Cannes
Agguato nelle Filippine. Il cinema è fatto della vita meno i
tempi morti. Così impone il canone del blockbuster. Ma per Lav Diaz,
cineasta filippino finalmente a Cannes al Certain Regard, i tempi
morti non sono affatto sterili, anzi fecondi. E' lì che bisogna
scovare l'invisibile che è il motore interno di ogni azione e
suggestione e mistero...Basta allungare i tempi del racconto, a 8, 9
ore. Questa volta, apparentemente sganciato dalla missione sua, e
della ricca generazione di cineasti indipendenti della Manila off
off, nipoti di Lino Brocka, cioè raccontare nei dettagli anche più
insignificanti la storia politica del paese, sue origini e
conseguenze, si dedica a una fiaba metaforica più semplice e di sole
4 ore circa. Tema il bene e il male. Norte è il titolo. Nord.
Dove la popolazione islamica è mischiata a ex cattolici attratti
sempre più dalla psicoterapia basic dell'evangelismo.
Dove per molti anni c'è stata guerriglia marxista, e poi terrorismo
islamista.
Viene assassinata una arpia di cicciona usuraia che
specula senza scruipoli sui lavoratori travolti, anche lì, da una
crisi economica che succhia il sangue ai più miserabili. L'atto
criminale è compiuto e quasi teorizzato dall'ideologo del gruppo. Un
intellettuale, studente fuori corso di diritto, frustrato dal ciclo
senza fine di tradimenti e apatie del suo paese, vuol superare la
post-modernità e la post-anarchia, posizioni inguaribilmente
esistenzialiste e individualiste. Il suo modello rivoluzionario è un
neo-surrealismo collettivo. Sparare nella folla, sì, ma non a
vanvera. Ci si deve basare sull'assoluto etico. Sempre dalla parte
del giusto contro l'ingiusto. Il fatto è che di quel crimine viene
incolpato e incarcerato a vita un poveraccio innocente, mentre sua
moglie deve far sopravvivere, facendo i salti mortali, i tre
pargoletti. E una lavandaia, nel mondo delle lavatrici automatiche, è un ferro vecchio. Mentre i sensi di colpa divorano chi sta fuori - è
fuggito via e lavora in un fast food, non senza cedimenti poco
materialisti - chi sta dentro, un uomo semplice e buono, inizia a
trovare la vita del carcere più sopportabile, quando cominciano ad
accedergli cose strane e sempre più misteriose...Un suo collega detenuto, membro di un gruppo di combattimento, assicura che domani sarà a Manila a giustiziare un politico, anche se ormai al posto di Marx giustifica le sue azioni con versetti biblici. Incanti, pause,
intermezzi musicali alla chitarra, lunghi dibattiti politici, momenti
di catatonia e di distrazione espressiva o esistenziale, tradimenti
tra amici, lunghe bevute di birrra, punteggiano tutta la storia. Un
cinema che prende i suoi rischi, che fabbrica immagine di combattimento, mentre il visuale che ci opprime diventa
sempre più onnipotente. Depotenziando le sue sequenze dal ritmo
consueto Lav Diaz affida allo spettatore la responsabilità della
guida. Che, tra morale e imorale, tra bene e male, tra giusto e
ingiusto, tra politico e impolitico, è costretto a guidare questo
bolide di formula uno dello spirito.
A proposito di formula uno, di sangue e
di violenza. Roman Polanski, in attesa del suo nuovo film in
competizione, ha presentato fuori concorso il bellissimo documentario
girato in 16mm Week end on a champion, prodotto nel 1971,
all'epoca di Macbeth, e
dedicato al suo amico pilota, la rock star più disciplinata della
storia, Jackie Steward, lo scozzese che era diventato campione del
mondo dopo aver trionfato proprio nel Grand Prix di Monaco. Un
arguto, divertente e intimo dialogo a due, più le sequenze delle
prove e della gara vincente (l'edizione 2013 si svolgerà proprio in
questo week-end). Quaranta anni dopo, restaurandolo, tagliando 30',
rimontando in certe parti il film diretto dall'americano,
trasferitosi a Londra, Frank Simon (che nel 1968 aveva presentato a
Cannes un bel documentario, The Queen, su un concorso per
travestiti di New York, ed è morto anni fa), Polanski ha aggiunto
una serie di materiali di repertorio, scene tagliate allora e una
decina di minuti di commento e aneddoti su quelle immagini, su
quell'epoca finita, sulla tecnica di guida che cambia (ogni pilota ha
i suoi segreti e Stewart ne suggerisce alcuni a Francois Cevert), sui
grandi campioni in gran parte dimenticati, come i 'gladiatori'
Regazzoni, Fangio, Moss, Pescarolo,Chiron e Graham Hill, sulle star
del momento appassionate di F1 e sul 'circo' automobilistico, così
cambiato in questi decenni. Un metodo alla Grifi, il doppio gioco
della memoria e della metamorfosi.
Colpiscono soprattutto le
differenze tecnico-agonistiche tra allora e oggi. Le difficoltà di
guidare su piste poco sicure e, come nel caso del celebre tunnel di
Montecarlo, oggi illuminato, come uscire vivi dai 'buchi neri' di un
tempo. Quasi 60 piloti morti e un numero enormi di feriti gravi (fino
a Senna), fino al momento in cui i piloti hanno preteso con scioperi
e manifestazione la messa in sicurezza dei circuiti e dei bolidi,
vere e proprie bare volanti. Stewart è stato il Landini della
contestazione. E molti cambiamenti che oggi ci sembrano ovvi,
parapetti, luci rosse quando piove, chicanes...si devono a lui, il
primo a contrattare con organizzatori e responsabili delle piste.
Allora un pilota aveva una probabilità su tre di morire.
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