Venezia
Mariuccia CiottaC'è odore di inchiostro in Spotlight e l'adrenalina va su e giù nella concitazione che una volta scorreva in redazione quando il giornalismo investigativo meritava il premio Pulitzer, vinto nel 2002 dal Boston Globe per l'inchiesta sui preti pedofili. Pochi anni fa. Eppure l'aria che circola nel team capeggiato dall'ex birdman Michael Keaton sembra quella del Watergate anni 70, di Tutti gli uomini del presidente diretto da Alan Pakula, e nell'infilata di scrivanie sembra di vedere Bob Woodward e Carl Bernstein. Invece tra i segugi del quotidiano di Boston troviamo Mark Ruffalo, che fa il portoghese, e Rachel McAdams, sguinzagliati dal neo-direttore che “vuoi far causa alla Chiesa?”. Sì, perché lui, Liev Schreiber (Manchurian candidate di Jonthan Demme, premiato qui al Lido) viene da fuori e non tratta con i guanti l'irlandese cattolica Boston, tanto più che è ebreo, non ama i Red Sox, e ha deciso di sprovincializzare il giornale, appena acquistato dal New York Times.
La storia è vera e racconta come
gli “spotlight” misero sotto i riflettori il caso di abusi su
centinaia di bambini compiuti da una novantina di preti nella città
del New England, e come l'inchiesta provocò un effetto valanga
in tutto il mondo. Vescovi e cardinali, sapremo poi, insabbiavano i
reati e spostavano i colpevoli di parrocchia in parrocchia.
L'arcivesco Law, al centro dell'investigazione, finirà a Santa
Maria Maggiore, Roma, informa il film. La faccia del porporato è
quella di Len Cariou, attore di teatro e partner di Angela Lansbury
nella Signora in giallo, e fa da magnifico controcampo a
Stanley Tucci nella parte di un avvocato che, solo e minacciato,
cerca da anni di strappare il sipario sui minori violati.
Ma perché raccontare una storia
così tanti anni dopo? Quando la Chiesa ha già ammesso e
punito? Perché Spotlight più che un film di
denuncia è un omaggio al “metodo” del giornalismo e del
cinema politico di ieri, oggi e domani, è una provocazione
dell'attore, sceneggiatore, regista Thomas McCarthy, cresciuto a
Boston, scuola cattolica, qualche amico del college abusato. Il suo
film è una corsa a zigzag tra uffici, testimoni, bar,
magistrati, biblioteche, spie in un rincorrersi di godibilissimi
incastri narrativi, un percorso alla Marlowe con penna e taccuino.
“Oggi l'industria dei quotidiani negli Stati Uniti è stata
decimata e non ci sono chiare alternative alla preziosa funzione che
giornali, come il Boston Globe, svolgono per il lettori. La
situazione è disperata”.
Ed ecco, però, che fa ripartire
le rotative mentali, “E' la stampa, bellezza”, uno che a 49 anni
non ha vissuto la tipografia, eppure il suo Spotlight è
un rollercoaster di giornalisti che “stanno sul pezzo”, schizzano
da un lato all'altro della città, vanno in redazione pure di
domenica e ballano in un musical di parole. Niente di meno ci
aspettavamo da Thomas McCarthy, regista di L'ospite inatteso
(2007) delicato con gli immigrati, e lontano dall'effetto “bambino
morto sulla spiaggia” oggi in prima pagina. Così delicato
McCarthy da far volare le case appese ai palloncini colorati di Up,
film d'animazione di cui ha scritto il soggetto.
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