Mariuccia Ciotta
Cannes
La Pixar di John Lasseter, accolta trionfalmente per Inside Out, ha qui sulla Croisette il suo contro-piano, Il piccolo principe (fuori concorso), esempio di creatività e bellezza offuscate nell'iper produzione dello Studio di Emeryville. Inside Out è solo un apri-pista per il titolo di prestigio Pixar/Disney atteso per il 25 novembre, Il viaggio di Arlo diretto da Peter Sohn. Soggetto originale: e se la catastrofe che ha provocato la scomparsa dei dinosauri non fosse mai avvenuta? Seguiranno Zootopie di Byron Howard (Rapunzel) e Rich Moore (Ralph), nella scia di Bianca e Bernie, uscita il 10 febbraio 2016, anno che vedrà il seguito di Nemo (29 giugno) di Andrew Stanton e La principessa alla fine del mondo di John Musker e Ron Clements (Aladino, La principessa e il ranocchio), nelle sale il 30 novembre. Per Toy Story 4 bisognerà aspettare il 28 giugno 2017.
Molti pixel al fuoco, troppi sequel.
Cinque anni gli anni di lavorazione,
invece, per Il piccolo principe, diretto a sorpresa da Mark
Osborne, irriconoscibile rispetto al blockbuster Kung Fu Panda
(2008) della Dreamworks che predilige gag, doppi sensi, ribaltamento
e “modernizzazione” delle favole. Il testo di Antoine de
Saint-Exupéry (sceneggiatura di Irena Brignull) è
tradotto in una polisinfonia visiva che rinnova il set abusato del
cinema d'animazione e fa ricorso all'antica tecnica della stop-motion
in parallelo con la computer-graphic. Due film in uno. La storia del
principino abitante di un pianeta “appena più grande di lui”
è realizzato con burattini scolpiti nel legno e animati a
passo uno mentre è in digitale il mondo della “vera”
bambina che sogna di salire sulle stelle.
Produzione franco-canadese
(distribuisce in Usa la Paramount, e altrove la Warner Bros), il film
girato in 3D è frutto del lavoro di 400 artisti e tecnici
internazionali, dichiara il regista, le immagini sono 1600, il budget
intorno ai 57 milioni di dollari. Mobilitati per le voci grandi
attori, nell'originale: Jeff Bridges, James Franco, Benicio Del Toro,
Paul Giamatti. Per l'edizione francese (uscita il 29 luglio): André
Dossollier, Vincent Cassel, Marion Cotillard, Vincent Lindon.
Proiettato in lingua originale, ma in formato 2D, Il piccolo
principe, gran finale, è passato in sala Lumière
tra gli applausi dei pochi festivalieri ancora presenti (partenze
generali anticipate per questa Cannes caotica).
Cittadina americana ordinata in casette
tutte uguali, compresa quella della bambina, rinchiusa nella “little
box” di Pete Seeger, destinata a “riuscire nella vita”,
obbligata a entrare nella prestigiosa Académie Werth da una
giovane madre rampante, impegnata tutto il giorno. La bimba, rimasta
sola, dovrà seguire militarmente le istruzioni materne
(pranzo, studio, ginnastica, merenda...) indicate minuto per minuto
su un cartellone da manager. Se vorrà un'amica, ma solo per
tre giorni d'estate, dovrà aspettare l'anno successivo. La
piccola studentessa, sommersa da volumi e tabelle, troverà una
via di fuga, quella negata alla ragazzina di Inside Out da un
cervello telecomandato e da genitori amorevoli. Qui la madre, in
tailleur grigio d'ordinanza, incarna il principio d'ordine, la
perfetta esponente di una società plumbea, una New York
attraversata da individui cupi e curvi con valigetta in mano e la
faccia color fuliggine.
La via di fuga è una crepa nel
muretto di cinta, casa ammaccata e sbilenca, che dà accesso al
giardino delle meraviglie del vicino, l'Aviatore, un squinternato
vecchietto barbuto, inventore pazzo di macchine celibi, frastornati
aggeggi in azione tra farfalle, erba e fiori che crescono nelle
fenditure di un rottame d'auto e di un reperto archeologico a forma
di bimotore. Il vecchietto è Antoine de Saint-Exupéry,
o almeno è logico pensarlo perché scrive e disegna la
storia del principino e della sua magica rosa in aperta opposizione
alla razionalità terrestre.
Il problema non è crescere, ma
dimenticare. Perdere la memoria dell'”essenziale” che però,
lassù nel cielo fantastico del Piccolo principe, corrisponde
al superfluo. “L'essenziale è invisibile per gli
occhi”, ha l'aspetto di una volpe di pezza con gli occhi-bottone, è
il perder tempo con la lettura delle avventure dell'Aviatore che
incontrò il principino in un pianeta deserto, e disegnò
per lui un montone, ma così sghembo da finire in una scatola
dal contenuto immaginifico. E via dicendo, di asteroide ad asteroide,
abitati da un serpente parlante, da un uomo vanesio che si toglie il
capello a ogni applauso, e da un avido capitalista deciso a comprarsi
tutte le stelle per triturarle e ricavarne energia elettrica.
Le figurette in stop motion alludono ai
disegni originali e convivono con la bambina ribelle in un viaggio
dickensiano a bordo dell'aereo fantomatico verso la catastrofe
annunciata, a caccia della memoria perduta degli adulti. Ma il grido
di Peter Pan “nessuno farà di me un uomo” sarà
sostituito dalla fantasia ritrovata, e le stelle torneranno a
splendere nella notte, legate a fili d'aquilone.
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