Mariuccia Ciotta
Venezia
Cronache dal Lido. Due giovani festivalieri si incontrano al Lyon Bar, “Che hai visto?”. “Un film noiosissimo”. In realtà il Lyon Bar non esiste più, ora si chiana “Leone d'oro”, e neanche la critica esiste più, visto che scrive quel che si dice al bar.
Non è una novità, ma
turba ancora il “passa parola” su certi film. Alcuni sono
elogiati all'unanimità, guai chi li tocca (Sokurov?) e su
altri c'è licenza di uccidere (Messina?). Insomma, come si è
già visto a Cannes, i festival soffrono per l'emarginazione
dei critici a favore di major, sponsor, pubblicitari, etc. E' il
momento di rivalutare i “coloristi” che almeno amano attori e
registi.
Viva la sposa di Ascanio
Celestini (Giornate degli autori) è come l'applauso di Monaco
ai profughi siriani. Suona l'inno alla gioia per gli
“indesiderabili”, quelli che non piacciono neppure ai
“cattivisti” anche se rubano, imbrogliano, si drogano proprio
come i potenti. La geografia dei piccoli e poveri del Quadraro,
quartiere a sud di Roma, che resta nella storia del cinema mondiale
perché proprio lì si doveva girare nel 1914 il primo
Ben Hur, si dispiega nella immagine/parola di Celestini e
genera una serie di mini-storie che si incrociano, ubriache alla pari
di Nicola (il regista), che se ne sta seduto a bere, ma solo
“analcolici”, e immagina il mondo al contrario dove per trovare
un cuore pulsante bisogna salire all'inferno.
Questo film è dedicato a quelli
che non dovranno buttarsi mai sotto una macchina, a rischio di
rimanerci secchi, per farsi dare una mancia dall'investitore. Ed è
popolato da quelli che stanno in basso, “nei locali col pranzo a
prezzo fisso al capolinea del Metro, tra i muratori che mangiano il
pollo e le patate con il quartino di vino al baretto sulla
Tuscolana”, mentre l'alto è “la grande narrazione che
passa attraverso l'informazione, la rete, la tv”. Eppure i “poveri
cristi” di Celestini operano un detournement linguistico e
visionario e sono capaci di animare i luoghi, già pasoliniani,
con la vitalità che manca ai formalisti italiani, quelli che
pettinano l'immagine.
La periferia piena di erbacce, la
prostituta Anna (Veronica Cruciani) accovacciata su una pila di
casse, sotto lo sguardo arcigno di un cane nero e del magnaccia.
Pistole, cadaveri. Un ragazzino
overzize Salvatore (Francesco De
Miranda), il truffatore di assicurazioni Sabatino che provoca
incidenti come se fosse uno stuntman, il furgone di Nicola ridipinto
di rosso per non farsi scoprire. E l'”Abruzzese” (Pietro Faiella,
attore e regista teatrale di estremistica sobrietà), il
carrozziere che nasconde i ricercati, e Sasà che finisce
male, molto male in questura... Insomma, un noir “dove credi che
la città finisca, e dove invece ricomincia nemica...”, e
dove la genesi del male diventa epica e gloriosa.
I protagonisti di Celestini non hanno
la potenza di fuoco di Black Mass, ambientato nel Quadraro di
Boston, ma sono gli unici, veri “goodfellas”, i bravi ragazzi
eredi del “nido di vespe”, chiamato così dai nazi-fascisti
che nel '44 deportarono molti abitanti, resistenti e soprattutto
comunisti. Era nato bello il Quadraro, un progetto di casette a due
piani e verde intorno, prima della desertificazione e
dell'annientamento. Ma, non è un lamento quello di Viva la
sposa, perché nelle sue strade aleggia la conturbante
Sofia (Alba Rohrwacher), il nome tutto un programma, il padre pensava
a Loren e a De Sica, e il suo doppio, una bella americana vestita da
sposa, un po' felliniana, che passa e ripassa come un sogno
ricorrente e illumina la borgata, la fa ribollire di desideri. A due
passi, non a caso, sorge il cantiere dove si affollano i magnifici
fantasmi del cantastorie Ascanio Celestini. Cinecittà.
Nessun commento:
Posta un commento