martedì 5 maggio 2015

Il corpo dei suoni. "Quando dal cielo" di Fabrizio Ferraro









di Roberto Silvestri 





Premessa al genere cinematografico musica da studio di registrazione.
Grandi strumentisti, come il pianista Glenn Gould, hanno preferito toccare la perfezione esecutiva nel chiuso blindato e paranoico di uno studio di registrazione, senza però testimoni scomodi audiovisivi. Ma, per avvicinarci al jazz, che del contatto live col pubblico vive, e il cinema ne è un gran surrogato, Robert Altman in Kansas City, e Clint Eastwood in Bird, hanno dotato di luci improprie, tonali e beige il primo, timbriche dark il secondo, le session incatenate al vinile delle orchestre swing e dei combo be-bop. Perché come Godard, anche Altman e Clint non vogliono “comunicare qualcosa, ma comunicare con qualcuno”. Immortalati nei tracks dei discografici e indimenticabili, nel regno del punk, anche i vocalizzi necrobarocchi di Joe Strummer (Rude boy), che scollegato per noi dal sottofondo in cuffia, sembra un angelo urlante decaduto, e quelli in studio, al di là del bene e del male, di Jerry Lewis, che è solista e coro femminile allo stesso tempo in un inno pop diversamente atonale (e che resterà insuperato) in gloria del drive-in (Jerry 8 e tre quarti). Il giovane Wim Wenders, non ancora regista, ma solo operatore, ci ha poi insegnato che perfino le band rock e il “più grande chitarrista di tutti i tempi”, Alvin Lee, possono essere valorizzati (dal punto di ascolto ritmico-solistico e dal punto di vista emotivo) guardandoli a distanza, senza per forza fingere con la cinepresa di essere una grupie che vuol toccarne con mano le vibrazioni più inquietanti e raddoppiare il valore energetico della performance a forza di sovrimpressioni, camera in spalla, filtri stroboscopici, verniciate lisergiche e stravaganti inquadrature sottosopra (Ten Years After di Mathias Weiss, 1966). E Peter Whithead che ha registrato per la storia dell’umanità la prima sessione di registrazione, al Sount Techniques Studio di Londra, dei Pink Floyd allora guidati da Syd Barrett nel 1966 (poi montato nel 1994 in Pink Floyd. London 1966/1967) si è incollato e incantato a mezzo metro di distanza dal “carissimo fratello” solista e lo ha spinto a un assolo infinito alla chitarra registrando scientificamente, ma anche carezzevolmente, cosa vuol dire produrre pelle d’oca e brividi rock.   E arriviamo così al film di Fabrizio Ferraro Quando dal Cielo…(Wenn aus dem Himmel…), l’ultimo capolavoro di “cinema in studio musicale”, con Daniele Di Bonaventura, pianista e bandoneonista fermano di straordinaria potenza improvvisativa e il compositore, trombettista e flicornista sardo Paolo Fresu, capace sempre, come Peppino de Filippo, di valorizzare al massimo qualunque Totò gli stia al fianco, a duettare e inventare altre piste musicali al di là del jazz in uno straordinario “making off” girato in tre anni attorno e accanto a un disco in fieri, che doveva essere ma poi non è stato un tributo all’arte contrappuntistica di Johann Sebastian Bach e all’arte della fuga come progetto futurista.  



Il regista Fabrizio Ferraro
Un film nella musica non sulla musica. In un auditorium deserto, fuori dal tempo e dallo spazio, in uno studio di registrazione all’avanguardia, dalla sonorizzazione perfetta e con i microfoni millimetricamente posizionati, vanto della tecnologia riproduttiva, proprio come i clavicembali autentici e da museo dell’Anna Magdalena Bach di Straub-Huillet, sotto gli occhi di alcune telecamere collocate a distanza strategica e matematicamente corretta, e ferme, incantate, il musicista sardo Paolo Fresu e il virtuoso strumentista Daniele Di Bonaventura incontrano lo storico produttore della Ecm, Manfred Eicher, per arricchire il catalogo della prestigiosa etichetta di Monaco di Baviera con un altro disco, esplorativo e sperimentale, che debordi dai tradizionali steccati di genere (jazz, classica, pop, rock, avanguardia, third stream…). E’ pur sempre la mitica Ecm di Anouar Brehem, Pat Metheny e Roscoe Mitchell… Alla ricerca non del suono giusto ma giusto di un sound anormale…Brano dopo brano il disegno complessivo dell’album prende forma in un continuo passare dalla tastiera-performance a quella dialettica, tra discussioni, rimontaggi, frizioni, contrasti, cancellazioni del suono puro, scoperta di un microfono avulso (quello del film), silenzi, rifacimenti, turbamenti, perfezionamenti, litigi, Eicher è un tipetto, e anche Fresu non scherza, immaginiamo che nel fuori campo…, rimessa in fusione delle sonorità e dei volumi anche imperfetti… Si va indietro nel tempo, si incontrano i musicisti nei loro luoghi di vita, di ozio e di lavoro quotidiani, e in concerti precedenti del duetto. Non siamo infatti dentro un documentario-concerto. Piuttosto dentro le relazioni tra forma visiva e forma sonora, tra moltiplicità di informazioni e suggestioni percettive. Si svelano così alcuni segreti di laboratorio che riguardano la produzione, la riproduzione e la ricezione della musica. Come si fa un disco senza nasconderne la fatica e i contrasti, i momenti magici di pieno accordo e di altra consonanza, il modo di produzione di un oggetto d’arte complesso che in genere viene nascosto agli occhi e alle orecchie del pubblico. Testimone della scabrosa avventura creativa di questi “tre uomini in fuga” (siamo in territorio neutro, in Svizzera, punto di arrivo di una serie di concerti e jam session precedenti e il riferimento è a Bach, punto di partenza del progetto), un film estremamente speciale, firmato da uno dei più oltranzisti cineasti della corrente autonoma, il romano Fabrizio Ferraro che qui, pur incantato dalla musica, non ne raddoppia la piacevolezza di fraseggio, né la adorna con una gusto cromatico e melodico. Anzi lo disturba vitalmente e viralmente con riflessioni in voice over sul suono che diventa immagine e che la nutre, sulla musica in cerca di un pubblico a venire ecc.

Paolo Fresu
L’importante non è cosa suoni ma come lo suoni. Non fatevi ingannare dal basso continuo dei riflessi blu, come fossimo in una notte losangelina di inseguimenti alla Michael Mann. Non si cerca qualche linea di fuga orpellosa dalla claustrofobia dello studio. Piuttosto quel che si cerca di fare è attraversare l’immagine sonora per riappropriarsi dell’immagine visiva, del vedere, di un senso perduto. E il riferimento va al titolo, Su dal cielo, o meglio quando dal cielo. E al legame con la letteratura, l’avamposto scientifico della lingua, che ha sempre il compito di rivitalizzare una lingua, di tenere unita immagine sonora e immagine visiva per raccontarci di cose che la parola ancora non sa dire. Distillare la letteratura e la saggistica e trasformarla alchemicamente in immagine non convenzionale è stato finora il tragitto formale principale, in bianco e nero, di questo cineasta che ha lavorato sodo su testi complessi come quelli di Simone Weil. Se la lingua (in quei casi il francese) inondava la nostra coscienza di una qualità per così dire sensuale, ecco che questa volta Ferraro tenta di costruire un meta linguaggio misto complessivo ancora più erotico al cui interno si potrebbe, avendo necessità di parole e frasi, passare a elementi visuali, acustici, addirittura stereometrici - per misurare il corpo di un assolo, di un fraseggio o di un glissando - e variare dagli uni agli altri. Il disco si intitola In maggiore (è uscito il 20 marzo 2015), dal brano originale di Paolo Fresu che conclude l’album con una serie di intervalli maggiori, dal colore raramente usato nel jazz, e che rimandano alle atmosfere finemente arabescate d’apertura, come fosse un merletto sonoro confezionato da un opificio cubista.  Il gioco combinatorio barocco di partenza, le variazioni di J.S. Bach che sono considerate l’origine europea della tendenza improvvisativa jazz di dare sempre nuova vita agli standard,  offrono esempi di autonomizzazione di particelle linguistiche musicali preesistenti nella cui disposizione il caso e l’offuscamento sintattico giocano un ruolo predominante. Certo se prendiamo una tipica poesia barocca tedesca dell’epoca di Bach, come “Dio” di Johann Caspar Shad, la cui prima strofa è:
DIO, tu sei (il) mio Dio,
sei tu (il) mio DIO?
Dio tu sei mio.
Tu DIO sei mio,
(il) mio Dio sei tu?
 Vediamo che si svolge indubbiamente sulla linea di confine tra il parlare letterario, il raccoglimento mistico e il gioco quasi ironico e blasfemo. Resta ferrea l’identità barocca tra la parola e la cosa, mentre il XX secolo inizia con l’assioma di una nuova scienza linguistica che vede nella struttura grammaticale e sintattica della lingua soltanto una stratificazione, e la considera un semplice fenomeno di superficie della lingua. Da cui la differenza tra la permutazione : il gioco alternato delle parole di Schad si svolge all’interno dello schema grammaticale e sintattico dato, per quell’autore Dio è la cosa suprema comunque, e questa cosa egli possiede perché riesce a denominarla nell’infinita varietà grammaticale e sintattica. Proprio come Bach con le infinite variazioni del Clavicembalo ben temperato. Per un autore odierno come Ferrero, o Fresu o Di Bonaventura, il pentagramma visivo-sonoro è molto più complicato: la permutazione, ovvero l’inversione e la variazione combinatoria di una catena di accordi e di suoni, di immagini e di raccordi, di dialoghi e di silenzi è una avventura, invece, il cui esito è ignoto.   
Il manifesto del film
Nel loro “In Maggiore” il trombettista sardo di Berchidda (che viene dal pop e da Ornella Vanoni, ed è un musicista fortemente strutturato) e il bandoneonista marchigiano, indocile alle forme tradizionali del suo strumento, cercano infatti e ritrovano la poesia dei micro suoni e di un gesto musicale non magniloquente ma non per questo meno espressivo, anzi controcorrente in un’epoca di crescente “rumore militarizzato”, di battente ritmica ipnotica e di pressione acustica mal temperata (il jazz disciplinato, da marines, è stato molto ben catturato da uno dei successi cinematografici dell’anno, Whiplash). Una ricerca “catturata” dal regista Fabrizio Ferraro, che ha seguiti i suoidue geniali polistrumentisti per tre anni, tra concerti e registrazioni, e che viene restituita in immagini e suoni in grado di rendere lo spettatore complice e finish del processo creativo (come dimostra il concerto finale sul piroscafo, finalmente “live” anche se visualmente così spettrale).

Nell'auditorium della Radiotelevisione della Svizzera italiana a Lugano
A proposito. La platea è spettralmente vuota, all’inizio, e il lavoro di ricerca del suono mai udito, di rapporto fisico con gli strumenti e i microfoni, di esecuzione armonica calibrata e senza prevaricazioni, di postura esatta sulla sedia e di geometrico accordo triadico - un rituale che sembra ermetico, misterioso, arcaico e inaccessibile  come entrare in un laboratorio rinascimentale - non sembra delineare la costruzione di una struttura musicale, per quanto ardita. Finché la distruzione degli edemi valutativi e significanti contenuti nel linguaggio jazz tradizionale non ci conquista e entriamo nella fuga senza moto, siamo fermi e in movimento. Finché Fresu-Di Bonaventura non ci turbano e coinvolgono, non ci rendono complici e il film non diventa ballabile, anche dove inizia a tracciare arditi collegamenti tra musica, filosofia, letteratura, cinema…. ), a cominciare dal titolo tratto da una delle ultime liriche di Friedrich Hölderlin: un invito sibillino a tenere allertati i sensi perché qualcosa sta per accadere. Tre anni di lavoro che trovano l’apoteosi finale nell’Auditorium della Radiotelevisione della Svizzera Italiana a Lugano, ma che comprende materiali girati tra le Marche, a Fermo, città dove Di Bonaventura vive e lavora, Parigi, dove Fresu soggiorna la gran parte dell’anno, e Lugano, il luogo scelto da Eicher per la registrazione finale. Le riprese marchigiane sono state realizzate il 27 gennaio 2014 al Teatro dell’Aquila a Fermo per il film che in un primo momento doveva intitolarsi Figure musicali in fuga e che con il nuovo titolo è stato presentato in anteprima italiana il 27 marzo a Carlo Forte e il 16 aprile a Campiglione di Fermo. Distribuito da Boudu/Passepartout, è in questi giorni a Roma, al Detour. Il film, prodotto da Rai Cinema, Run to me Film e Opéra Films, il Comune di Fermo, la Fondazione Marche Cinema MultimediaMarche Film Commissione e con il sostegno del programma Media dell’Unione Europea, ha avuto invece l’anteprima mondiale come evento speciale del 37° Festival Cinéma Du Réel, il 25 marzo scorso al Centro Pompidou di Parigi.


A destra Daniele Di Bonaventura, a sinistra Paolo Fresu
I protagonisti. Schede

FABRIZIO FERRARO è definito dai critici italiani più autorevoli come “uno dei cineasti italiani emergenti al tempo stesso più appartati e più sorprendenti…” Tutti i suoi film, in Italia, sono usciti in distribuzione in sala e vengono continuamente trasmessi dalla Rai, nelle notti di Fuori Orario, insieme ai film di Tarr, Fassbinder, Skolimowsky, Straub, Godard, Serra. I film: 2006/2008 – Tetralogia di film-studio sull’amatorialità, 2009 – Je suis Simone – La condition ouvrière, 2010 – Piano sul pianeta – Malgrado tutto, coraggio Francesco!, 2011 – Ethos (verrà presto il giorno in cui gli attori e le attrici non crederanno più, che le loro maschere e i loro costumi siano essi stessi), 2011 – Penultimo Paesaggio, 2013 – Quattro notti di uno straniero, 2015 – Wenn aus dem Himmel…, 2015 – Sebastian0. In post-produzione.

Daniele Di Bonaventura
PAOLO FRESU inizia lo studio della tromba a undici anni nella banda musicale del suo paese natale, Berchidda, nella Sardegna nordorientale. Dopo varie esperienze di musica leggera nel 1980 scopre il jazz e nel 1982 inizia l’attività professionale registrando per la RAI sotto la guida di Bruno Tommaso. Nel 1984 si diploma in tromba presso il Conservatorio di Cagliari e vince i premi “RadioUno jazz”, “Musica jazz” e “RadioCorriere TV” come miglior talento del jazz italiano. Nel 1990 vince il premio “Top jazz” indetto dalla rivista Musica Jazz come miglior musicista italiano, miglior gruppo (Paolo Fresu Quintet) e miglior disco (“Premio Arrigo Polillo” per il disco “Live in Montpellier”), nel 1996 il premio come miglior musicista europeo attraverso una sua opera della Académie du jazz di Parigi ed il prestigioso “‘Django d’Or” come miglior musicista di jazz europeo e nell’anno 2000 la nomination come miglior musicista internazionale. Sono alcuni di una lunga serie di riconoscimenti in cui figurano anche le cittadinanze onorarie di Nuoro, Junas (Francia) e Sogliano Cavour, e la Laurea Honoris Causa conferitagli dall’Università La Bicocca di Milano. Docente e responsabile di diverse realtà didattiche nazionali e internazionali, ha suonato in ogni continente e con i nomi più importanti del jazz nazionale e internazionale degli ultimi trent’anni. Ha registrato oltre trecentocinquanta dischi, un’ottantina dei quali a proprio nome o in leadership, e con collaborazioni internazionali. Molte sue produzioni discografiche hanno ottenuto prestigiosi premi sia in Italia che all’estero. Nel 2010 ha aperto la sua etichetta discografica Tŭk Music. Ideatore e direttore artistico del festival internazionale Time in Jazz di Berchidda (ventisette edizioni svolte), è stato fondatore e coordinatore per venticinque anni dei Seminari Jazz di Nuoro, e ha diretto il festival internazionale di Bergamo. Autore di musiche per film, documentari, video, per la danza e il teatro, ha anche coordinato numerosi progetti multimediali collaborando con attori, danzatori, pittori, scultori, poeti, ecc. È attivo con una miriade di progetti che lo vedono impegnato per oltre duecento concerti all’anno, pressoché in ogni parte del globo.

Con Manfred Eicher nello studio di registrazione 
DANIELE DI BONAVENTURA, Nato a Fermo (nelle Marche), compositore-arrangiatore, pianista-bandoneonista, ha coltivato sin dall’inizio della sua attività un forte interesse per la musica improvvisata pur avendo una formazione musicale di estrazione classica (diploma in Composizione) iniziata a soli 8 anni con lo studio del pianoforte, del violoncello, della composizione e della direzione d’orchestra. Le sue collaborazioni spaziano dalla musica classica a quella contemporanea, dal jazz al tango, dalla musica etnica alla world music, con incursioni nel mondo del teatro del cinema e della danza. Ha suonato nei principali festival italiani ed internazionali tra cui : Rumori Mediterranei a Roccella Jonica ’87 e ‘88; Jazz & Image di Villa Celimontana a Roma, Ravenna Jazz 2000 , Clusone Jazz 2001, Biennale Arte Venezia 2001; Sant’Anna Arresi Jazz 2004; Festival della Letteratura Mantova 2004; Cormòns 2005, Accademia Nazionale di Santa Cecilia Stagione Musica da Camera 2005-’06; Inghilterra – Music Hall Festival e Royal Festival Hall a Londra; Olanda – Music Hall a Leeuwarden; Germania – 30° Deutsches Jazz Festival a Francoforte; Berlin Jazz Festival; Spagna -Festa de la Mercè a Barcellona; Egitto – Opera House a Il Cairo; Norvegia – Olavsfestdagen a Trondheim; Francia; Svizzera; Portogallo; Brasile; Argentina; Slovenia; Croazia; Albania; Singapore; Stati Uniti e Sud Africa. Ha suonato, registrato e collaborato con: Enrico Rava; Paolo Fresu; A Filetta; Oliver Lake; David Murray; Miroslav Vitous; Rita Marcotulli; David Liebman; Toots Tielemans; Omar Sosa; Flavio Boltro; Joanne Brackeen; Greg Osby; Ira Coleman; Dino Saluzzi; Javier Girotto; Cèsar Stroscio; Tenores di Bitti; Enzo Favata; Aires Tango; Peppe Servillo; David Riondino; Francesco Guccini; Sergio Cammariere; Lella Costa; Ornella Vanoni; Franco Califano; Eugenio Allegri; Alessandro Haber; Omero Antonutti; Giuseppe Piccioni; Mimmo Cuticchio; Custòdio Castelo; Andrè Jaume; Tiziana Ghiglioni; Furio Di Castri; U.T. Gandi; Guinga; Riccardo Fassi; Frank Marocco. Nel 2003 per l’Orchestra Filarmonica Marchigiana ha composto, eseguito e registrato la “Suite per Bandoneon e Orchestra” commisionatagli proprio dalla stessa. Ha pubblicato più di 30 dischi con l’etichette discografiche ed edizioni: Via Veneto Jazz; Philology; Manifesto; Felmay; Amiata Records; Splasc(H); World Music; CCn’C Records; e per la Harmonia Mundi l’ultimo lavoro intitolato “Sine Nomine”. Le ultime collaborazione sono quelle con Miroslav Vitous, il quale lo ha chiamato a partecipare nell’ultimo cd intitolato Universal Syncopation II pubblicato dalla prestigiosa etichetta tedesca ECM. Sempre per la stessa etichetta ECM ha pubblicato l’ultimo lavoro intitolato “Mistico Mediterraneo” un opera condivisa con il gruppo vocale della Corsica A Filetta e Paolo Fresu.






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