Mariuccia Ciotta
Cannes
Michael Douglas e Matt Damon |
Inoltre, le major di Hollywwod, sì,
sono tornate, ma il livello dei film vira verso le due stellette, a
cominciare dal flop critico del titolo di apertura, The Great
Gatsby. Fa eccezione Behind the Candelabra (concorso)
prodotto dalla Hbo, canale tv Usa a pagamento, l'ultima spiaggia per
talenti respinti dagli executives, e spia della trasformazione
produttiva in corso, l'abbandono del grande schermo a favore delle
serie televisive, più avanzate formalmente e più
spregiudicate nei contenuti. Così Steven Soderbergh, Palma
d'oro 1989 con Sex, Lies and Videotape, Oscar 2000 con
Traffic, si è rivolto all'Hbo per il biopic eccentrico
e “scandaloso” su Wladziu Valentino Liberace, in arte Lee,
pianista “pop con un tocco classico” della scena anni '50 fine
anni '80, e della sua relazione omosessuale con il giovane aspirante
veterinario Scott Thorson.
Las Vegas, 1977, Lee Liberace nasconde
la vocazione queer con mantelli d'ermellino e abiti lastricati d'oro,
tenuta da soirée per le fiammeggianti esibizioni sui
palcoscenici di Las Vegas, e i suoi amori gay tra lo stuolo di
valletti, autisti, maggiordomi e body-guard. Lee ha la faccia in
continua metamorfosi di Michael Douglas, al top della bravura,
magnifico come il giovane boy-friend interpretato da Matt Damon,
anche lui quasi irriconoscibile, prima con il viso paffuto e i
capelli biondi e poi rifatto da Rob Lowe nella parte di un chirurgo
senza scrupoli che gli allunga il naso e gli ridisegna il volto a
immagine del suo protettore. Nel continuo morphing non proprio
digitale fatto di parrucche, protesi e della fossetta sul mento
riconquistata da Damon, i due invecchiano e ringiovaniscono insieme,
violentati dallo showbiz e scorticati dal bisturi che in primo piano
fa sanguinare lo schermo.
Un film dall'involucro soft, tutto luce
e kitch regale, specchi e superfici dorate, pellicce, iacuzzi,
vestaglie di seta, swarosky, piscine, rolls royce d'argento, anelli
come sbadigli, che passeranno provvisoriamente in dote al
provinciale amante dei cani, senza famiglia, infanzia passata di
casa in casa, due genitori fittizi e un'adozione promessa dal grande
Lee, che ogni sera fa il pieno di pubblico con le sue mani
indiavolate sulla tastiera.
Il vero Liberace, madre polacca e padre
italiano, era un artista riconosciuto, esordiente a vent'anni con la
Chicago Symphony Orchestra, interprete di Liszt, acclamato alla
Hollywood Bowl, protagonista in tv del The Liberace Show... e ora
54enne idolo delle folle di Las Vegas si concede la caccia a
giovani allievi del suo letto faraonico. La superficie dolce da Ocean
Eleven s'incrina nelle mani di Soderbergh, nonostante la presenza
di due star del cinema “classico”, Dan Aykroyd,
avvocato-manager, e Debbie Reynolds, bambola dai capelli bianchi,
madre di Lee. E si “sfigura” come i lineamenti dei due amanti,
sorpresi nelle performance sessuali, ed è shock vedere il
supermacho Douglas cavalcato da Damon, vertiginosamente ammiccante
sotto un parucchino di onde corvine, padre-padrone-amante del ragazzo
che si proclama bisex, interdetto a ogni altra relazione, prigioniero
nella gabbia-reggia , privato del suo stesso volto.
Una storia vera che Soderbergh
accarezza e accoltella, spietato nel mostrare la dipendenza da
sesso, droga e dollari, eppure difensore della coppia atipica, anche
quando Scott sarà rimpiazzato da un più giovane
virgulto, anche quando Lee muore di Aids, per la stampa di anemia, a
difesa della sua pubblica eterosessualità... ci vorrà
ancora del tempo prima che i marine e le star di basket possano
proclamarsi gay.
Soderbergh ci regala questo corpo a
corpo con il potere e l'amore in una stagione che vede il cinema
paralizzato dall'indecifrabilità dei tempi, osservatore muto
e distaccato di fronte al cambio di paradigma morale dove non è
il “punto di vista dell'elettricista” a dominare, ma una
macchina da presa ravvicinata fin dentro il cuore del film.
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