lunedì 16 settembre 2013

"Locke", il Maradona del calcestruzzo

Roberto Silvestri

Nella notte della sua apoteosi, tutto crolla addosso a Ivan Locke (Tom Hardy), perfetto capo cantiere gallese di mezza età, preciso e coscienzioso fino alla pedanteria. 

Il "Maradona del calcestruzzo", sta per realizzare il più grande exploit della sua carriera: un mega grattacielo di cemento che non ha eguali al mondo (Asia esclusa). I camion arriveranno la mattina dopo. E non è una cosa semplice da gestire. Bisogna controllare la qualità del calcestruzzo (mi raccomando C6, non C5 se no tutto crolla), organizzare il flusso degli automezzi, avere i permessi in regola e le strade bloccate dalla polizia.

Ebbene quella vita, dedita integralmente al lavoro, va a carte 48, d'un tratto. Ivan Locke, padre adorabile di una coppia di ragazzi svegli, marito affettuoso e irreprensibile al 98%, tifoso caliente dei Bluenoses di Birmingham, una squadra di calcio che quella notte oltretutto vincerà per 3-1, ha deciso di buttare tutto all'aria, di andare verso l'ignoto, dalla disperazione alla redenzione, perchè la sua coscienza puritana glielo ordina.  Prende la sua Bmw nera fiammante e invece di tornare a casa imbocca l'autostrada, direzione Londra, e si dirige dalla parte opposta rispetto a Birmingham....

Perderà la partita in diretta tv ad alta definizione e perfino la doppietta insperata di un difensore scozzese mezzo scarparo, Steven Caldwell. Perderà il lavoro, tra telefonate di fuoco con i padroni americani della multinazionale edilizia scandalizzato e furiosi. Una carriera meritocraticamente perfetta, di quelle che farebbero sbavare Renzi, andrà in mille pezzi. Perderà la moglie Katrina, più puritana di lui. "La differenza tra una sola volta e mai è la differenza tra il Male e il Bene", proclama solennemente, pretendendo il divorzio. Forse vacillerà anche la stima dei figli Edie e Sean (che comunque i due goal di Clayton se li vedono, li analizzano bene, e glieli raccontano bene, ancora sotto magia). 

E tutto questo per voler essere presente, in quella notte buia e tempestosa, al St. Mary Hospital di Londra, al parto (cesareo) di Bethan, una amante fugace, ultraquarantenne, pure maledettamente intellettuale, che neanche ama, ma ha amato una notte di nove mesi prima nel suo unico atto di infedeltà coniugale. Il figlio è suo. La responsabilità è la sua religione. Non a caso si chiama Locke, il Voltaire d'Inghilterra, il padre del liberalismo e dell'illuminismo...

Tutto questo lo scopriamo solo attraverso le sue telefonate. Con la moglie, con i figli, con l'amante in sala parto, con i medici e le infermiere dell'ospedale, con i boss Usa inviperiti, con i suoi vice capo cantiere, Donal (un raccomandato di sicuro) e Gareth, a cui dovrà insegnare tutto tutto tutto, passo su passo, perchè l'apertura del cantiere sia perfetta, l'indomani come se nulla fosse. 

Tutto in auto. Un uomo solo al telefono. In autostrada, come nel Santo Gra. Una serie di drammi che Tom Hardy maneggia in tempo reale. Dalle idee semplici alle idee complesse. Negli occhi la felicità di buttare una intera vita dietro le spalle e costruirsene un'altra. Rischiando, ma, direbbe papa Francesco, la coscienza è tutto, per monocredenti, nullacredenti e policredenti. 

L'automobile, da Mack Sennet a John Carpenter, è sempre stata una superstar del cinema, fotogenica sia come protagonista, morbosamente 'sexy' (Crash di David Cronenberg), 'cattiva' (Christine) o 'buona' (Una Rolls Royce tutta gialla), horror (Le automobili che mangiarono Parigi di Peter Weir e molto Stephen King), indispensabile segnaletica metropolitano ansiogena (tragica, romantica, noir o comica) o seconda pelle cyborg dell'eroe-eroina (Driver, il ciclo 007 o Batman, il clone Drive, Il sorpasso, quasi tutto Steve McQueen, Faster, Pussycat kill! kill!).

Steven Knight
I due mezzi di trasporto, uno fisico, l'altro immaginario, auto e cinema, hanno molto in comune, compresa la data di nascita, quel concentrarsi sul sublime (affidato al dettaglio, all'optional) e sull'ossessione della 'ripresa'. Ma non è solo la gara, la corsa a velocità massima (Rush, che esce poprio in questi giorni) a rendere così speciale, eccitante e thrilling l'automobile. Il cinema underground, obliquo o d'arte (da Warhol a Gioli, da McBride a Kiarostami, da Jarmush a W.C. Fields e a Lucas) ne ha colto altri lati, poetici e politici, altrettanto profondi.    

Nella storia del rapporto 'automobile-cinema', però, pochi registi e sceneggiatori come l'inglese di Marlborough Steven Knight, 54 anni, di provenienza pubblicitaria e televisiva (ma nel 2007 ha scritto per Cronenberg Eastern Promises, nel 2006 Amazing Grace per Michael Apted  e sta scrivendo un Clash of Titans 3) hanno avuto il coraggio di tentare la missione impossibile. Rendere appassionante e grondande suspense un film che riprende in tempo reale, e dentro l'abitacolo, il viaggio notturno in automobile di un guidatore solitario, non poco seccato ma sempre 'produttivo', ripreso per lo più in primo piano. A destra dell'inquadratura, al centro dell'inquadratura, a sinistra dell'inquadratura, etc....

L'attore Tom Hardy ha sulle sue capaci spalle l'intera responsabilità del lungo viaggio in autostrada (85') e del fitto dialogare (ovviamente telefonico). Siamo dunque ben dentro un radio-movie. Come quello inventato da Anna Magnani, tutta sola con la sua cornetta nera e l'amante che la sta lasciando e non vedremo mai (ma quello era un mediometraggio). 

Le nuove tecnologie che ci permettono, nelle automobili di lusso (qui una Bmw) di parlare al telefono contemporaneamente o quasi con un numero illimitato di persone senza distrarsi usando fastidiosi auricolari o peggio cellulari o iphone schiacciati sull'orecchio, rendono il virtuosismo fonetico piuttosto mega spottistico (in una sorta di pubblicità progresso chic).

Che l'impresa sia riuscita a Locke, grazie a uno staff creativo capace di rendere il tormentone più che tollerabile, non vuol dire che il film sia più di una trovata, di un concept celibe. Non si capisce molto bene infatti come mai Ivan se ne andrebbe (senza quell'impiccio extraconiugale) tranquillo e beato a casa a vedere sulla poltrona la partita non avendo fatto niente di niente per risolvere tutti i problemi dell'indomani che apprendiamo lungo il viaggio. Altro che coscienzioso, altro che perfetto, altro che impeccabile, altro che meritocrazia.... Un vero lavativo e sadico, questo Ivan, che costringe il suo secondo a telefonare nella notte ai capi della polizia che cenano tranquillamente e a correre nelle strade di notte per beccare degli operai polacchi e assumerli su due piedi perché se no il giorno dopo....    
Anche se è mirabile (e il Bafta o gli European Awards se ne accorgeranno di certo) il lavoro barocco dell'operatore Haris Zambarloukos che fa ballare le lucette di posizioni, i fari abbaglianti e gli anabbaglianti che si riflettono sul parabrezza come fossero chorus girls di Busby Berkeley o il caleidoscopio di Collateral dei colleghi rivali in virtuosismo Dion Beebe e Paul Cameron.
Steven Knight, detto Steve (a sinistra) con Tom Hardy


Insomma c'è qualcosa di scentrato, di errato sostanzialmente  (un avverbio che però Locke il filosofo aveva in odio, fino alla sua decostruzione, dato il suo drastico empirismo) nell'operazione, anche se questo Frankenstein, completato dal sound design di John Casali/Steve Single e ricucito dalla montatrice Justine Wright, ha la sua algida piacevolezza, da guinness dei primati.   

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