Mariuccia Ciotta
CANNES
Tutti pazzi per la Pixar, applaudita a Cannes sui titoli di testa di Inside Out (fuori concorso) e, come al solito, qualche “buu” all'arrivo del logo Disney, come se adesso non fossero la stessa company, diretta da John Lasseter. Dimenticata la matrice creativa della major di Mickey Mouse, si applaude anche in Italia dove il film è appena uscito, sempre ai film d'animazione dell'ex Studio di Toy Story. Dalla sala Lumière, zeppa di pubblico (la stampa relegata agli angoli) che è venuta giù per il giubilo collettivo quando in coda sono partite le gag extra destinate agli adulti fino alle estasiate critiche dei nostri giornali oggi. Ma.
Dirige Peter Docter, il geniale
spilungone di Up (Oscar), co-sceneggiatore, alle prese qui con
il “quartier cerebrale” di una bambina, Riley, 11 anni, dove si annidano le
cinque emozioni primarie: la gioia, la tristezza, il disgusto, la
paura, la collera, in gara per il bene della bambina, e
rappresentate da altrettanti personaggi. La monella dalla zazzera blu
elargisce felicità, quella rotondetta e occhialuta
malinconia, la verde è schifata dai broccoli, un ometto dagli
occhi a palla e il naso lungo vede pericoli dappertutto e un botolo
rosso s'incendia di rabbia se Riley, giocatrice di hockey su
ghiaccio, manca la rete.
Il film corre sul doppio canale
dell'inside e dell'out in un continuo andirivieni, una struttura a
specchio, e se il mondo reale è disegnato con
verosimiglianza morbida e antropomorfa, effetto Final Fantasy,
i cinque manovratori mentali hanno l'aspetto di pupazzi acrilici,
tutti avvolti in pixel lanuginosi, forme elementari che non tengono
il confronto con i bislacchi alieni di Monster & Co, dal
quale Docter (il film è suo) trae ispirazione. E che entravano
anche loro nell'inconscio infantile con l'intento di spaventare i
piccoli addormentati in un allenamento estremo per “incontrare e
conoscere la paura”. Inside Out al contrario detta le regole
del vivere pacificati, e rimette in campo la famiglia, come nel
temibile Gli incredibili, violazione massima delle favole,
dove lo status è sempre quello dell'”orfano”, il bambino
solo di fronte a mostri, streghe, orchi... Il fatto è che non
siamo in una favola, ma a San Francisco, dove i due teneri genitori
si sono trasferiti, senza tener conto dei sentimenti della figlia.
Riley è nata in Minnesota, e lì ha i suoi amici, il suo
laghetto di pattinaggio, i suoi ricordi. Il Golden Gate non la
affascina e nemmeno le salite vertiginose, né la famosa strada
che precipita tra le aiuole, e quindi fa il broncio, risponde male a
papà e mamma, medita la fuga. Ed ecco i magnifici cinque
all'opera per bilanciare i furori adolescenziali.
Costa meno in termini produttivi creare
un mondo “falso” dentro un film d'animazione che già lo è
(accade in La principessa e il ranocchio), e abbandonare la
cura e i dettagli del “reale”, così addio alla città
della Beat Generation, certo più magica della mente Luna Park
di Riley, un labirinto con grandi scaffalature che contengono palline
lucenti e colorate, i ricordi della bambina, e dove alla consolle si
alternato i cinque personaggi, affannati in grandi manovre per
strapparle un sorriso o farla intristire al punto giusto da
impedirle la ribellione.
Il panorama fantastico dell'ultramondo
è senza meraviglie, un elefante rosa di stoffa, “l'amico
immaginario”, è sotto la quota accettabile di comicità,
le “isole” intitolate alla famiglia, all'onestà,
all'amicizia, etc sono grigie accozzaglie di simboli, niente a che
vedere con l'Isola del jazz e l'Isola della melodia di epoca Silly Simphonies. La riduzione a
forme cubiste di miss Gioia e miss Tristezza, che si sono perse nei
meandri del “quartier cerebrale” e hanno lasciato la bambina
catatonica, sono pallide copie della fantasia onirica dei classici.
Sembra che Inside Out viva di rendita (per esempio, del corto
disneyano sullo scontro tra razionale e irrazionale nella testa del
protagonista, Reason and Emotion, 1943) e di un budget modesto, mascherato con il fracasso
ripetitivo del campo controcampo.
Certo, Gioia è una ragazzina
punk carina, e la sequenza delle evoluzioni sui pattini in parallelo
con la bambina in “carne e ossa” è incantevole. Peter
Docter ce la mette tutta ma la nefasta influenza di film che
strizzano l'occhio ai cosiddetti maggiorenni (quelli che mancano di
luccicanza) lo conduce verso la mitragliata di “quadretti” che
infestano Inside Out. Quanto fa ridere la replica delle
“cinque emozioni” in formato adulto, con latin-lover brasiliano
abitante del cervello materno, o l'assenza di pulsioni desideranti
in quello di un gatto.
La Pixar sarà meglio che si
rivolga alla lampada Luxo e faccia appello alle sue di emozioni.
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