The Wind Rises di Hayao Miyazaki |
Mariuccia
Ciotta
Venezia
The Wind Rises |
“Le
vent se lève, il faut tenter de vivre”, Paul Valéry
si insinua nelle pagine di The
Wind Rises
dello scrittore giapponese Tatsuo Hori e arriva sullo schermo
disegnato di Hayao Miyazaki, assente al Lido ma applaudito dai
festivalieri per la sua opera d'animazione monumentale che già
nel titolo risponde alle polemiche asiatiche (e non solo). “Si
alza il vento. Dobbiamo provare a vivere”, il leit motiv di The
Wind Rises (concorso)
è la risposta al “vento di dio”, il kamikaze che si
scagliava sugli obiettivi militari inneggiando alla morte.
Il
film è sospettato di certe ambiguità a proposito
dell'aereo da combattimento Mitsubishi A6M1, chiamato “Zero”,
gioiello del protagonista Jiro Horikoshi, bambino sognatore e poi
ingegnere aeronautico, che solcherà i cieli a fianco della
Germania nazista.
Miyazaki
infiltra i suoi acquerelli rosa-azzurri di un segno “velenoso”,
contro la neutralità di arte e scienza, e la sua cattedrale di
acciaio, leggera ed elegante come un aeroplanino di carta si
frantumerà nell'aria in un incubo ossessivo d'apocalisse. Il
cielo solcato da migliaia di “Zero” sfumerà nell'aldilà,
addio ai soldatini di Hirorito che salutano i sopravvissuti del
Giappone in fiamme, in un'immagine finale da Porco
rosso ('92), cartoon
sull' aviatore italiano disertore (“Piuttosto che diventare un
fascista, meglio essere un maiale”). Già il fondatore dello
Studio Ghibli annunciava il suo amore per l'aeronautica e il suo
schieramento politico, ma qui siamo in territorio sensibile e Jiro
Horikoshi, il nostro eroe, piccolo e occhialuto (miope, non potrà
diventare aviatore), arriverà fin dentro i laboratori degli
anni '40 a immaginare la curva perfetta di una spina di pesce montata
in lega d'acciaio su un cacciabombardiere. Bellezza mortale.
In
soccorso arriva il sogno nel sogno, il ragazzo giapponese entra nel
mondo immaginario di Giovanni Caproni, genio italiano dell'aviazione,
ispiratore dei modellini di Miyazaki che li fa sfilare trionfanti con
il tricolore al vento. Anche Caproni fu compresso con il regime
fascista (processato, fu assolto), ma a Jiro appare svettante sulle
ali dei suoi bimotori, disegnati minuziosamente, bullone dopo
bullone, indifferente all'utilizzatore finale dei suoi giocattoli
rombanti in volo dalla prima alla seconda guerra mondiale.
Centoventisei
i minuti di un'epopea che lascia senza fiato nei paesaggi terrestri e
celesti, con le leggiadre figurine danzanti e cangianti, senza
metamorfosi né magie. Miyazaki racconta nel film (sarà
l'ultimo, dice lui, ma speriamo di no) la storia di suo padre,
progettista di componenti per aerei civili e militari, così
accecato dalle ali dispiegate nell'aria di cobalto da non vedere
intorno a sé il Giappone imperiale, e nemmeno la bambina
salvata dal terremoto del 1923, e poi incontrata dopo anno,
desiderio invisibile.
Il
poeta pensa ad altro e si lascia sfuggire, trascinate dal vento, le
sue stesse lacrime per la malattia e la morte dell'amata, trascurata
per la grande “missione”, far decollare l'impossibile. E il
risveglio sarà dentro le nuvole nere della guerra che il
cineasta lascia fuori dallo schermo, disseminato però di
segnali inquieti. Paesaggi incantati, locomotive sbuffanti,
siparietti romantici tra innamorati, la febbrile modernità
metropolitana e il lento carro dei buoi su cui troneggia la snella
sagoma dello “Zero”. Ma ecco le facce truci dei tedeschi, alleati
alla vigilia del conflitto mondiale, sprezzanti davanti alla “piccolo
e povero paese” che viene a prender lezioni dalla superpotenza, la
spia dalla parte della resistenza, il dialogo con l'amico e collega
sul “nostro aereo per la pace” destinato a Pearl Harbor.
“Accostarsi
alla bellezza può richiedere un prezzo da pagare”, Miyazaki
attraversa la storia del Novecento giapponese e sembra indicare
l'innalzarsi del vessillo dal cerchio rosso e la sua caduta nell'arco
dell'infanzia e giovinezza di Jiro, quel padre che non vide al di là
del foglio da disegno, e che per sempre resterà nella memoria
del figlio come quel kamikaze adolescente di Gus Van Sant (Restless,
2011) eternamente malinconico, afflitto al ricordo di una lettera
d'amore mai inviata alla sua ragazza, e che forse lo avrebbe salvato
dal “vento di dio”.
Dolceamaro
inchino al suo Paese, senza happy end, senza pubblico infantile
giubilante e davanti a un Giappone dominato da un governo che si
appresta a cambiare la costituzione (ritorno alla vocazione bellica)
e a insediare nuove centrali atomiche. The
Wind Rises non gli
verrà in soccorso, se non si è ciechi e al contrario di
Jiro si getta uno sguardo al di là dei sogni.
Nessun commento:
Posta un commento