Roberto Silvestri
8° Festival internazionale del film di Roma
In attesa che i 7 giurati del concorso (presidente James
Grey, e ci sono anche Naderi, Guadagnino, Zhang Yuan, Guskov, Llvovski,
Chen) e i 5 giurati del premio Maxxi
(Larry Clark, presidente, e poi
Pakalnina, Ancarani, Ahluwalia, Wahrmann) emettano i loro verdetti, buone le
giurie, interessanti i loro pareri, si spera siano allergici allo spirito festivaliero che chissà perché è
sempre misteriosamente più reazionario delle opere di ricerca più estreme viste,
facciamo una carrellata, da oggi in poi, sui film interessanti visti in questi
giorni nelle varie sezioni (in realtà nei festival metropolitani la differenza
tra concorso e fuori concorso è sempre scherzosa, bisognerebbe forzare non
sullo scodellare prime assolute mondiali, ma sul socializzare le ‘cose belle’ e
importanti dell’anno, dove socializzare i film belli del mondo vuol dire
produrre interferenze, introdurre nell’immaginario opere sbilancianti e
sorprendenti e non omogenee e consolatorie). E poi non si commentano i premi (se non si sono visti tutti i film in gara e io ne ho visto un terzo). Intanto la doppia vittoria, anche
femminile, della Finlandia nella sezione Alice nella città conferma la
supremazia scandinava nel settore immagini per l’età evolutiva. E’ la bellezza
di una cultura socialdemocratica che pone al centro della sua riflessione il rispetto
e la tutela di chi ha meno peso e potere nel consesso sociale. E combatte i
pregiudizi e i preconcetti del vivere comunitario. Her di Spike Jonze ha intanto vinto il Mouse d'oro....
Il secondo anni di Marco Mueller è stato ancora più
turbolento del precedente, per fortuna non
sereno nel clima e più rapido e veloce nelle scelte. Come in un set di
Corman: tagli di budget, ridimensionamento delle sezioni, ‘perdite’ umane, (nelle
commissioni di selezione). Ma il problema non è il taglio del budget, ma avere
un budget adeguato ai film, ai cineasti da ospitare e far conoscere anche attraverso
cataloghi di qualità. E non più falcidiato e ridicolizzato dal solo marketing,
dal lancio promozionale del festival che in questi primi sette anni ha dovuto
farsi largo nel mondo e ha appaltato ai privati fette esagerate del
finanziamento totale (per lo più privato, vista la geniale intuizione start up di Veltroni di coinvolgere
massicciamente la Camera di commercio di Roma). In un rapporto che era il primo anno 6 a 1.
Sei glamour, feste private, ospitalità da nababbi per le star e 1 film e
cineasti ‘da scoprire’.
Un’edizione, l’ottava, che è stata in forse per molti mesi,
perennemente in bilico nel suo baricentro artistico a causa delle elezioni
politiche e delle sue ripercussioni (il
centro sinistra comprensibilmente ostile a un cambio di vertice imposto in
maniera così brutale dal centro destra, anche se Polverini si è fatta piuttosto
telegiudare da Mueller, non viceversa, ma incomprensibilmente incapace di
disegnare una strategia alternativa di crescita artistico-pop. Non vuol dire
niente imporre a Mueller la parola festa
al posto di festival, lasciando la
ridicola testata – parodia rondiana di Cannes - di Festival internazionale del film di Roma). C’è stato meno tempo per
selezionare film e giurie perfino rispetto all’edizione 2012 (5 mesi invece di
sette di lavoro vero).
Ovviamente un film che elegge a suoi punti teorici di
riferimento German, Tsui Hark e Demme, non si può dire che non si ponga in un’ottica
allergica e non sinergica con l’esistente e la sua ideologia apologetica.
Jennifer Lawrence |
Bilancio. Rispetto alle altre edizioni, a parte il super
exploit di Jennifer Lawrence, eletta super star a furor di teenager amazzoni, forse
il momento più alto di ricezione non convenzionale, abbiamo trovato una
maggiore approssimazione d’indentità estetico-politica, almeno una quindicina
di ottimi film (che è la media di Berlino), condivisibile la riduzione dei film
a 67 più 30 corti (provenienti da 30 paesi), e l’aumento delle repliche, troppo
cari i biglietti, ancora troppo poco trasparente il rapporto budget-costi, pessimo il gioco dei colori per spiegare il programma sul catalogo gratuito, troppi colori simili, ma
una attenzione crescente della stampa e dei media internazionali; originali e
di tendenza le retrospettive, una esagerata enfasi nazionalitaria (anche se il
livello dei film italiani, soprattutto nella sezione dei documentari ci sembra
incoraggiante), il Maxxi che cresce di importanza e ben eredita la lezione di
Extra (non a caso è Mario Sesti il cuore-cinema del museo d’arte
contemporanea). Le poltrone sono scomode per una festa del cinema (che vuol
dire più piaceri che in casa). L’auditorium Parco della Musica però, nella sua strutturale
estraneità alla funzione ‘mostra del cinema’ ha retto bene all’impatto. E
siccome è importante per un festival non il contenuto dei film ma il contenuto
dei cinema si può dire che Marco sta coinvolgendo una ricezione sempre più
consapevole e attrezzata.
Vacanze al mare.
Di Ermanno Cavazzoni (Italia). Prospettive Doc Italia. Utilizzando il
filmato di repertorio, in questo caso il gigantesco archivio nazionale del film
di famiglia – Home movies di Bologna, Lamberto Borsetti ha montato e dato il
suono, dividendo per capitoletti, i beach movies girati amatorialmente in 8mm e super8, 9,5mm
e anche 16mm realizzati fin dagli anni 20 ma che ebbero il momento magico tra
gli anni 50 e 60, quando la vacanza al mare divenne anche in Italia un fenomeno
di massa collegato al boom economico e la cinepresa portatile un gadget
antropologicamente perturbante (soprattutto quando il mare non proprio eccelso
delle spiagge romagnole spingeva i bagnanti più verso il divertimentificio meno
balneare: formine e palette, sale giochi, bar, nautica, caccia al tesoro,
night, piste da palline, gare di nuoto, sabbiature, passeggiate notturne sulla
battigia….). Il cinema diventava accessibile a tutti. Potevamo essere tutti
filmaker. Un po’ meno di adesso, nell’epoca i-phone, che ci ha trasformati in
telereporter, ma con molta meno rigida percezione accademica di cosa sono i
piani sequenza corretti, i montaggi frenetici, la carrellata senza sbalzi, il
primissimo piano sensato. Un caos estetico esplosivo che è anche il fascino
della ‘differenza e ripetizione’ di queste immagini traballanti ma ad altissimo
tasso emotivo.
Rivedere i bikini e i
topless, i venditori di palloni e bomboloni, le mongolfiere e gli aeroplanini
pubblicitari, le partite di beach volley, i mosconi e sullo sfondo il
grattecielo di Cesenatico, per me che ero un abitué luglio agosto del Bagno
Romeo della cittadina romagnola (il tutto con le musiche – sarà un caso – di
Giorgio Casadei e Vincenzo Vasi) è stato
particolarmente emozionante. Come vedere mille film di William Asher con
Annette Funicello e Franckie Avalon, e i Beach Boys in sottofondo. Perché
questo diario dell’ovvio (che
immaginiamo continuerà con altri capitoli: matrimoni, comunioni, il cortile di
casa, la vacanza in montagna, all’estero, la riscoperta dell’America…) è anche
la base immaginaria del cinema commerciale comico e di una fetta di immaginario
collettivo, a monte e a valle del cinema. A un metro di distanza da queste
immagini ‘riminensi e dintorni’, Alberto Sordi girava nel 1970 Il presidente del Borgorosso. Gli assi del ciclismo Ercole Baldini,
Pambianco e Assirelli si presentavano la domenica con la bottiglia di Albana e
Sangiovese e i loro amici, festeggiati dai fan senza ingombranti poliziotti a
difenderli. Giorgio Ghezzi, portiere del Milan, apriva un albergo di lusso sul
mare, dove Gino Bramieri giocava a tennis e Sivori sorseggiava i Martini
cocktail, mentre sabato sera tutti al campo sportivo a sentire Lucio Battisti
con Maurizio Vandelli. Dario Fo, Franca Rame e il piccolo Jacopo correvano
sulla spiaggia prima di far colazione al Grand Hotel. Mentre l’orchestra
Casadei, o almeno i suoi futuri strumentisti, suonavano slow tutta la notte al
Paradiso Club…Il commento dello scrittore Ermanno Cavazzoni a tutto questo ben
di dio purtroppo rompe per troppo cinismo ridanciano l’incantesimo della
ricezione: a ciascuno la sua interpretazione originale e non stereotipata.
Mentre per cercare di accontentare tutti prevale demagogicamente l’autoesaltazione,
l’autocelebrazione, il cazzeggio comico insistito, come se si trattasse di
prendere in giro Pippo Baudo, Sanremo, Zavoli al giro d’Italia, o
Berlusconi…Insomma Cavazzoni imita qui un po’ il Chiambretti di tanta tv
verità/falsità, che se la prendeva con i poveri diavoli invece che con chi li
rende tali. E non parliamo dell’ errore compiaciuto e non quello involontario sparso
per il testo off (tutti sul bagnasciuga!),
la presa in giro post pasoliniana della ritualità della piccola borghesizzazione
dei proletari e dei sottoproletari. Quelle migrazioni, a prezzi contenuti, non
erano affatto incomprensibili. Che cittadini incontrassero contadini, che
torinesi incontrassero francesi e olandesi, che quelli del bagno Romeo osassero
frequentare i ricchi del Bagno Milano, era la condizione preliminare del grande
gioco sessantottino a venire. Che fece le sue prove generali proprio
rinfrescandosi nell’acqua bassa come trampolieri, divertendosi a eleggere le
Miss notturne e socializzando le modalità stereotipate del corteggiamento. Che solo
con lo standard fissato può diventare ‘originale’.
Nato prematuro di
Enzo Cei 21’ (Italia) Cinemaxxi concorso.
Il 7,2% dei bambini nascono in Italia prematuri, prima della 37esima settimana.
Le cause? L’età media in aumento delle gestanti? Infezioni, patologie
alimentari, la tossicità in generale della vita moderna, i veleni che beviamo
mangiamo e fumiamo….Ma l’assistenza ospedaliera, nel frattempo migliora, migliora. Anche se costa allo stato tra i 50
e i 100 mila euro (a parte gli interventi riabilitativi ulteriori). Diminuisce,
nel frattempo, la mortalità. Lo dimostra questo reparto di neonatologia di
Pisa, specializzato nell’assistenza dei nati prematuri, raccontato da un grande
fotografo che si è messo umilmente al servizio di un complesso
medico-infermieristico moderno funzionante e affiatato, in un cortometraggio prodotto
dal cineasta Paolo Benvenuti, con la consulenza
scientifica di Antonio Boldrini,
membro del consiglio direttivo della Società Italiana di Neonatologia e grazie
ad un finanziamento del ministero dei beni culturali. Le riprese sono
quasi sempre in primo o primissimo piano. Il montaggio di Andrea Chiantelli è
implacabile nella sua esattezza musicale. Le analisi accurate; le macchine
modernissime, cui sembra che nulla sfugga; le cure, che vanno al di là delle
‘regole d’ingaggio’; le flebo, sempre troppo smisurate; gli esami dei primari;
il pianto dei quasi bambini di mezzo
chilo che non è un pianto qualunque; la fame, finalmente adorata, perché arriva
quando la cosa funziona; il peso, anche allora così centrale; il tempo, perché
bisogna riempire i secondi che passano implacabili di grammi, etti, chili, insomma
di peso…Il simbolo stesso della potenza di vita, il neonato, che in genere
ridente ci fa ridere tutti quanti di gioia contagiosa, qui è quasi insostenibile
allo sguardo, si trasforma in un mostro
preumano, quando esce rosso fuoco dall’incubatrice, il simbolo della fragilità
massima dei nostri corpi quando sono per un motivo o per un altro in grave
difficoltà. Si teme sempre che questo ‘coso’ sia malato gravemente (non a caso
Enzo Cei ha contemporaneamente presentato un libro fotografico dedicato ai
neonati affetti da cancro). E queste mani, questi diagrammi, questi occhi
preoccupati o teneri previsti dalla partitura sapiente (anche di Laura
Guidugli) chissà cosa vedono che noi non vediamo….Non sembrano nati prematuri
extra comunitari. Cosa succede in questi casi?
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