Mariuccia
Ciotta
Venezia
Zac Efron in Parkland |
Mistero
sul Leone, a parte qualche voce sulla “sorpresa” promessa da
Bernardo Bertolucci, presidente della giuria, che speriamo non
assecondi un certo conformismo cinephile addestrato a fischiare o
applaudire senza correre rischi. Fischiato ingiustamente L'intrepido
di Gianni Amelio tornato ai tocchi surreali e minimalisti dei suoi
primi film, e applaudito un film piatto come una tavola da surf,
esordio del “giornalista investigatore” statunitense Peter
Landesman, tratto dal libro di Vince Bugliosi Four
Days in November.
Parkland
(concorso) è
il nome dell'ospedale di Dallas dove il 22 novembre 1963 John F.
Kennedy fu trasportato con il cranio fracassato dalla famosa
“pallottola magica” che seguì una traiettoria
incredibilmente deviata (compì acrobazie iperboliche e ferì
diverse persone). Solo la commissione Warren lo fu di più.
Decine
di film e centinaia di libri sono tornati su quel giorno di novembre
che cambiò la storia non solo americana, ma Parkland
sceglie un altro
punto di vista, quello della “gente comune” che gravitò
intorno all'ospedale. Medici, infermieri, guardie del corpo, agenti
dell'Fbi, e i congiunti di Lee Harvey Oswald, il tiratore,
ufficialmente l'unico responsabile dell'attentato mortale.
“Devo
scrivere un pezzo sul lato umano della vicenda” ironizza Clint
Eastwood in True Crime
davanti al condannato a morte in attesa del boia, e così
Landesman si avvia verso una tremula, lamentosa Jacqueline Kennedy
con in pugno una scheggia di cranio del marito, disteso sul lettino
chirurgico e immerso in un mare di sangue, litri e litri che
imbrattano camici bianchi, colletti, cravatte, braccia e volti. Il
medico stagista (Zac Efron, oggi più conosciuto di Kennedy e
oggetto di desiderio al Lido) si ritrae timoroso - il primario non
vuol essere disturbato, “Il presidente? Si sarà preso un
raffreddore” - e poi compulsivamente batte sul torace di Kennedy
davanti a una platea di alti funzionari con i volti costernati di
fronte a tanta competenza per la serie E.R
-medici in prima linea.
Il
“lato umano” del film si estende alla famiglia di Lee Harvey
Oswald, a cominciare dal fratello problematico
che in una lunga,
dolente conversazione con il detenuto non riesce a chiedergli se e
perché ha ammazzato il presidente. Mentre alla madre,
raffigurata come una pazza delirante, è affidato il compito di
dire una mezza verità: suo figlio è un agente dei
servizi segreti americani, non sovietici (Oswald si era recato in
Urss e si proclamava comunista).
Colpito
a morte durante il trasferimento in carcere nei sotterranei della
polizia di Dallas, stretto tra agenti di polizia, Oswald sparisce di
scena. Nessuna parola sul suo killer, Jack Ruby, morto in prigione.
L'obiettivo si concentra sulla lunga cerimonia funebre
dell'attentatore (che sempre si dichiarò innocente) e
sull'interramento commosso e pietoso. La sensibilità di
Landesman non viene meno neppure quanto la Cia si rivolge ad Abraham
Zapruder (interpretato da Paul Giamatti) per ottenere il celebre
super8 che contiene le immagini del corteo presidenziale in Elm
Street, “Ci pensi un po', per noi averlo è importante”. Il
filmino di 22' mostra tra l'altro tracce di fumo uscire da dietro
una collinetta (Oswald sparò dall'alto di un edificio) verso
la quale si riversa la folla, il che avvalora la testimonianza del
vero Zapruder in diretta tv e davanti ai servizi: “Ho sentito un
primo sparo, e poi altri due”. Nel film, se si presta attenzione,
si sentono tre colpi mentre il super8 registra le immagini, ma
neanche un parola della testimonianza di Zapruder, che deciderà
di vendere il suo prezioso filmino all'editore di Life
per 50.000 dollari, ai quali seguiranno chissà perché
altri 150.000 “per i diritti tv”. Il super8 finì in un
cassetto. Nel film, Zapruder si accolla la responsabilità:
troppo scioccante, è meglio non mostrarlo al pubblico.
Il
fumo emotivo affumica ogni dubbio, anzi si presta a consacrare la
verità della Commissione Warren. Un solo solitario assassino,
una sola pallottola. Il revisionismo storico (qui finanziato da Tom
Hanks e Gary Goetzman) passa attraverso i buoni sentimenti, dietro
ogni crimine c'è sempre un cuore che batte, una madre
piangente, un Donald Rumsfeld che fa l'occhiolino, e un devoto
maggiordomo nero alla Casa bianca, Cecil Gaines, elogiato per la sua
ubbidienza a otto presidenti in The
Butler di Lee
Daniels.
Parkland
è
pieno di vibrazioni umane, per esempio quelle di Lyndon Johnson
stravolto sotto l'ala protettiva degli agenti, presidente per grazia
ricevuta dal Texas. E zeppo di omissis. Niente su quella Cia meno
gentile che figura tra le ipotesi di complotto nell'assassinio
Kennedy in sodalizio con la mafia di Sam Giancana ed elementi cubani
anti-castristi. L'anno precedente, nel 1962, si ricorderà la
crisi dei missili nucleari sovietici di Cuba, a un passo dalla terza
guerra mondiale, e l'accordo con l'Urss in cambio della promessa
americana di non invadere l'isola di Castro. John F. Kennedy non
invase Cuba, e a qualcuno, si dice, dispiacque.
“Il
film in realtà non è sull'omicidio Kennedy” rivela
Landesman. Già. E se volete vedere il super8 di Zapruder
cercatelo su YouTube.
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