Roberto Silvestri
Venezia
In Francia il cinema
è ancora una cosa seria. E' vero che tutto è statale e
centralizzato, ma in maniera responsabile. Per esempio. I critici,
questi hacker dell'immaginario, sono messi in grado di lavorare e non
sono un fastidio, mal tollerati a meno che non facciano apologia
sciovinista; sono ascoltati (pensiamo alla coperturta di
Liberation a Locarno 2015) e messi al lavoro ben dentro le
istituzioni, perché l'affare totale è gigantesco e si richiede il
massimo di “capacità profetica” dall'intera “massa critica”
che sa cosa succede nel mondo, come incantare il pubblico e gli
appassionati, come scoprire i nuovi talenti geniali, far giostrare
mainstream e “nicchie”, cosa farne di un copione e come
ottimizzare ciascun progetto, se di qualità commerciale o di qualità
artistica, affinché arte e banchieri festeggino poi insieme a fine
anno lauti profitti in sala, in tv, sul Web...
Lo scontro e
l'incrocio fertile tra le due vie, tra linea Straub-Godard-Garrel e
linea Cantet-Audiard/Bercot, che detto in termini brandiani (da
Cesare Brandi, grande critico e teorico d'arte italiano del secolo
scorso) consiste nella divaricazione ricomponibile tra
cinema-immagine e cinema-segno, tra la “pericolosa” libertà di
immaginazione oppure “immaginare la libertà come una cosa
pericolosissima”, dunque non è affatto frivolo.
Sono le due vie, da
decenni ben intrecciate, anche a costo di risse, scandali, baruffe,
che permettono alla Francia di restare, dietro gli Usa, al posto di
comando del business, punto di riferimento dei cineasti e dei
pubblici creativi planetetari A Cannes la continuità
progettuale-gestionale-amministrativa viene assicurata dal Cnc,
Centro nazionale cinematografico, che sa ottimizzare fiuto,
competenze e rapporti internazionali perché anche se cambia il
vertice tutto è sotto controllo. E ci si esprime al massimo. Ovvio
che il direttore della mostra può essere un critico o uno storico
del cinema, come era Jacob, anche per svariati anni (e decenni)
perché non è che il finish di una macchina funzionante e complessa.
Non in Italia. Adesso il ministro Franceschini ha cambiato la legge
che regola la Biennale in modo da permettere al presidente Baratta di
rimanere al suo posto e presumibilmente ad Alberto Barbera di guidare
la mostra per altri 4 anni (incontrando i giornalisti, quest'ultimo
si è detto molto soddisfatto dell' edizione 72, “crescono gli
incassi, e Guadagnino a parte, i film presentati non hanno suscitato
risse particolari”. Eppure gli incassi non fanno un grande
festival, gli strepiti dei gazzettieri sì, come ci ha insegnato il
fischiatissimo Carmelo Bene di Nostra Signora dei Turchi). Ma, legge
cinema a parte, sostanzialmente basata su quella del 1965, poi via
via peggiorata fino ai giorni nostri, forse questo governo che così
tanto punta alla “meritocrazia” e a stroncar clientele dovrebbe
finalmente creare una istituzione come il centro nazionale del cinema
che non venga annichilita e ricostruita ad ogni nuovo governo, e
sappia finalmente sganciarsi dagli uffici incompetenti dei partiti.
Questioni complesse come quelle dell'immaginario, cerca di spiegarlo
Freccero anche in sede Rai, devono diventere essere affidate sempre
più a autorità culturali competenti e autonome. Meno
approssimativi e personalizzati i pool addetti alla realizzazione di
cartelloni e programmi....Meno Brugnaro e Zaia nei cda.
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