giovedì 21 maggio 2015

Arrivano in Europa bastimenti carichi di profughi politici armati, minacciosi, ex guerriglieri.... Dheepan, di Michel Audiard

Roberto Silvestri

Cannes

Film dai nobili intenti ma molto pasticciato, metà presepe e metà action movie, certo di stringente attualità (non c'è solo il fronte mediterraneo, 6000 boat people stanno fuggendo in queste ore dalla Birmania e dal Bangladesh tra l'indifferenza di Thailandia, Malesia, Indonesia e dell'opinione pubblica mondiale) quello che Michel Audiard, beniamino di Cannes, ha voluto costruire attorno a uno scrittore e a un attore profugo politico, Anthonythasan Jesuthasan, cingalese, ex militante rivoluzionario tamil, romanziere marxista che oggi vive in Francia dopo aver attraversato comprensibili difficoltà, economiche e culturali, e autore del dittico autobiografico, “Gorilla” (2001) e “Traditore” (2004). Ma questo “Dheepan” interpretato proprio da Jesuthasan, non è farina del suo sacco, ma l'accurata visualizzazione di una sceneggiatura originale non troppo riuscita nei raccordi e nelle psicologie scritta proprio da Michel Audiard, con la collaborazione di Noé Debré e Thomas Bidegain. Il pacchetto produttivo esagonale poi comprende tutti tutti: Canal +, ministero, film commission, banche, privati e tv pubblica...
Uno scrupoloso portiere di periferia - fuggito dallo Sri Lanka, con una falsa moglie e una falsa figlia di 9 anni, se no la cosa non funzionava, tutti e tre miracolosamente scampati agli eccidi del maggio 2009 - si trasforma (ma è sogno? è realtà?) in una macchina bipolare e schizofrenica. Affettuoso padre di famiglia, spasimante pieno di premure verso “la moglie”, che si fa sbirciare da lui nuda nel bagno, ed efficiente lavoratore da una parte. Ma, dall'altra, una sorta di Rambo impazzito, guerrigliero che si aggira nelle banlieu parigine come un pesce nell'acqua e sgomina, a pistolettate e bottiglie molotov, le gang afro-maghrebine del giro della droga... Era stato infatti una tigre Tamil, Dheepan, militante del Ltte, Liberation Tigers of Tamil Ealam, prima carcerato e poi torturato e infine miracolosamente (?) liberato... Solo che qui Stallone non c'entra. Siamo talmente ai confini della realtà e nei territori dell'allucinazione che l'happy end deve essere assicurato anche per tranquillizzare il pubblico più xenofobo di Francia. La 'sacra famiglia' di rifugiati si ricomporrà infatti, legale questa volta, vera, ma in … Gran Bretagna. La falsa moglie è interpretata dall'attrice indiana di teatro Kalieaswari Srinivasan, madre più che dilettante molto maldestra, che insaporisce il suo ruolo di ottima cuoca e domestica di un vicino potente e mafioso, con qualche finezza umoristica inattesa, come l'attrazione per le canne e la pornografia dozzinale delle riviste per soli uomini.
Dopo aver assistito in questi giorni alla pubblicità progresso del ministero della Giustizia francese, “A testa alta”, del ministero della sanità francese, “Mon Roi”, ecco che a ricevere i complimenti della stampa e della critica mondiale “ospitata” sulla Croisette, è il ministro dell'istruzione (che scuola modello quella che accoglie Illayaal, la figlia 'inventata' dei rifugiati) e quello degli interni che concede facilmente asilo politico perché mantiene una parvenza umana nonostante lo scodellare di bugie su bugie extracomunitarie....
Ma puntualizziamo. Non c'è stata mai una “guerra civile” in Sri Lanka, come si sintetizza malamente nel materiale stampa del film di Michel Audiard “Dheepan”, in competione per la Francia (ben 5 film transalpini quest'anno, una pletora sciovinista, un altro segno che qualcosa è cambiato, in peggio, con Lescure). La guerra è stata piuttosto incivile. Si è assistito impotenti, senza intervento della comunità internazionale, con giornalisti e fotoreporter occidentali espulsi, al massacro feroce della minoranza Tamil da parte del governo cingalese buddista di Mahinda Rajapaksa e del suo esercito. Gli ultimi 70 mila civili induisti uccisi, quell'anno, dopo 25 anni di guerra. Nonostante la resa dell'esercito. Si chiamò genocidio. Chi scappa da un genocidio si chiama profugo politico. Il profugo politico deve essere accolto dalla comunità internazionale in base a una convenzione dell' Onu - anno 1951 - sullo statuto dei rifugiati. L'Italia non era ancora nell'Onu quell'anno. Ma ha poi ratificato quella convenzione e oggi chiede aiuto alla comunità internazionale, che il 13 maggio scorso ha proposto di aiutarla, e assistere anche la Grecia, avamposti di chi fugge dall'Isis e dalle violenze wahabite scatenate nell'area, per ripartire urgentemente l'esodo africano e medio-orientale in base alla ricchezza, popolazione, indice di disoccupazione e numero di persone già accolte dei singoli stati Ue. E proprio la Francia si rifiuta in questi giorni di accogliere la sua quota di rifugiati, fissata dall'Alto Commissariato Onu in 20 mila, chiedendo di riceverne solo 5-10 mila in due anni. Anche perché, dicono le statistiche la Francia non sarebbe che il sesto paese, tra quelli altamente industrializzati, richiesto dagli aventi diritto (circa 620 mila, nel 2014). Dal film si capisce anche perché non si vuole (e non si deve!) finire nelle banlieu più degradate, dove le sparatorie sono all'ordine del giorno, la delinquenza metafisica regna e alle donne è imposto il velo, almeno secondo i resoconti giornalieri del lepennismo, malattia infantile della contagiata sinistra europeo di oggi e dei suoi organi di deformazione della realtà.

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