di Roberto Silvestri
CANNES
James Toback, il regista omaccione e
controculturale di Fingers e Tyson, e Alec Baldwin, la star che
sei anni di serial tv hanno scalzato dallo star-system, l'anno scorso
a Cannes hanno reso omaggio al più importante festival del mondo,
per charme e giro di affari, girando proprio sulla Croisette un
mockumentary mezzo buffo e mezzo serio, Seduced and abandoned,
proiezione speciale fuori concorso.
Alec Baldwin e James Toback |
I due cineasti statunitensi raccontano
intanto se stessi e le proprie gioie e soprattutto i grandi dolori
dentro Hollywood e dintorni, poi le bellezze paesaggistiche,
culinarie e finanziarie di questa parte di Provenza, dall'arrivo
all'aeroporto di Nizza alle grandi terrazze sul mare, dalla monté de
Marche all'abbuffata di ostriche e champagne, adornando le tante
interviste con rari spezzoni di classici della storia (il film è
prodotto da Michael Mailer per Hbo) e di foto d'epoca (Sofia Loren,
Belmondo, Bardot, Welles, Truffaut, Godard, Hitchcock, etc...).
Punto di partenza dell'operazione:
l'importanza per un attore e per un regista delle scene
psicologicamente più ardite. La più sconvolgente quella tra Marlon
Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi, il film più
'pericoloso' di tutto, di frontiera, nella carriera di un attore
costretto dal regista a mettere in discussione le zone più intime
del proprio inconscio di uomo, senza reti tecniche a sostenerlo. “Per
5 anni Brando non mi ha più voluto rivolgere la parola”, ricorda
Bertolucci (che intanto, omaggiatissimo, a Canses 66 ha presentato
ieri la versione 3d di 'L'ultimo imperatore').
Film così sono stati cancellati dai
blockbuster di oggi. Abbiamo i multiplex pieni di film d'azione
omologati. Certo, però, che senza omologazione non c'è salto
creativo. Dunque l'innesto blockbuster/cinema d'autore è fecondo.
Gli americani ormai sono così tornati alla grande sulla Costa
azzurra, nonostante recenti freddezze e divorzi politici. Sono
alloggiati negli yacht di fronte al Palais, negli hotel di lusso dei
dintorni, in agiate ville (ma, ricordiamolo, negli anni 70 c'erano
solo tre giornalisti Usa tra le palmette, parola di Toddy McCarthy,
il veterano critico di “Variety”) e fanno sentire con la solita
involontaria esuberanza da marines la loro presenza sia sugli schermi
che in sala, nelle lunghe file e in sala stampa.
Più che il 'costume', il calligrafismo
turistico però, è il paesaggio interiore del cinema di oggi che
interessa i nostri due detective dell'immaginario. Una spietata frase
di Orson Welles apre il film: “un cineasta deve passare il 95%
della suo tempo a cercare i soldi per fare un film e solo il 5% per
girarlo”.
Da una parte Toback & Baldwin, che
fanno spiritosamente i Gianni e Pinotto della situazione, hanno così
inanellato interviste a produttori di ogni risma e stomaco, fingendo
di cercar finanziamenti per un loro progetto e dando così nel
frattempo un quadro più che realistico, scandaloso e divertente di
come si 'mette insieme' un film. Di come si possa cambiare tutto un
'concept' per le bizze di un finanziatore di Abu Dhabi (“è un
emirato? Ma anche New York è un emirato” commenterà il regista).
Di come non interessa affatto ai più l'aspetto artistico e culturale
- i tycoons ossessionati dal rischio delle immagini innovative - non
abitano più qui, ma solo il profitto sicuro. “Volete 50 milioni di
dollari? Ma un film con Baldwin non vale sul mercato che un budget di
5 milioni di dollari, al giorno d'oggi. Certo ci fossero Gosling e
Chastain, la cosa cambierebbe”....
Dall'altra parte la strana coppia,
sostenuta da una colonna sonora colta, griffata Shostakovich, hanno
discusso di arte, di forme, di festival e anche del rapporto tra
cinema e morte (il cinema è la morte al lavoro 24 fotogrammi al
secondo, si diceva, ma oggi che il digitale non ha più i
fotogrammi?), con i cineasti più interessanti presenti nell'edizione
65: Bernardo Bertolucci (che ricorda come sia entrato per caso nel
cinema, Pasolini abitava nello stesso suo palazzo e i due si
scambiavano corrispondenze poetiche, quando a un certo punto lo ha
nominato suo aiuto regista per Accattone. “Ma io non sono mai stato
su un set” e Pasolini “Neanche io”), Francis Ford Coppola (che
non ama troppo Cannes, anzi trova detestabile l'ambiente, con le sue
gerarchie, i premi, e ricorda di avere pure buttato all'aria i suoi
sei oscar per il Padrino), Roman Polanski (ancora innamorato della
scuola di cinema di Lodz e della bellezza sconvogente dei laghi
Mazuri, dove ha ambientato il 'Coltello nell'acqua' e ancora
perplesso per la 'contestazione' del 68), Martin Scorsese (che
illustra la difficoltà di una scena magistrale con Joe Pesci in
'Good Fellas'), e Ryan Goslin, Jessica Chastain, James Caan, Berenice
Bejo...
La parte divertente, quasi alla Michael
Moore, è la prima, la ricerca spasmodica di un partner produttivo
per un fantomatico film d'azione e sesso da ambientare nell'Iraq
della guerra: titolo “Ultimo tango sul Tigri”. E dunque quando si
inventano appuntamenti con il gotha e il gotha bis della produzione
internazionale, da Medavoy (ex Orion) a Jeremy Thomas (il braccio
produttivo spesso di Bertolucci), da Katzenberg (che sta dietro a
Shrek) a Marc Damon, l'ex figlioccio di Corman oggi nel grande
business. La parte più teorica e nell'interessante confronto tra i
cineasti, le loro poetiche, il loro differente modo di sconfiggere la
morte con l'eternità delle loro opere. Fino al ciak finale di
Toback. Ogni vita finisce nel nero, all'improvviso. Proprio come in
un 'the end'.
Nessun commento:
Posta un commento