Taylor Mead è morto l'8 maggio del 2013. Un tempo sulla Croisette arrivava Jack Nicholson con le pizze del film sotto il braccio di western capovolti e sulfurei. E tutti provavano curiosità e intimorita eccitazione quando si vociferava di quelle proiezioni mitiche, all'Anthology Film Archive di Manhattan, interpretate da quello strano comico dei sotterranei: Tarzan and Jane regained, Taylor Mead's ass e Couch (1964), Chelsea Girls (1966), Lonesome Cowboys e Nude Restaurant (1967), e San Diego Surf Movie (1968), i grandi capolavori con Taylor Mead...
Il puritanesimo, la sensualità, il cattolicesimo, l'erotismo, il porno rivoltati come un pedalino con perfetta sensibilità camp (che scatta quando si capovolge il rapporto tra serio e comico, pomposo e elegante, gay e etero). Ma adesso, a '68 scaduto e gettato in cantina... Cannes, la città più a destra di Francia, con un 30% che vota Fn e Le Pen, e dove il prossimo, ravvicinato, scontro elettorale amministrativo sarà tra estrema destra e destra estrema, tra nazisti per bene e fascisti moderati, con i socialisti volatilizzati nel nulla, dovrà essere spruzzata con un bel po' di deodorante. Consiglio di diffondere un bel profumo Underground, dentro e soprattutto fuori i cinema, i ristoranti costosi, i giornalai pieni di riviste glamour-apologetiche, i locali trendy, i negozi dalle vetrine cinefile e charmant, il mercato rozzo e sozzo solo per pittoresche esigenze turistiche, il suquet rigonfio di buyers senza anima e occhi e pietà che trangugiano Puissy Fumé... Non ci sarà certamente tra il 15 e il 27 maggio l'omaggio ufficiale di Monsieur Fremaux, ancora direttore artistico della cattedrale-Jacob, arrivata alla 66esima edizione, né a Taylor Mead, né a Ray Harryhausen, né a Mike Gray, cineasti statunitensi fuori schema adorati, e morti in questi giorni.
Il cinema sperimentale più dandy, l'estremismo fantasy e le immagini militanti dell'estrema sinistra, insomma i favolosi effettisti speciali dello spirito di banana, non abitano più qui. Si riverisce su rue d'Antibes ormai solo ciò che coniuga, moderatamente, trombinescamente, e in buquet ben confezionato, arte, cultura, look, kitsch, glamour e affari. Intanto però il businessman hexagonal trema, per la verità, perché Netflix il colosso del cinema via internet, è il nuovo spettro americano che si aggira per la Croisette e, avendo già acquistato una sede in Lussemburgo, è pronto a distruggere come fosse Adolfo Celi in 007 - pompando on line a costo competitivo blockbuster a ripetizione e prima di Canal Plus - la filiera perfetta, la "chronologie mediatique" che ha fatto della Francia la gongolante primatisma mondiale dell'eccezione e della differenza culturale. Oltre che una industria che sforna più di 200 film all'anno, è in attivo, vende all'estero e ha pure un governo socialista. Beat the business. Infatti. Siamo ancora nell'epoca nella quale R.W. Fassbinder, la 'principessa delle ostriche', invitava i suoi più cari amici e collaboratori nelle lunghe tavolate all'aperto di Astoux, il ristorante di pesce sul porto più corteggiato di Cannes, porto della Costa Azzurra 'dove si va a mangiare e a fare affari, non tanto a vedere film' (così dichiarava il cineasta bavarese, che i film se li andava a vedere, allora, invece, a Venezia). Eppure. Dovremo pure ritrovare da qualche parte (al Marché? alla Quinzaine? Alla Semaine?) quel comportamento avulso, quella libertà beatnick di fraseggio, quella concettualità obliqua, quello sguardo ibrido, quel sorriso prensile, quell'omosessualità polisensuale di Taylor Mead, l'attore 'zigano' - anzi la super star lanciata da Robert Frank e Andy Warhol -, e il regista più squinternato del New American Cinema, scomparso qualche giorno fa, che si potrebbe definire, fisicamente, l'incontro al vertice tra Stan Laurel e Egon Schiele o tra Jerry Lewis e Jacques Tati e, creativamente, quella tra Pollock e l'Urlo di Munch. Già, arte dell'urlo, del non riconciliato, della rabbia, quella beat. Spazio consentito, quasi istituzionalizzato, ma che Mead interpreta con sarcasmo egemonico degno di Totò e di Grande Otelo (l'attore nero comico brasiliano del cinema novo).
L' "On the road", al cinema, si chiama solo "The Flower Thief". E
Taylor Mead lo interpreta nel 1960, regia di Ron Rice che, assieme a
Vernon Zimmerman scoprono l'artista a una reading di poesia e ne faranno, senza grandi meriti perché lui è una forza molle della natura,
l'antitesi della star hollywoodiana, ispirandosi a Robert Frank e a Pull My Daisy. "Recita come se avesse il cervello e
la bocca pieni di marshmallow" scriverà Brendan Gill sul New Yorker. Già si chiama inquinamento e mal d'anima. E perfino il critico francese Robert Benayoun, che trova l'underground cinematografico un movimento tanto noioso quanto esteticamente irrilevante, ammira Lemon Hearts e L.A. ...with Lust che Zinnerman girerà nel 1961 e The Queen of Sheba Meets the Atom Man che Rice, solo trentenne, non riesce a terminare perché stroncato dalla fame e dalla malattia, e che proprio Mead monta, musica e finisce eseguendo le istruzioni scritte del geniale regista. Se vogliamo impadronirci dell'opera omnia di Taylor Mead dobbiamo dunque girovagare su you tube o meglio su Ubu Web e scovare 8mm di rarità stellare o capolavori assoluti che Criterion o Rarovideo prima o poi pubblicherà con annesso libretto. E' lui il dio degli inferi in The Illiac Passion di Gregory Markopoulos, l'ala ellenistica del New American Cinema. Con Ultraviolet interpreta The Secret Life of Hernando Cortez di John Chamberlein, ma è solo suo lo strip-tease in Taylor Mead Dances diretto da Paul Morrissey. Il papà filmaker underground newyorkese di Robert Downey jr., che si chiama Rober Downey, in Babo 73 gli fa parodiare il presidente degli Stati Uniti, che se lo merita perché sta bombardando clandestinamente la Cambogia. Con il filmmaker Jerome Hill giganteggia in Open the Door and See All the People mentre con Bob Chatterton è perfetto in The Hobe and the Circus, dopo aver girato Passion in a Seaside Room. Hobo, vagabondo del dharma, erede degli operai della grande depressione che si scontravano con i guardioni delle ferrovie per viaggiare gratis in cerca di lavoro, Taylor Mead gira come regista alcuni infiniti diari di esodo dal sogno americano come My home movies (1966) e European Diaries (1966) che sono l'equivalenza visiva del suo interminabile poema on the road, Diario di un giovane newyorkese, anzi in originale Anonymous Diary of a New York Youth perennemente incompiuto perché la gioventù è una concetto, direbbe Marilyn, da 'vecchie cornacchie' reazionarie. Ed ecco la Factory e Andy Warhol che lo vuole come perfetto Tarzan and Jane Regained...Sort of di cui ha precedentemente predisposto il suono su nastro magnetico. Durante l'epoca aurea del Filmstudio romano Taylor Mead veniva spesso a trovare Americo Sbardella a Annabella Miscuglio e proiettava Imitation of Christ proprio a un passo dal Vaticano. Perennemente innamorato il suo girovagare omosessuale lo portava in giro per il mondo e lo cacciava in un mare di guai, come quando fu scovato nel 1970 mezzo morto e dissanguato ai bordi del deserto marocchino da due suore, con il ventre aperto. Tornato guarito alla Factory esibì le sue cicatrici con orgoglio, urlando cialtronescamente - come ricordano Adriano Aprà e Enzo Ungari nel prezioso volume su Warhol: "Vedete? Anche io come Andy!", riferendosi alle tracce dei colpi di pistola che Warhol portava ancora sul corpo.
Tarzan and Jane regained...Sort of (1964), 'ancora peggio di un film dilettantesco', scrive il critico James Stiller, è però inusualmente "esilarante". Certo, continua, la presunta 'innocenza infantile' di Mead è quella di un buffone, di una specie di Stephin Fetchit - il comico nero - non particolarmente giovane, anzi un po' laido ripugnante. Insomma Mead è innocente quanto il culo di Mae West e sappiate che campeggia per tutto il tempo col sedere scoperto, ma il senso di gioia, di meraviglia di spensierata allegria è talmente convincente e stimolante che ha ben poca importanza il fatto che poi egli si burli di quasi tutto quello che fa". Il film, muto, in 16mm, di due ore, uno dei primi firmato da Warhol, che aveva appena comprato una Bolex, fu girato a Los Angeles, sulla spiaggia di Santa Monica e montato da Taylor Mead che aveva predisposto anche la pre-sonorizzazione magnetica. Nel cast anche Dennis Hopper e Claes Oldenburg. Sarà poi in una parodia del cinema pornografico Couch (con Allen Ginsberg, Gregory Corso e Jack Kerouac, che era molto amico di Mead) e un selfmovie, in risposta a una lettera al Village Voice di Peter Goldman (il regista del cassavetesiano Gli echi del silenzio) scandalizzato per i film di Warhol, "lenti, fatti senza pellicola, fuori fuoco e che inquadrano il culo di Taylor Mead per due ore?" Warhol controllò in archivio. Non c'erano film sul culo di Warhol lunghi due ore e realizzà questo, Taylor Mead's Ass, di 70', per la verità, che è tutto un primo piano delle natiche dell'attore, molti bianchi, molto sovraesposto, quasi astratto. Taylor tiene in mano un libro e altri oggetti. In The Nude Restaurant Viva è la star e racconta le sue esperienze religiose cattoliche tra preti che la volevano violentare. Taylor canta, suona l'armonica e chiacchiera con un membro della resistenza clandestina sulla politica imperialista Usa. La sua frase più famosa, però, resta: "Non mi piace camminare in cerchio. Ho abbandonato il sollevamento pesi perché bisognava sempre ripetere la stessa cosa". Viva è con un uomo in una vasca da bagno "demolendo il mito freudiano" e aggiunge: "Lo sai che Churchill passava otto ore al giorno in bagno?". In Lonesome cowboys Taylor Mead si innamora di Joe D'Alessandro, sempre cantando e ballando. In Surfing Movie Taylor e Viva sono addirittura sposati, con dei bambini, affittano una casa al mare e Viva da la caccia ai surfers, e anche Taylor. E alla fine ne prende uno e gli dice: "Per favore, siamo della classe media, possediamo una casa, andiamo al Country Club e giochiamo a golf, facciamo una vita monotona, quello che combiniamo tutto il giorno è stare seduti in cerchio, vorrebbe farci un grande favore e pisciarci addosso? E il film finisce con Taylor che dice: "Oh, grazie...Oh Dio, grazie..."
Cosa succede a chi fa il broker. Studi regolari, universitari, poi una promettente carriera da agente finanziario alla Merrill, Lynch, Pierce, Fenner e Beane. Ma, all'improvviso, via, sulla strada. Taylor ha girato cinque volte l'America, in autostop, e in automobile una sola volta, con Urlo e On the road sotto il braccio. Poi si ferma a New York e frequenta Corso, Dylan, Ed Sanders, dipingendo, scrivendo e mettendo in scena poemi nei club degli scantinati. Quindi il viaggio a San Francisco, in epoca di hippies e yippies, i primi film con Rice ("erano alla Ed Wood e noi eravamo attori dadazendada"), la politica, la lotta contro l'establishment e la guerra del Vietnam, e, dopo una partensi messicana e europea, il ritorno a Manhattan, alla factory di Warhol dove oltre ai film 'di studio', e a Too young, Too immoral di Ray Phelan - è uno spacciatore di droga sordo muto - all' autobiografia e ai quadri popespressionisti, mette in scena come attore alcuni successi off off Broadway (di Le Roy Jones e Frank O'Hara). Con Warhol scherza: "Andy, noi siamo proprio gli ultimi beatniks!" e lui, ridendo: "Ma che dici, Taylor, io non sono mai stato un beatnik". Commento di Mead: "Certo, era così fissato con il Country Club! Invece Mead preferisce il teatro al cinema, per la 'risposta immediata' del pubblico. Ma si piace guardarsi allo schermo e ama immensamente il cinema perche 'trasforma' . Come Yussef Chahine, Mead ha studiato teatro nella prestigiosa università del teatro, il Pasadina Playhouse, in California, con Herbert Berkov. E a chi - Jack Sargeant in Naked Lens, studio sul cinema beat - gli chiedeva se sentisse una certa affinità con Charlie Chaplin rispondeva: "Io sono molto meglio di Chaplin, perché lui è meccanico, ripetitivo. Ho fatto un film con sua figlia Geraldine in Portogallo e le ho detto che il mio film preferito di suo padre era Luci della città e anche lei era d'accordo. Ma gli altri mi annoiano a morte". A proposito, del cinema post warholiano cosa amava Taylor Mead? Steve Buscemi, Living in Oblivion e Welcome to the Doll House. Certo un po' troppo ben fatto.... (r.s.)
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