di Roberto Silvestri
Cannes
Un capellone vagabondo e altri due
compari che vivono in un bosco, letteralmente sotto terra, vengono
stanati da una ronda di cittadini indemoniati capitanata da un
sacerdote cattolico che imbraccia un fucile. Il trio fugge, e uno di
loro, superato un casello autostradale, si aggira in un ricco
quartiere residenziale chiedendo villa dopo villa se, per favore, gli
consentono di farsi una doccia. “Puzzo troppo”.
Jan Bijvoet |
Infiltratosi, con mille astuzie e
travestimenti, dentro la più elegante delle magioni moderniste,
tutta finestre, grazie alla generosità della signora di casa,
pittrice astrattista, pur dopo essere stato malmenato dal marito, un
producer tv dal vacillante avvenire, diffidente e geloso, si prenderà
una bella rivincita. Prima trasformandosi nel giardiniere folle del
podere (e getta nel lago, testa nel cemento, il giardiniere
titolare). Poi compiendo strani riti satanico-onirici nella notte e
seducendo i tre figli della coppia e la giovane nurse danese. Infine,
chiamati a raccolta i suoi compari e, col cellulare, altre due
spietatissime complici (dell'est europa?), compiendo la distruzione
del luogo, l'uccisione della coppia, il rapimento dei superstiti. Una
specie di diavolo anti-Casta che fa pifferaio magico...
Non siamo più nell'era dei Provos.
Altro che controcultura. Altro che film “aperti” e d'esplorazione
di altri mondi possibili e transculturali, nell'Olanda che scivola
senza freni sempre più a destra, tra xenofobie e razzismi. Altro che
materialismo festivo alla Herbert Curiel o Pim de la Parra... La
crisi non sembra più ciclica e altalenante, sembra traumatica,
irreversibile, non solo sistemica ma cosmica. E c'è chi ci specula
spettacolarmente.
Come nel caso di questo film, che si
compiace della propria immoralità formale (sciacallaggio del
telefilm d'azione). In concorso, monito, predica, accorato
avvertimento, questa fiaba nera, un cupo apologo olandese, ma
ambientato oggi, negli assolati giorni di mezza estate. E'
l'indigesto Borgman (è proprio il nome dell'hobo malefico o anche
un sarcastico omaggio a Bergman?), scritto, diretto, musicato in
stile minimalista e autoprodotto da Alex van Warmerdam, 61 anni e 7
film alle spalle, spesso a Cannes e Venezia. Il regista è un
beniamino Fipresci. Atmosfera da Haneke prima maniera, alla 'Funny
Games'. Si entra in casa e se ne cacciano gli occupanti. Allegoria
della paura che si sta diffondendo in Occidente, terrore vero,
tangibile, dilagante, e le sue conseguenze cruente e irrazionali,
senza molto preoccuparsi delle origini più razionali e spirituali.
Le 'due società' una contro l'altra
all'ultimo sangue. Ma la prima società non è più soggetto
politico, è inerme, sparsa, underground. Chi vive nei sotterranei, e
ormai non può che essere mafioso o terrorista per resistere, contro
gli agiati borghesi delle ville nei suburbi disegnati dai nipotini di
Mies van den Rohe.
Sembra una metafora del vivere male
alla Savonarola, in chiave teologica, rappresentabile solo come il
demone contro il bene, la bestia travestita da umano che si insinua
dentro di noi 'normali', nei momenti qualunque, e quando ce ne
accorgiamo sarà troppo tardi, per noi e per la proprietà. Con in
più quel tocco biblico da 'catechismo' protestante che invita alla
lotta armata senza quartiere, alternativa la perdita dell'anima, fino
a schiacciare la grande Bestia. Perché l'apocalisse sta per
rovesciare l'ordine divino e fino alla fine sembrerà che le truppe
del Male abbiano il sopravvento, quand'ecco che in zona Cesarini....
Qui il rovesciamento di fronte finale
non è dato. Un ultimo tocco di pessimismo laico e disperato. Sembra
la versione tragica di un assolo di Beppe Grillo (e di altri leader
carismatici nordici, emanazione dal sesto potere tv): se non
approfittate delle nostre ronde disarmate, quelle armate avranno il
sopravvento. Abbiamo detto “allegoria”, parlare e mostrare
'altro' per fare sì che un intero componimento si trasporta dal
significato proprio in un altro significato con il quale abbia una
relazione di somiglianza. Insomma una metafora più lunga e
continuata. Senza umorismo, al massimo con qualche risataccia
nervosa, a sottolineare l'orrore delle esecuzioni. Non una 'divina
commedia', insomma ma una 'diabolica farsa', spazialmente
dettagliata, fiamminga.
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