di Roberto Silvestri
Premessa al genere cinematografico musica
da studio di registrazione.
Grandi
strumentisti, come il pianista Glenn Gould, hanno preferito toccare la perfezione
esecutiva nel chiuso blindato e paranoico di uno studio di registrazione, senza
però testimoni scomodi audiovisivi. Ma, per avvicinarci al jazz, che del
contatto live col pubblico vive, e il cinema ne è un gran surrogato, Robert
Altman in Kansas City, e Clint
Eastwood in Bird, hanno dotato di
luci improprie, tonali e beige il primo, timbriche dark il secondo, le session incatenate
al vinile delle orchestre swing e dei combo be-bop. Perché come Godard, anche
Altman e Clint non vogliono “comunicare qualcosa, ma comunicare con qualcuno”. Immortalati nei tracks
dei discografici e indimenticabili, nel regno del punk, anche i vocalizzi
necrobarocchi di Joe Strummer (Rude boy),
che scollegato per noi dal sottofondo in cuffia, sembra un angelo urlante
decaduto, e quelli in studio, al di là del bene e del male, di Jerry Lewis, che è solista e coro femminile allo
stesso tempo in un inno pop diversamente atonale (e che resterà insuperato) in
gloria del drive-in (Jerry 8 e tre quarti).
Il giovane Wim Wenders, non ancora regista, ma solo operatore, ci ha poi
insegnato che perfino le band rock e il “più grande chitarrista di tutti i
tempi”, Alvin Lee, possono essere valorizzati (dal punto di ascolto ritmico-solistico e dal punto di vista emotivo) guardandoli
a distanza, senza per forza fingere con la cinepresa di essere una grupie che
vuol toccarne con mano le vibrazioni più inquietanti e raddoppiare il valore
energetico della performance a forza di sovrimpressioni, camera in spalla,
filtri stroboscopici, verniciate lisergiche e stravaganti inquadrature
sottosopra (Ten Years After di
Mathias Weiss, 1966). E Peter Whithead che ha registrato per la storia
dell’umanità la prima sessione di registrazione, al Sount Techniques Studio di
Londra, dei Pink Floyd allora guidati da Syd Barrett nel 1966 (poi montato nel
1994 in Pink Floyd. London 1966/1967)
si è incollato e incantato a mezzo metro di distanza dal “carissimo fratello”
solista e lo ha spinto a un assolo infinito alla chitarra registrando
scientificamente, ma anche carezzevolmente, cosa vuol dire produrre pelle d’oca
e brividi rock. E arriviamo così al
film di Fabrizio Ferraro Quando dal Cielo…(Wenn aus dem Himmel…), l’ultimo capolavoro di “cinema in studio
musicale”, con Daniele Di Bonaventura, pianista e bandoneonista fermano di straordinaria potenza improvvisativa e il
compositore, trombettista e flicornista sardo Paolo Fresu, capace sempre, come Peppino de Filippo, di
valorizzare al massimo qualunque Totò gli stia al fianco, a duettare e
inventare altre piste musicali al di là del jazz in uno straordinario “making
off” girato in tre anni attorno e accanto a un disco in fieri, che doveva essere ma poi non è stato un tributo all’arte
contrappuntistica di Johann Sebastian Bach e all’arte della fuga come progetto
futurista.
Il regista Fabrizio Ferraro |
Un film nella musica
non sulla musica. In
un auditorium deserto, fuori dal tempo e dallo spazio, in uno studio di registrazione all’avanguardia,
dalla sonorizzazione perfetta e con i microfoni millimetricamente posizionati, vanto
della tecnologia riproduttiva, proprio come i clavicembali autentici e da museo
dell’Anna Magdalena Bach di
Straub-Huillet, sotto gli occhi di alcune telecamere collocate a distanza
strategica e matematicamente corretta, e ferme, incantate, il musicista sardo Paolo Fresu e il virtuoso strumentista
Daniele Di Bonaventura incontrano lo storico produttore della Ecm, Manfred
Eicher, per arricchire il catalogo della prestigiosa etichetta di Monaco di
Baviera con un altro disco, esplorativo e sperimentale, che debordi dai
tradizionali steccati di genere (jazz, classica, pop, rock, avanguardia, third
stream…). E’ pur sempre la mitica Ecm di Anouar Brehem, Pat Metheny e Roscoe
Mitchell… Alla ricerca non del suono giusto ma giusto di un sound anormale…Brano
dopo brano il disegno complessivo dell’album prende forma in un continuo passare
dalla tastiera-performance a quella dialettica, tra discussioni, rimontaggi, frizioni,
contrasti, cancellazioni del suono puro, scoperta di un microfono avulso
(quello del film), silenzi, rifacimenti, turbamenti, perfezionamenti, litigi,
Eicher è un tipetto, e anche Fresu non scherza, immaginiamo che nel fuori
campo…, rimessa in fusione delle sonorità e dei volumi anche imperfetti… Si va
indietro nel tempo, si incontrano i musicisti nei loro luoghi di vita, di ozio
e di lavoro quotidiani, e in concerti precedenti del duetto. Non siamo infatti
dentro un documentario-concerto. Piuttosto dentro le relazioni tra forma visiva
e forma sonora, tra moltiplicità di informazioni e suggestioni percettive. Si
svelano così alcuni segreti di laboratorio che riguardano la produzione, la
riproduzione e la ricezione della musica. Come si fa un disco senza nasconderne
la fatica e i contrasti, i momenti magici di pieno accordo e di altra
consonanza, il modo di produzione di un oggetto d’arte complesso che in genere
viene nascosto agli occhi e alle orecchie del pubblico. Testimone della
scabrosa avventura creativa di questi “tre uomini in fuga” (siamo in territorio
neutro, in Svizzera, punto di arrivo di una serie di concerti e jam session
precedenti e il riferimento è a Bach, punto di partenza del progetto), un film estremamente speciale, firmato da
uno dei più oltranzisti cineasti della corrente autonoma, il romano Fabrizio
Ferraro che qui, pur incantato dalla musica, non ne raddoppia la piacevolezza
di fraseggio, né la adorna con una gusto cromatico e melodico. Anzi lo disturba
vitalmente e viralmente con riflessioni in voice over sul suono che diventa
immagine e che la nutre, sulla musica in cerca di un pubblico a venire ecc.
Paolo Fresu |
L’importante non è
cosa suoni ma come lo suoni. Non fatevi ingannare dal basso continuo dei
riflessi blu, come fossimo in una notte losangelina di inseguimenti alla
Michael Mann. Non si cerca qualche linea di fuga orpellosa dalla claustrofobia
dello studio. Piuttosto quel che si cerca di fare è attraversare l’immagine
sonora per riappropriarsi dell’immagine visiva, del vedere, di un senso
perduto. E il riferimento va al titolo, Su
dal cielo, o meglio quando dal cielo.
E al legame con la letteratura, l’avamposto scientifico della lingua, che ha
sempre il compito di rivitalizzare una lingua, di tenere unita immagine sonora
e immagine visiva per raccontarci di cose che la parola ancora non sa dire. Distillare
la letteratura e la saggistica e trasformarla alchemicamente in immagine non
convenzionale è stato finora il tragitto formale principale, in bianco e nero, di
questo cineasta che ha lavorato sodo su testi complessi come quelli di Simone
Weil. Se la lingua (in quei casi il francese) inondava la nostra coscienza di
una qualità per così dire sensuale, ecco che questa volta Ferraro tenta di
costruire un meta linguaggio misto complessivo ancora più erotico al cui
interno si potrebbe, avendo necessità di parole e frasi, passare a elementi
visuali, acustici, addirittura stereometrici - per misurare il corpo di un
assolo, di un fraseggio o di un glissando - e variare dagli uni agli altri. Il
disco si intitola In maggiore (è
uscito il 20 marzo 2015), dal brano originale di Paolo Fresu che conclude
l’album con una serie di intervalli maggiori, dal colore raramente usato nel
jazz, e che rimandano alle atmosfere finemente arabescate d’apertura, come
fosse un merletto sonoro confezionato da un opificio cubista. Il gioco combinatorio barocco di partenza, le
variazioni di J.S. Bach che sono considerate l’origine europea della tendenza
improvvisativa jazz di dare sempre nuova vita agli standard, offrono esempi di autonomizzazione di
particelle linguistiche musicali preesistenti nella cui disposizione il caso e
l’offuscamento sintattico giocano un ruolo predominante. Certo se prendiamo una
tipica poesia barocca tedesca dell’epoca di Bach, come “Dio” di Johann Caspar Shad, la cui prima strofa è:
DIO, tu sei (il) mio Dio,
sei tu (il) mio DIO?
Dio tu sei mio.
Tu DIO sei mio,
(il) mio Dio sei tu?
Vediamo che si svolge
indubbiamente sulla linea di confine tra il parlare letterario, il
raccoglimento mistico e il gioco quasi ironico e blasfemo. Resta ferrea
l’identità barocca tra la parola e la cosa, mentre il XX secolo inizia con
l’assioma di una nuova scienza linguistica che vede nella struttura
grammaticale e sintattica della lingua soltanto una stratificazione, e la
considera un semplice fenomeno di superficie della lingua. Da cui la differenza
tra la permutazione : il gioco alternato delle parole di Schad si svolge
all’interno dello schema grammaticale e sintattico dato, per quell’autore Dio è
la cosa suprema comunque, e questa cosa egli possiede perché riesce a
denominarla nell’infinita varietà grammaticale e sintattica. Proprio come Bach
con le infinite variazioni del Clavicembalo
ben temperato. Per un autore odierno come Ferrero, o Fresu o Di
Bonaventura, il pentagramma visivo-sonoro è molto più complicato: la
permutazione, ovvero l’inversione e la variazione combinatoria di una catena di
accordi e di suoni, di immagini e di raccordi, di dialoghi e di silenzi è una
avventura, invece, il cui esito è ignoto.
Il manifesto del film |
Nel loro “In Maggiore” il trombettista sardo di Berchidda (che viene dal pop e
da Ornella Vanoni, ed è un musicista fortemente strutturato) e il bandoneonista
marchigiano, indocile alle forme tradizionali del suo strumento, cercano infatti
e ritrovano la poesia dei micro suoni e di un gesto musicale non magniloquente
ma non per questo meno espressivo, anzi controcorrente in un’epoca di crescente
“rumore militarizzato”, di battente ritmica ipnotica e di pressione acustica
mal temperata (il jazz disciplinato, da marines, è stato molto ben catturato da
uno dei successi cinematografici dell’anno, Whiplash).
Una ricerca “catturata” dal regista Fabrizio Ferraro, che ha seguiti i suoidue
geniali polistrumentisti per tre anni, tra concerti e registrazioni, e che
viene restituita in immagini e suoni in grado di rendere lo spettatore complice
e finish del processo creativo (come dimostra il concerto finale sul piroscafo,
finalmente “live” anche se visualmente così spettrale).
Nell'auditorium della Radiotelevisione della Svizzera italiana a Lugano |
A
proposito. La platea è spettralmente vuota, all’inizio, e il lavoro di ricerca
del suono mai udito, di rapporto fisico con gli strumenti e i microfoni, di esecuzione
armonica calibrata e senza prevaricazioni, di postura esatta sulla sedia e di
geometrico accordo triadico - un rituale che sembra ermetico, misterioso,
arcaico e inaccessibile come entrare in
un laboratorio rinascimentale - non sembra delineare la costruzione di una
struttura musicale, per quanto ardita. Finché la distruzione degli edemi valutativi e significanti
contenuti nel linguaggio jazz tradizionale non ci conquista e entriamo nella fuga senza moto, siamo fermi e in
movimento. Finché Fresu-Di Bonaventura non ci turbano e coinvolgono, non ci rendono
complici e il film non diventa ballabile,
anche dove inizia a tracciare arditi collegamenti tra musica, filosofia,
letteratura, cinema…. ), a cominciare dal titolo tratto da una delle ultime liriche di Friedrich
Hölderlin: un invito sibillino a tenere allertati i sensi perché qualcosa sta
per accadere. Tre anni di lavoro che trovano l’apoteosi
finale nell’Auditorium della Radiotelevisione della Svizzera Italiana a Lugano,
ma che comprende materiali girati tra le Marche, a Fermo, città dove Di
Bonaventura vive e lavora, Parigi, dove Fresu soggiorna la gran parte
dell’anno, e Lugano, il luogo scelto da Eicher per la registrazione finale. Le riprese
marchigiane sono state realizzate il 27 gennaio 2014 al Teatro dell’Aquila a Fermo
per il film che in un primo momento doveva intitolarsi Figure musicali in fuga e che con il nuovo
titolo è stato presentato in anteprima italiana il 27 marzo a Carlo Forte e il
16 aprile a Campiglione di Fermo. Distribuito da Boudu/Passepartout, è in
questi giorni a Roma, al Detour. Il film, prodotto da Rai Cinema, Run to me Film
e Opéra Films, il Comune di Fermo, la Fondazione Marche Cinema Multimedia – Marche Film Commissione e con il
sostegno del programma Media
dell’Unione Europea, ha avuto invece l’anteprima mondiale come evento
speciale del 37° Festival Cinéma Du Réel, il 25 marzo scorso al Centro Pompidou
di Parigi.
A destra Daniele Di Bonaventura, a sinistra Paolo Fresu |
FABRIZIO FERRARO è definito dai
critici italiani più autorevoli come “uno dei cineasti italiani emergenti al
tempo stesso più appartati e più sorprendenti…” Tutti i suoi film, in Italia,
sono usciti in distribuzione in sala e vengono continuamente trasmessi dalla
Rai, nelle notti di Fuori Orario, insieme ai film di Tarr, Fassbinder,
Skolimowsky, Straub, Godard, Serra. I film: 2006/2008 – Tetralogia di
film-studio sull’amatorialità, 2009 – Je suis Simone – La condition ouvrière,
2010 – Piano sul pianeta – Malgrado tutto, coraggio Francesco!, 2011 – Ethos
(verrà presto il giorno in cui gli attori e le attrici non crederanno più, che
le loro maschere e i loro costumi siano essi stessi), 2011 – Penultimo
Paesaggio, 2013 – Quattro notti di uno straniero, 2015 – Wenn aus dem Himmel…,
2015 – Sebastian0. In post-produzione.
Daniele Di Bonaventura |
PAOLO
FRESU inizia lo studio della tromba a undici anni nella
banda musicale del suo paese natale, Berchidda, nella Sardegna nordorientale.
Dopo varie esperienze di musica leggera nel 1980 scopre il jazz e nel 1982
inizia l’attività professionale registrando per la RAI sotto la guida di Bruno
Tommaso. Nel 1984 si diploma in tromba presso il Conservatorio di Cagliari e
vince i premi “RadioUno jazz”, “Musica jazz” e “RadioCorriere TV” come miglior
talento del jazz italiano. Nel 1990 vince il premio “Top jazz” indetto dalla
rivista Musica Jazz come miglior musicista italiano, miglior gruppo (Paolo
Fresu Quintet) e miglior disco (“Premio Arrigo Polillo” per il disco “Live in
Montpellier”), nel 1996 il premio come miglior musicista europeo attraverso una
sua opera della Académie du jazz di Parigi ed il prestigioso “‘Django d’Or”
come miglior musicista di jazz europeo e nell’anno 2000 la nomination come
miglior musicista internazionale. Sono alcuni di una lunga serie di
riconoscimenti in cui figurano anche le cittadinanze onorarie di Nuoro, Junas
(Francia) e Sogliano Cavour, e la Laurea Honoris Causa conferitagli
dall’Università La Bicocca di Milano. Docente e responsabile di diverse realtà
didattiche nazionali e internazionali, ha suonato in ogni continente e con i
nomi più importanti del jazz nazionale e internazionale degli ultimi
trent’anni. Ha registrato oltre trecentocinquanta dischi, un’ottantina dei
quali a proprio nome o in leadership, e con collaborazioni internazionali.
Molte sue produzioni discografiche hanno ottenuto prestigiosi premi sia in
Italia che all’estero. Nel 2010 ha aperto la sua etichetta discografica Tŭk
Music. Ideatore e direttore artistico del festival internazionale Time in Jazz
di Berchidda (ventisette edizioni svolte), è stato fondatore e coordinatore per
venticinque anni dei Seminari Jazz di Nuoro, e ha diretto il festival
internazionale di Bergamo. Autore di musiche per film, documentari, video, per
la danza e il teatro, ha anche coordinato numerosi progetti multimediali
collaborando con attori, danzatori, pittori, scultori, poeti, ecc. È attivo con
una miriade di progetti che lo vedono impegnato per oltre duecento concerti
all’anno, pressoché in ogni parte del globo.
Con Manfred Eicher nello studio di registrazione |
DANIELE
DI BONAVENTURA, Nato a Fermo (nelle Marche),
compositore-arrangiatore, pianista-bandoneonista, ha coltivato sin dall’inizio
della sua attività un forte interesse per la musica improvvisata pur avendo una
formazione musicale di estrazione classica (diploma in Composizione) iniziata a
soli 8 anni con lo studio del pianoforte, del violoncello, della composizione e
della direzione d’orchestra. Le sue collaborazioni spaziano dalla musica
classica a quella contemporanea, dal jazz al tango, dalla musica etnica alla
world music, con incursioni nel mondo del teatro del cinema e della danza. Ha
suonato nei principali festival italiani ed internazionali tra cui : Rumori
Mediterranei a Roccella Jonica ’87 e ‘88; Jazz & Image di Villa Celimontana
a Roma, Ravenna Jazz 2000 , Clusone Jazz 2001, Biennale Arte Venezia 2001;
Sant’Anna Arresi Jazz 2004; Festival della Letteratura Mantova 2004; Cormòns
2005, Accademia Nazionale di Santa Cecilia Stagione Musica da Camera 2005-’06;
Inghilterra – Music Hall Festival e Royal Festival Hall a Londra; Olanda –
Music Hall a Leeuwarden; Germania – 30° Deutsches Jazz Festival a Francoforte;
Berlin Jazz Festival; Spagna -Festa de la Mercè a Barcellona; Egitto – Opera
House a Il Cairo; Norvegia – Olavsfestdagen a Trondheim; Francia; Svizzera;
Portogallo; Brasile; Argentina; Slovenia; Croazia; Albania; Singapore; Stati
Uniti e Sud Africa. Ha suonato, registrato e collaborato con: Enrico Rava;
Paolo Fresu; A Filetta; Oliver Lake; David Murray; Miroslav Vitous; Rita
Marcotulli; David Liebman; Toots Tielemans; Omar Sosa; Flavio Boltro; Joanne
Brackeen; Greg Osby; Ira Coleman; Dino Saluzzi; Javier Girotto; Cèsar Stroscio;
Tenores di Bitti; Enzo Favata; Aires Tango; Peppe Servillo; David Riondino;
Francesco Guccini; Sergio Cammariere; Lella Costa; Ornella Vanoni; Franco
Califano; Eugenio Allegri; Alessandro Haber; Omero Antonutti; Giuseppe
Piccioni; Mimmo Cuticchio; Custòdio Castelo; Andrè Jaume; Tiziana Ghiglioni;
Furio Di Castri; U.T. Gandi; Guinga; Riccardo Fassi; Frank Marocco. Nel 2003
per l’Orchestra Filarmonica Marchigiana ha composto, eseguito e registrato la
“Suite per Bandoneon e Orchestra” commisionatagli proprio dalla stessa. Ha
pubblicato più di 30 dischi con l’etichette discografiche ed edizioni: Via
Veneto Jazz; Philology; Manifesto; Felmay; Amiata Records; Splasc(H); World
Music; CCn’C Records; e per la Harmonia Mundi l’ultimo lavoro intitolato “Sine
Nomine”. Le ultime collaborazione sono quelle con Miroslav Vitous, il quale lo
ha chiamato a partecipare nell’ultimo cd intitolato Universal Syncopation II
pubblicato dalla prestigiosa etichetta tedesca ECM. Sempre per la stessa
etichetta ECM ha pubblicato l’ultimo lavoro intitolato “Mistico Mediterraneo”
un opera condivisa con il gruppo vocale della Corsica A Filetta e Paolo Fresu.
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