Le Roy, Delmer Daves, Henry Hathaway, Burt Kennedy… accomunati nella categoria “i simpatici leggeri” . Sempre meglio di Kubrick, che è tra i ‘seriosi’, o di Corman, Cassavetes e Coppola (“gli strampalati”), di Tod Browning, Henry King e Paul Fejos (meritevoli di ulteriori ricerche) o dei clown (Jerry Lewis, i Marx, Fields…). Oscurato alla Paramount da Lubitsch e Sternberg prima, poi dall’insorgenza degli ex sceneggiatori promossi (Preston Sturges e Billy Wilder) che ne segnarono il declino, comunque Sarris trova i suoi film anni trenta stilisticamente validi ma cita Easy Living, Midnight, Lady in the Dark, Remember the night, Hold Back the Down, ma non questo Hands Across the Table (I milioni della manicure) e neppure l’altro duetto Lombard-MacMurray.


Chi conosce il film di cui New York New York è il remake, sa di cosa si tratta: stesso romantismo acido, stessa geometria del desiderio erotico (a guida femminista) in  Swing High, Swing Low, 1937, commedia brillante che si trasforma in exotic musical panamense e poi diventa, a Manhattan, nei locali afro-latini della perdizione, un fiammeggiante melodramma dark.  MacMurray che era stato un cantante nell’orchestra di Geroge Olsen e Gus Arnheim e che suonava il sassofono in numerose jazz band - come il Californian Collegians diretta da Bob Hope nel lavoro teatrale Roberta del 1934 - prima di diventare, un po’ per caso, attore e poi star grazie a Leisen viene completamente disincarnato dall’amore. Abbandonato da lei per un equivoco plausibile, smette di suonare (la tromba) e l’alcool lo porta alla perdizione… Carole Lombard ha tutte quelle qualità che la tradizione ha considerato tipicamente femminili e tipicamente maschili. Niente ci impedisce di considerare questa storia d’amore da lei guidata sia eterosessuale che omosessuale. Una rivoluzione. Peccato che sia morta giovane in un incidente aereo. Credo sia stata l'unica personalità al mondo che riuscì, grazie al suo mitico press agent Russell Birdwell, a diventare sindaco onorario di Culver City e a far dichiarare un certo giorno dell'anno il "Carole Lombard Day", convincendo il produttore David O. Selznick a dichiarare la festa una vera giornata non lavorativa.