Manoel de Oliveira mostra i suoi home movie segretissimi |
Cannes
La roccia, Paulo Rocha. Il monte, Joao Monteiro. La costa, Pedro Costa. Il dipinto, Joaquim Pinto... e addirittura l'ulivo biblico, del patriarca Manoel de Oliveira, l'ultimo dei registi che poteva gloriarsi di aver entusiasmato Luigi Pirandello. Che cognomi fisici, tattili, materici, quasi calviniani e anche concettuali. Diciamo de Oliveira e ci viene in mente l'olio di Joseph Beuys. Altro che idee “ideali”. Popolo di navigatori “terragni”, molto più del nostro, perché esposto al “vuoto assoluto” dell'Atlantico e del Pacifico giganteschi da esplorare, i visionari portoghesi più colti e sensibili attraversano la storia e la geografia con i piedi per terra, o meglio circumnavigano il mondo per scavalcare il pusillanime realismo e approdare al concreto spirituale dell'immagine, al di là e al di qua della mineralità, anche immateriale, del visibile. Devono dispiegare le immagini del “Quinto Impero”, dopo Roma, dopo la Chiesa, dopo l'Inghilterra, dopo l'America, perché “l'imperialismo culturale” agognato negli scritti di Pessoa è come una globalizzazione, ma dal basso e 'pura'. Un esperanto etico, surplus spirituale. Dopo il Capitale. Non sono forse i portoghesi ad aver rivoluzionato il paese, ultimi in Europa, 41 anni fa, lasciando sul campo solo 4 morti (e per colpa della Pide)? “Vedi quella cameriera?” mi disse Monteiro a Pesaro, durante la Mostra del Nuovo Cinema. “Non sta lavorando, sta danzando”. Vedere le “carte che ballano”, i colori che contraddicono le figure che li indossano, le forme che fanno esplodere, come graffiti, le parole che le indossano. Questo incanto tecnico e tattico ai cineasti portoghesi, anche della nuova generazione, riesce facilmente. A Cannes tutti sono in estasi per “Le Mille e una notte” di Gomes non a caso.
I loro film, benfichisti o portegni, senza avere alle spalle una formidabile pittura rinascimentale e umanista, sono altro, oltre, unici e misteriosi, come cifrati compiti a casa. Durissimi, spesso, da sopportare. Insostenibili. Ultraromanici. Postbarocchi. Anticlassici. Il partito preso delle cose, l'ineluttabile modalità del visibile, ma da architettare, è la loro specialità: ricordare il futuro, anticipare il passato, dare risposte “cercando di vedere” dove non abbiamo mai avuto il coraggio di ascoltare. Ecco la missione di questi degni eredi di Camoes, Vieira, Regio, Pessoa... “Prendere posizione” non significa infatti “prendere partito”. Ma riposizionare il paesaggio, la strategia, la teoria. Collocare il cielo, la terra, gli alberi, le finestra, il cosmo, le galassie, i buchi neri e così via lì e non là. I film portoghesi hanno uno stile “insurrezionale”, sono responsabili, avventurosi, ironici nel sollevare questioni, politiche e intime.
Maria Isabel de Oliveira, la moglie del regista, tra i fiori |
Nel 1982, a 73 anni, durante la preparazione di Francisca, il rampollo di un ricco industriale di Porto, ex sportivo, ex pilota d'aereo e di auto da corsa (la sua Ford V8 del 1937...), ex campione di canottaggio, ex (pessimo, a suo dire) manager dell'industria elettrica, appassionato da sempre d'agricoltura e “di cose collegate all'architettura”, girò a casa sua un film (documentario e non solo) da far vedere espressamente al pubblico solamente dopo la sua morte.
Super star anche qui, come nel film di Soulemayne Cissé O ka, la sua casa di Rua Vilarinha, a Porto, progettata dall'architetto José Porto (la “casa da Vilarinha” è stata solo recentemente classificata patrimonio nazionale come monumento del modernismo portoghese originale rispetto alle opere di Viana de Lima e Cassiano Branco)... Bellissima. Piena di mobili, di quadri dell'avanguardia lusitana, di oggetti, divani, candelabri, letti, tappeti che dialogano cone le musiche di Beethoven e i dialoghi letti fuori campo da Diogo Dória e Teresa Madruga.. Tutta la ricchezza che è stata prosciugata dall'Africa - si pensa per i 4 secoli di rapina coloniale - è qui dentro, certamente, e nelle magioni di Liosbona, Parigi, Londra, Berlino e Roma.... Ma almeno qui si rende omaggio al dolce stil loro.
Un capolavoro di abitazione che, comunque, Manoel Cândido Pinto de Oliveira, questo il nome completo, ci racconta che è costretto a vendere, dopo inutili tentativi di farla acquistare dall'università di Porto, o da altri enti statali, perché restasse patrimonio pubblico. "E' un film di Manoel de Oliveira su Manoel de Oliveira, a proposito di una casa", spiega il regista introducendoci nella sua intimità domestica e presentandoci tutti i membri di quel che chiama il suo “clan”: “Una casa è un oggetto che mi permette di intendermi con qualcun altro, niente di più”, commenta nel fuori campo la voce di un uomo... Il sound (grilli, vento, passi sul parquet...) è affidato a Joaquim Pinto. Le luci sono di Elso Rocque. Il montaggio di Ana Luísa Guimarães.
Manoel de olivira (non in questo film) |
Il poster della proiezione nella sua città, a Porto |
Morto il 2 aprile scorso, a 106 anni, poco dopo essere stato insignito della Legion d'onore, massima onorificenza francese per meriti culturali, De Oliveira è stato celebrato con questo film a Porto, il 4 maggio scorso, al teatro comunale di Rivoli, e alla Cineteca di Lisbona, il 5 maggio, nella sala M. Felix Ribeiro, prima della proiezione cannoise, presentato come stravagante “film testamento” (“aveva diretto solo 6 lungometraggi fino a quel momento, ma ne avrebbe diretti, dopo, altri 26”) dal prestigioso direttore della stessa Cineteca, José Manuel Costa, che ha ringraziato Cannes per aver sostenuto sempre l'artista, e Paulo Branco che ha coraggiosamente e per lungo tempo prodotto i suoi film. E ha parlato di un progetto contraddittorio, “era spinto dalla necessità di tramandare la memoria di quella casa e dal pudore di mostrarla, all'epoca” e di un film di “sconcertante semplicità che è un ritratto autentico, sincero e diretto dell'uomo e dell'artista”... Solo alcuni privilegiati, registi, scrittori e critici, l'avevano visto precedentemente (per esempio alla Cineteca Nazionale di Roma, perché una copia era stata donata a Gian Luigi Rondi) e amato i suoi oltre 50 film, tra lunghi, corti e documentari, dal muto ad oggi, dal primo, che entusiasmò gli scrittori europei a congresso nel 1931, Douro, Faina fluvial, al primo lungo, Aniki-Bobo (1942), ai censurati Acto do Primavera e La caccia che negli anni 60 causeranno il suo conflitto con la dittatura, al primo successo mondiale Il passato e il presente (1971), ai bunueliani I cannibali e Belle toujours (seguito di Bella di giorno) e poi ancora Benilde (1975), Francisca (1981), Le Soulier de Satin (1985), La Cassette (1994), Je rentre à la maison (2001), Un film parlato (2002), Il quinto impero (2004), Gebo (2012). Lavorando con i grandi testi letterari del Portogallo, Teixera de Pascoaes, Raul Brandao, Eca de Queiroz, Antonio Vieira, Helder Prista Monteiro ….
Ps. José Manuel Costa e Rui Machado, direttore e assistente direttore della Cineteca Portoghese, Adelaide Trepa, figlia di Manoel de Oliveira e il nipote Manuel Casimiro, hanno permesso la proiezione postuma del film, dedicato a Maria Isabel.
Ps2. "Ognuno nella vita ha un ruolo. Questo mondo è un teatro e noi siamo gli interpreti. Recitiamo il manoscritto di un dramma che cominciamo a conoscere mentre viviamo. Non conosciamo il futuro, perché l'autore non l'ha rivelato! "Visita" nasce da una condizione di possibilità. Ho capito che dovevo mantenere quel ricordo e passarlo al cinema ... Non ci sono altre ragioni più profonde. Ma del subconscio non si può parlare! "[Manoel de Oliveira]
per vedere alcune sequenze del film:
https://www.youtube.com/watch?v=ayKe_n8SlqI
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