Venezia
Mariuccia Ciotta
Everest (fuori concorso) ha
inaugurato ieri sera la Mostra n.72 davanti a ministri, politici e
notabili, invitato d'onore il presidente Mattarella e di disonore il
neo-sindaco Luigi Brugnaro, quello che non vuole i “froci” per le
calli. Fuori davanti al palazzo un corteo di dipendenti comunali,
vittime della corruzione miliardaria intorno al Mose, il mostro della
laguna ancora fuori uso. L'ultima notizia in merito è il
cassone esploso sott'acqua e che costerà in riparazioni almeno
12 milioni di euro.
La vigilia abbagliante del festival con
un doppio Orson Welles ci ha accompagnato sulle vette se non del
cinema di un Nepal ghiacciato meta di scalatori perlopiù
dilettanti che affollano le pareti della montagna più alta
della terra, dove l'aria è così rarefatta che il corpo
comincia a morire nell'avvicinarsi al “tetto del mondo”, 8.848
metri.
Everest non è un film
catastrofico stile anni 70 in ascesa di pathos e in attesa di scene
madri, è quasi un docu-film (girato un po' in Nepal, un po' a
Cinecittà) ricalcato sulla storia vera di una spedizione del
1996, bilancio 5 morti. Pochi. Negli anni successivi le vittime si
moltiplicarono. Agenzie di avventure estremamente pericolose, nel
film e nella realtà, si dividono i turisti, e competono, tra
sponsor e foto-reporter, per conquistare le piste e le date migliori.
Sessantacinquemila dollari ha pagato il patalogo texano interpretato
da Josh Brolin per farsi portare lassù dalla tenera,
protettiva guida Rob (Jason Clarke) e così gli altri che
davvero partirono il 10 maggio del '96 dal campo base himalayano.
La schiera di star in rapida
apparizione sono l'unico dato in comune con il genere, e qui le facce
note sono (a parte Brolin e Clarke, protagonisti) quelle di Sam
Worthington (Avatar) Keria Knightley, Emily Watson, Jake
Gyllenhaal, Robin Wright.
Devia dal format valanghe, terremoti,
eruzioni, invasioni di api assassine etc il regista islandese
Blatasar Kormàkur, attore e produttore, autore di 101
Reykjavík (2000)
Inhale (2010), Contraband (2012). Il suo The
Deep ha corso per l'Oscar straniero 2012, anche questa una storia
di resistenza e sopravvivenza (naufragio sulle coste islandesi) in
un'isola dove la natura oltre a essere estrema è anche
“commercializzata”.
Everest documenta i passaggi, i
dettagli tecnici, le procedure di una follia collettiva e
internazionale che si riunisce come una congrega religiosa, si
ammucchia sotto le tende piantate nelle neve, e cova i suoi piaceri
nascosti, toccare il cielo, anche se costerà qualche dita
della mano e dei piedi. I corpi trascinati, boccheggianti, senza
fiato... il cervello può schizzare, i polmoni sono a
rischio, avverte la guida, non saranno solo le tempeste a uccidere
ma soprattutto la montagna che non è un paese per uomini, e
neppure per donne (nella vera spedizione morì l'unica
scalatrice, giapponese).
La carovana sale con l'aiuto dei
portatori d'alta quota provenienti dalla popolazione sherpa, che non
rischiano più di tanto, sanno che Shangri-La non esiste, che
dio non abita sull'Everest, e che è meglio tornare indietro se
la montagna lo chiede. Ma perché questi ricchi signori in
gran parte occidentali si rivolgono a ”Mountain Madness”? La
domanda viene finalmente posta. E qui Kormàkur mette sotto la
luce radiante dell'Everest il malessere dei suoi dilettanti. Non
tanto il trofeo, non tanto l'adrenalina, ma a spingere in alto è
un'esistenza ferita che solo lassù dimentica se stessa. La
sofferenza fisica inflitta dalla montagna spazza via l'altra,
impalpabile come la neve.
Il film (in sala dal 24 settembre)
risente di inserti lacrimosi, mogli incinte all'altro filo del
telefono, e concede a produttori e distributori (Universal) quel
tanto in più di azione e emozione, col rischio di apparire un
dejà vu. Ma c'è qualcosa di sconcertante in Everest,
una caparbietà atletico-spirituale da far invidia a Werner
Herzog, ma anche al Clint Eastwood di Assassinio sull'Eiger. E
poi si impara che a una certa altezza gli elicotteri non possono
volare perché l'aria è insufficiente e l'elica gira a
vuoto, a meno che non sei un “texano al 100%”, allora si mobilita
l'ambasciata americana e l'elicottero militare nepalese arriva,
precipita per un po' e poi riprende il volo.
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