Roberto Silvestri
Sembra l'idea di un melo' noir americano
antinazista anni 40 interpretato da Sidney Greenstreet. Un ricco e
vecchio capitalista (Alan Rickman, inutilmente alla ricerca delle sue tonalità prussiane) sta per coronare il suo sogno.
Patrice Leconte |
Produce acciaio e
non vede l'ora che un conflitto mondiale lo ricopra d'oro, altro che
binari ferroviari. Così, in attesa di nuotare nei marchi, grazie ai
cannoni - è una specie di herr Krupp - e anche perché è piuttosto
malandato, sceglie tra i sudditi-impiegati della sua fabbrica il più
intelligente e bello come successore (Richard Madden), e se lo porta in casa. E'
colto, inventivo, di grande comunicativa, lavoratore indefesso, già
vede gli affari in modo global, saprà anche far l'istitutore del
figlio del magnate, un po' somaro. E' di cultura scientifica ma
disdegna le arti, va solo sgrezzato un tantino. Oltretutto,
poverissimo, è facile da catturare. Lui abbocca.
Rebecca Hall |
Sua moglie, che
herr Krupp ama, ma come ama un capitalista, perché è di sua totale
proprietà, è giovane e bellissima (Rebecca Hall). Glielo scodella su un vassoio
d'oro... La donna abbocca. Lo vuole in casa, lo stuzzica, non ne può
più fare a meno. L'ambizioso rampante (orfano che si è costruito
tutto da se') pure. Assapora l'odore del piano solo perché è stato
sfiorato dalle dite romantiche di lei. E cose simili. Già. Ha
lasciato la catapecchia in cui vive e quella servetta di fidanzata e
si è trasferito in villa. Si abitua all'idea di entrare in fabbrica
nell'auto di lusso, scansando i villici col clascon, invece che a
passo d'uomo, con gli operai.
La Dama Bionda, profumo Guerlaine,
così, si innamora del giovane e potrebbe cedere da un momento
all'altro. A quel punto il capitalista, sadico, avido, spietato
sbatte per due anni il suo sottoposto in Messico, a far fruttare un
giacimento di manganese utile all'acciaieria. La gelosia lo divora?
La Storia si può controllare quasi come un ciclo economico, ma la
storia del cuore no. E i ricchi non reggono all'amore. Perché un
grande amore, direbbe Kim Ki duk, è solo volere un più grande
dolore. Così la coppia si fa una promessa. Quando torni dal Messico
staremo insieme. Il vecchio muore, la guerra scoppia, lui tornerà....
Rebecca Hall e Richard Madden |
Lo distribuirà in Italia Officine Ubu
il film fuori concorso a Venezia del francese Patrice Leconte,
tratto da un romanzo storico-d'amore del tedesco Stefan Zweig Una
promessa. Un
european-movie che dovrebbe agevolmente appassionare i fan del
circuito d'essai che coinvolge la Germania come set (che in realtà è
il Belgio: la storia è ambientata tra il 1912 e il 1920 nella villa
e negli uffici della rampante e bellicola industria siderurgica),
attori britannici illustri e impeccabili come orologi svizzeri come
Alan Rickman e Rebecca Horn, la lingua (straniante) inglese, creativi
francesi e coproduttori della Wallonia francofona.
Un film 'pastiche' e in costume, dunque, pettinatissimo, ordinato
fino allo sfinimento e prevedibile come una superconfezione
televisiva ben rifornita di pessimi quadri alle pareti e di nodi
impeccabili alla cravatta dal rigattiere e dal costumista di turno,
che parte come un melodramma a venire (l'amore impossibile tra
Charlotte, “chiamami Lotte”, la giovane moglie melomane e non
fedifraga del vecchio e moribondo magnate dell'acciaio e Freidrich,
il giovane segretario, 'secchione', povero e paziente, del marito) e
conduce forse la coppia a venire (attraverso la catastrofe della
prima guerra mondiale - dieci milioni di morti, e tutti ventenni
maschi - e approfittando della morte finalmente sopraggiunta del
padrone) verso la felicità, ma solo dopo la parola 'fine'.
I
rapporti di potere tra “uomo” e “donna”, prima e dopo la
grande guerra, saranno completamente ribaltati in Europa, altro che
suffragette. Le donne europee saranno schiavizzare da governi
fascisti e sessuofobici (tranne in Gb). E se fossi uno scommettitore
non giurerei sul futuro di quell'amore, più o meno falso, artefatto
e costruito, su diretto ordine del magnate dell'acciaio, dal regista
del film. Più pessimista, in realtà, era il finale di Zweig, che
Leconte ha leggermente modificato. Ma se osserviamo bene la faccia da
schiaffi di Friedrich tornato dal Messico e ormai tombeur de
femmes....
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