lunedì 27 maggio 2013

Un gladiatore di Massenzio. E' morto Angelo Vittorioso


di Roberto Silvestri

Proprio mentre la città si riaccostava con la migliore sinistra laica, dopo la parentesi funesta di questi 5 anni, atroci per la cultura, e la Lazio umiliava la Roma, è morto a Roma, forse un po’ più riappacificato con i suoi concittadini, uno dei protagonisti più abili, simpatici e spregiudicati della ‘rivoluzione Massenzio’, Angelo Vittorioso. Era il ‘Little Tony dei cinefili’, un appassionato studioso di frontiera, un carissimo amico a cui invidiavo curiosità extraoccidentale, sapienza del territorio, abilità organizzative ‘rock’ e stomaco ‘heavy metal’ tali da smontare e bypassare qualunque ostacolo burocratico capitolino. Ed erano tanti, allora sì che c’era la Casta, ed era pure principesca e nerissima. Mi ricordo le litigate con i distibutori quando chiedevamo per il club-cine Politecnico dei film che per noi erano magici e per loro vecchi fondi di magazzino, che so, un vecchio Mario Bava, e ci chiedevano la stessa tariffa di noleggio che pretendevano per un blockbuster dell'Adriano… 
La storia di Vittorioso è lunga, ma importante. Comunista, apparentemente il tipico romano da ‘sezione’ periferica, buon giocatore di football, laziale - quella strana forma di dandysmo calcistico, umorismo blasé, una generazione più adulta e pragmatica della nosta, quella dei ventenni di allora, Bruno Restuccia, Giancarlo Guastini, Gianni Romoli, Silvia Viglia e Roberto Farina (che di quel capitolo sono stati i cosmonauti più fantasisti e creativi) fu il vero pioniere, alla fine degli anni sessanta, nella riconversione dei cine-club da vigili urbani dell’immaginario, cattolici o comunisti che fossero, in spazi dinamici, laici ed esplorativi. Era stato infatti uno dei protagonisti della salutare ‘rottura Aiace’. 
Roma in quegli anni (ma anche Genova, Torino, Napoli, Padova, Milano, Bari…) fabbricava consumo vivo e spregiudicato attraverso un network, muscolare e sudato, non ancora immateriale, di cinema d’essai. E restano mitici gli affondi cosmopoliti della sala più incandescente di tutte, il Nuovo Olympia (dove Godard, Rocha, Antonioni, Bunuel e Fellini scatenavano tifo da stadio). O del Planetario, che negli anni sessanta ci fece scoprire Dreyer e Bergman e gli espressionisti tedeschi. O, nei primi anni 70, del Rialto, oggi spazio fantasma, dannato nell’eternità per aver scodellato a un passo dal Vaticano una delle rassegne storiche sul cinema pornografico radicale e post maschilista (Gola profonda, The Devil in Miss Jones, Behind the Green Door…) che non pochi guai gli procurarono, ma che per miracolo traghettarono la provinciale Roma in un ‘mood’ metropolitano. Senza Aiace romano niente Massenzio e niente Estate romana.  
Una nottata tipica di Messenzio 1976
Certo adesso, ormai, il circuito d’essai  è stato divorato e anestetizzato dalle sale, per lo più ex parrocchiali pentite, del colosso romano ‘Circuito Cinema’. Ma allora costituì l’anello mancante tra la sala commerciale e il club-cinema, una zona liberata d’immaginario che, tramite tessera associativa, permetteva la visione di film che non dovevano sottostare alla censura preventiva o di classici espulsi dal commercio mercantile e che nessuna tv privata allora poteva rigenerale. Urrà! Finalmente si stabiliva un colloquio quotidiano con le immagini fertili del passato e vive, e il tutto in contemporanea con Londra, Parigi, Berlino. 
Arrivarono fiumi di Andy Warhol, opere rivoluzionarie (pochissime, solo 3 erano tollerate da Mao) della grande rivoluzione culturale proletaria cinese, i classici del cinema muto, strappati con la forza alle cineteche, nazionai o private, rock movies coi Cream e Jimi Hendrix, i più ‘pazzi’ e lisergici underground nostri e altrui, il ‘canone rioluzionato’ dagli autori atipici nordamericani (Fuller, Siegel, Aldrich, Corman, Altman), Carmelo Bene, Jean Marie Straub, le prime agguerrite femministe, i film arabi turchi e africani, Mario Schifano… testi, più che commerciali, che venivano letti in maniera trasversale o travisati fecondamente, contro se stessi, da abili decodificatori appassionati come (gli scomparsi) Michele Mancini, Maurizio Grande, Gianni Menon, Giuseppe Turroni, Enzo Ungari.
Angelo Vittorioso aveva fondato con Enzo Fiorenza una rivista, Altro Cinema, più militante, pungente, estrema e teenager di quelle nate dalla diaspora Aristarco (Cinema nuovo e Cinema sessanta, della vecchia sinistra; Filmcritica e Cinema e Film della nuova sinistra sessantottina) e laboratorio di giovanissimi dagli occhi, dal cuore e dalle orecchie aperte (Paolo Isaja, oggi tra i nostri migliori documentaristi; Gian Domenico Curi e Teresa De Santis che scovavano a Londra e a New York gli ska, punk e rap moviea, e a Brixton le immagini giamaicane e molto fumate della generazione reggae. Dietro tutto questo c’era Angelo Vittorioso. 
il manifesto di Massenzio 1981
Non è un caso che quando Renato Nicolini decise di negare i soldi agli esercenti che, per tradizione, ogni estate andavano a battere cassa al comune di Roma per chiedere un finanziamento pubblico e coprire così i loro (colpevoli) buchi di incasso (l’aria condizionata era considerata una americanata), si rivolse ai club-cine (L’occhio l’orecchio la bocca, il più camp, con le sue maratone di peplum e di gaymovie; Il Politecnico, il più obliquamente hollywoodiano e il Filmstudio, il più avantgarde, ma ‘era Aldo Moro tra i soci) e ai più esperti Angelo Vittorioso e Fiorenza e gli chiese: ‘se questi soldi li do a voi invece che all’Anica-Anec riuscirete a organizzare qualcosa di favoloso per la città?” 
E fu Massenzio. Costato niente e che capovolse l’ordine dei desideri e la gerarchia urbana della città. Per una volta in grado di progettare l’utopia di un altro modo di vivere, di spostarsi, di comunicare, di divertirsi - basso costo -  travestendosi da pubblico in cittadinanza critica, globalizzazione 'dal basso'. E fu l’Estate Romana, i poeti di Castelporziano, il Napoleon di Abel Gance, quell' ultimo omaggio d’addio alla grande tradizione italiana della commedia, della farsa comica, del western spaghetti e dell’horror e della fantascienza, dei generi che altri, la new Hllywood, avrebbero sviluppato. L'elogio di un cinema industriale che stava morendo, manipolato male da una nuova casta a venire. L’equivalenza schermica, dal 1977 e poi per venti anni, nel flusso fertile del consumo cinematografico, di una società in lotta che non aveva paura di fabbricare 'crescita', sviluppo nello scontro, nell’attivazione estetica di tutti i sensi esistenti e di altri a venire.
Angelo Vittorioso, per decenni, al fianco di Francesco Pettarin, è stato l’organizzatore dell’Estate romana, e il presidente della cooperativa Massenzio. Una architettura mutante e desiderosa di scomparire se le tv commerciali, a pagamento e internet avessero trasmesso anche solo un po’ di quella anima politica che le aveva sollecitate. Non è andata così. Ma non è detto che il progetto di Angelo non tornerà ad essere Vittorioso. 

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