venerdì 22 maggio 2015

A Cannes Roberto Minervini con "Louisiana, The Other Side", sulla "parte bassa" dell'America bianca

Mark Kelley in The Other Side di Roberto Minervini
Roberto Silvestri

Cannes

Dal Texas, dopo la trilogia, in viaggio verso la Louisiana di Faulkner (Una lunga estate calda), e di James Franco (che ha rifatto da poco The Sound and The Fury), fino a West Monroe. Già Robert Flaherty indagò molto sulla popolazione che più aveva patito la ferocia della grande Depressione. E' un altro stato del sud profondo, dal passato interessante, con addirittura un demagogo populista, Earl Long, come padre della patria, quasi un “dittatore democratico Usa” che amava scavalcare a sinistra perfino F.D.Roosevelt. Roberto Benigni avrebbe potuto dare interessanti dritte a Minervini, visto che ha girato tutto lo stato in Down By Law (1986) di Jarmush.

Nonostante i luoghi comuni, proprio come il Texas, anche la Louisiana ha non poco fascino, che in certi b-movie d'azione prodotti da Roger Corman nell'epoca New World fu catturato. Caldo umidissimo, paludi, crudeltà selvaggia cajun, terra di schiavi (Mandingo, Drum), voodoo e strade pericolose e reazionarie, dalle parti di Morganza. Ne sa qualcosa Easy Rider.  Certo non come il Texas, lo stato più tronfio d'America, mal governato dai Bush e con un numero di condanne a morte di african-american preoccupante e ben sopra la media. A proposito anche il Nebraska ha appena detto no alla sedia elettrica. Ma la capitale del nuovo cinema americano attualmente è più a sud di Los Angeles e Manhattan. E' a Austin, Texas, da lì vengono Linklater e Araki, Rodriguez e Matthew McConaughey...

Anche in Louisiana i poliziotti hanno le mani che prudono e il Kkk, a differenza che in Texas, negli anni 30 e 40, non è stato mai fermato da un ingegnoso magistrato... Grande ricchezza e immensa povertà anche qui, e colpisce perfino i wasp delle zone rurali, e si sta allargando l'area dei poveri bianchi, perché la modernità della globalizzazione e dei subprimes e delle catastrofiche esondazioni che fanno ridere a crepapelle i capitalisti  non guardano in faccia a nessuno (azionisti delle big company esclusi).

Ma come in Dallas Buyers Club anche in Louisiana si sa reagire, con meno rabbia e violenza esplicita, forse, di fronte alle calamità più “naturali” come l'aids, la droga, gli uragani, le truffe delle banche e, ci dice questo film, anche contro l'ingerenza “insopportabile” dello stato federale, dei politicanti di Washington, o peggio, di un presidente che, essendo nero, aizza un razzismo ancora più cupo, fanatico e psicotico.

L'autonomia e la libertà dello stato che fu leader del secessionismo - e non lo dimentica - non si tocca. Esige che i cittadini restino, per esempio, armati giorno e notte, lo garantisce la costituzione, e se passa anche lì, come sta succedendo altrove, una legge per annacquare questo sacrosanto diritto fondativo dell'individualismo americano, la rivolta è certa, si entrerà in una “guerra di liberazione nazionale” infinita.

Intanto laggiù, ai confini tra Texas e Louisiana, ci si addestra e si bersagliano i simboli del potere. Il tragitto è lo stesso di Walter Hill quando nel 1981 ci avvertì del pericolo di quella guardia nazionale (Southern Comfort). Da quel che Minervini scopre le cose stanno peggiorando gravemente. La maschera di Obama non è un piacevole optional carnevalesco. Ma il preferito oggetto del dileggio. I fucini mitragliatori dei suprematisti è lui che cercano.

Le paludi della Louisiana.....
Era in concorso a Cannes Louisiana -The other side nella sezione Un Certain Regard che è da oggi nelle sale italiane (a Roma al Quattro Fontane e all'Alcazar dove questa sera, 28 maggio, alle 20.30, lo presenta il regista in persona Roberto Minervini, cineasta marchigiano che vive da molti anni nel profondo sud e sta dedicando ottimi lavori (documentaristici, misti e non) “di profondità” a questa parte dell'America paese di dio più dimenticata.

Lui non è un filmaker di quelli che planano sul territorio, lo fanno proprio in un batter d'occhio, “sparano” a volontà, non lasciano feriti e tornano a casa con il loro bel bottino di immagini digitali spettacolari. Fa cinema di osservazione che si lascia attraversare dalla nantura e dalla cultura locale. Non shooting autoritario e spettacolare. Niente Louisiana addio. Se c'è un riferimento cinematografica che fa capire il suo metodo e le sue passioni geografiche forse è solo il lavoro etnopoliticomusicale di Les Blank.

Ma sono ultrasuoni quelli che cattura Minervini. Senza la complicità totale delle persone di cui racconta la vita e le opere, non si gira. Non solo. Come molti cineasti della giovane generazione preferisce non interferire. Si lascia guidare, senza giudicare, senza dare risposte. Altro che Emile De Antonio. Finiti i tempi del regista militante. Che incontra i Weather Underground, uomini e donne, in clandestinità, discute con loro, perché ha risposte migliori da dare per guidare il movimento rivoluzionario.

Ma anche qui, a differenza del cinema verità o del cinema diretto, che fanno dell'oggettività un idolo quasi metafisico, perché interferire con il soggetto della storia sembra peccato, Minervini e la sua sceneggiatrice e compagna Denise Ping Lee entrano nelle comunità, risultano simpatici e vengono accettati. Diventano complici e compagni di gioco. Il grande gioco si chiama simulazione verosimile. F for fake. Del falso che prende il reale da dietro e lo rende più concreto e vero.

The other side segue la trilogia texana The passage, Low Tide terminata con Stop the pounding heart (2013) che ebbe grande successo proprio sulla Croisette. Lì si entrava con tatto e umiltà nelle forche caudine di una comunità fondamentalista religiosa. E si precipitava senza happy end in un destino nuziale che imprigionava la giovane protagonista - che pure aveva dato prova di istinti ribelli - per sempre.

Si osservava, sbigottiti e attoniti. E impotenti. Qui il viaggio è dentro l'illegalità, “dall'altra parte”, tra ex veterani fusi di testa e dal fraseggio contraddittorio (“io li capisco i patrioti irakeni”, e sembra di ascoltare Bossi su Milosevic) che si preparano alla guerriglia, spogliarelliste costrette a lavorare anche incinte e col pancione del settimo mese e relitti umani impoveriti dalla crisi che cercano di sopravvivere a sfratti e vessazioni di ogni tipo con piccoli furti e spaccio di eroina, “facendosi” di tutto perché c'è sempre un limite alla degradazione totale e alla mancanza di gioia di vivere.

Gli osservatori-filmaker si trasformano a poco a poco in “cercatori d'oro” esistenziali. L'ingresso totale nell'intimità, anche sessuale, dei due protagonisti, Mark Kelley e Lisa Allen, permette a Minervini, Denise Ping Lee, all'operatore e al fonico di immagazzinare non solo utili informazioni di tipo antropologico e sociologico, ma di trasformare l'oggetto d'affezione in soggetto, i drop out in attori (presumibilmente un po' pagati) e di mettere in scena una veritiera trance de vie, da cui emergono allo stato brado barlumi di “centralità cristiana” della famiglia, brandelli di amore, un pizzico di compassione e legami fraterni indissolubili.

Aspettando che, come in un film di Alberto Grifi, qualcuno dal set prenda in mano il film e glielo strappi di mano. La notizia clamorosa è anche che questa produzione che nei decenni precedenti sarebbe stata considerata troppo trasgressiva per il pubblico da brumirizzare Rai, e che è stata prodotta in soproduzione italo-francese (c'entra anche Dario Zonta) è stata appoggiata da Rai Cinema e da Arte. Una rivoluzione copernicana, speriamo definitiva, resa possibile solo dall'avvicendamento al vertice. Il cinema tolemaico Rai non è stato un granché negli ultimi 20-30 anni.Speriamo molto nell'era Paola Malanga, responsabile degli acquisti Full Rights.


The South and the Fury. La Louisiana è terra di cinema, di televisione (True Detective) e di cultura francofona e culinaria Cajun. Il primo Tarzan, impersonato da Elmo Lincoln, è stato girato proprio qui, nel 1917 presso il delta del fiume Atchafalaya, e una grande statua nello Swamp Gardens lo ricorda ancora. E poi basterebbe nominare Dorothy Lamour (cioé Mary Leta Dorothy Kaumeyer), nata a New Orleans, come gli occhi storti del comico Ben Turpin, Ray Walston o l'ex stella degli Oakland Raiders Carl Weathers o John Larroquette, sempre al fianco di Blake Edwards. E che la testa decapitata di Jayne Mansfield rotolò, dopo l'incidente d'auto, proprio presso i confini del Mississippi, vicino al lago Ponchartrain, tra Biloxi e Slidel. Alcuni importantissimi film sono stati girati da queste parti, nella capitale del jazz i remake di Cat People e di The Blob; Sex, Lies and Videotape, Una strada chiamata desiderio, Cincinnati Kid, Pretty Baby, King Creole, Tightrope, di Clint, Miller's Crossing, dei Coen...  Ma questa volta non sono New Orleans, Abbeville, Winnfield, Burnside (Piano piano dolce Carlotta di Robert Aldrich) o Baton Rouge ad attirare Minervini, ma le zone più abbandonate e periferiche, neanche Natchitoches, famosa per le sue torte di carne (Steel Magnolias, 1989)














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