Claudio Santamaria in "Il venditore di medicine" |
Mariuccia
Ciotta
Il
volto di Claudio Santamaria è un mondo in via d'esplosione, un
geroglifico di emozioni e di conflitti nel thriller ad alta tensione,
Il venditore di medicine, primo lungometraggio a
soggetto (scottante) di Antonio Morabito, applaudito al Festival di Roma e in uscita nelle sale a gennaio.
Se
la merce che va per la maggiore di questi tempi è il proprio corpo,
la metafora è giusta, il farmaco. L'ultima cosa su cui speculare.
Bruno
(Santamaria) è un informatore medico di successo, bella casa, bella
moglie, Anna (Evita Ciri), vita “normale” se non fosse per quella
luce obliqua (fotografia di Duccio Cimatti) che gli si proietta
addosso, su quelle mani nel gesto segreto di “avvelenare” il
piatto dell'amata. Flash hitchcockiano, Bruno condisce il cibo di
Anna, vogliosa di un figlio, con un surplus di anticoncezionali.
Così si presenta lo splendido quarantenne, serial killer
d'ordinanza, che per promuovere i campioni della sua azienda
farmaceutica, la Zafer, si adegua alla pratica comune di corruttore.
Il
film misura minuto per minuto la metamorfosi di Bruno, il passaggio
al di là dell'umano, nella sua corsa affannosa per garantirsi lavoro
e denaro, l'azienda è in crisi e licenzierà i meno dotati nella
forza di persuasione. Molti medici stanno al gioco, non è una
novità, si rimpinzano di regali, computer, auto, donne e scampagnate
in località amene per “convegni” fasulli. Si chiama
“comparaggio”, reato diffuso nell'ambiente sanitario, gioco
pericoloso che fa lievitare i prezzi delle medicine e mette a
repentaglio la salute dei pazienti.
Evita Ciri e Claudio Santamaria |
La
regia di Morabito (anche soggetto e sceneggiatura) piomba su
Santamaria, lo placca, lo spia nella sua corsa di seduttore che a un
certo punto si incrina, avvolto com'è da una aria asfissiante. Bruno
si vede in uno specchio distorto, ma va avanti e osa la corruzione di
un primario di oncologia, il professor Malinverni, interpretato da un
cinico Marco Travaglio, a suo agio nella parte, e si perde nelle
stanze bianche degli ospedali (notevole Roberto De Francesco nel
ruolo del frustrato dottor Foli).
Perderà
il controllo di sé davanti a un vecchio amico morente che si è
concesso, per necessità, alla sperimentazione medica, e gli fornirà
di nascosto un farmaco off-off. Chi compra e chi vende. Ma sempre più
si aprono voragini nella faccia di Santamaria, al suo zenith di
attore, nel film (prodotto da Amedeo Pagani) che scarta il documento
di denuncia e si fa dramma shakespeariano, intrigo morale, zoom sui
complici dell'ordinaria criminalità. Esperimenti in forma di cinema
anti-minimalista, che se a volte vacilla nel coniugare affondo
sociale con abissi interiori, riesce a liquidare le cianfrusaglie
visive e narrative dei format tv.
Antonio Morabito (a sinistra), Isabella Ferrari e Claudio Santamaria al Festival di Roma |
Antonio
Morabito ha una vocazione speciale a incollare la macchina la presa
sui suoi eroi per distillarne l'incanto, come in Che cos'è un
Manrico (2012), documentario per modo di dire su un paraplegico
destinato a morire, malattia degenerativa, e uno spirito caustico
irresistibile. Meglio di Jerry Lewis.
Così
Il venditore di medicine cambia strada all'operetta italiana
semi-seria, e vira la narrazione verso un tempo sospeso, ossessivo,
tutto intorno alla solitudine di Bruno che calpesta i corridoi
asettici di cliniche e studi medici. Sguardo allucinato, lo
spacciatore di pillole “miracolose” prega, seduce, impone la sua
mercanzia in cambio di benefit, “ogni milione di regali, undici
milioni di profitti”, è lo slogan dell'azienda, mentre un collega
si suicida perché non ha corrotto abbastanza, una capo area
(Isabella Ferrari) trema davanti ai capi e urla ai dipendenti. E'
horror. Finché ecco il controcorrente, il piccolo medico che rifiuta
il sistema, e rompe il cerchio protettivo. Bruno si disgrega in un
paesaggio irreale. Ma non sarà la giustizia a demolirlo dentro.
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