Roberto Silvestri
Senza fare i conti con il nostro rimosso coloniale (perfino con quello nobile, che so, i tanti operai italiani morti nella costruzione della diga di Kariba, Tanganika, 1960) il paese non può crescere. Resterà uno dei Pays Barbare. Come quelli europei che pensano che a fotografarci, nel profondo dell'anima, sia solo il Pil. Ma attenzione. I "Pays Barbare" sono più di uno anche in un altro senso. C'è un'Italia coloniale, poi l'Italia imperialista fascista e quella postcoloniale di oggi, dal mediterraneo trasformato in cimitero acquatico, democratica ma non per questo meno barbara.
Etiopia 1936-1937. L'aprite a lungo negata |
Pays barbare è il titolo di uno di quei film documentaristici obliqui, fiction non fiction, che da soli valevano un viaggio a Torino, al primo festival di Virzì, che deve avere cambiato idea e contegno, per fortuna, da quando ironicamente sbeffeggiava Gianni Canova che gli rimproverava, 15 anni fa, di rappresentare un cinema interessante, nel filone della commedia seria, ma estraneo alla ricerca e alla competizione internazionale, perché 'mancante di sguardo'. Abbiamo perso Antonioni dal nostro cinema.
Camicie nere |
Un aereo costruito da Caproni |
Il triangolo delle Bermude del nostro immaginario più nascosto e trascurato, è la triplice avventura di rapina Libia-Etiopia-Somalia, che precede, però, certo si si sovrappone, ma anche segue il ventennio fascista.
Dalla ritrosia ad aggredire la Tripolitania del premier Zanardelli alle sfuriate del premier socialista Craxi contro i nostri puzzolenti pieds noir, per l'avidità smisurata, a Mogadiscio; da Omar Moukthar impiccato e dai campi di sterminio per patrioti tripolitani alla iprite dispersa dagli aerei Caproni nel 1936-1937 su vecchi-donne-bambini, dalle banane rubate dai nostri maldestri importatori di Somalita, alla 'festa per il mio caro amico Gheddafi'; dall'odioso Galliani che traffica subdolamente con Pretoria apartheid per truffarci coi decoder di Silvio (la reputazione se l'è persa lì) alla cascata di fango gettata dai teppisti con l'ipad contro il ministro Cécile Kyenge... la sindrome imperialista-fascista non è stata però la sola responsabile di una malattia interiore virale, il nazionalismo razzista, epidemia più arcaica, profonda e pericolosa delle altre (dell'anticomunismo, per esempio, che ne fu solo una delle forme), perché non smette di incrementare le vittime e offuscar le teste, leghiste o grilline o veltroniane che siano. Il chinino non può farci nulla, la febbre si espande anche al di là delle frontiere. E, diffondendosi, tra Le Pen, Alba dorata e Forza Italia, sbriciolerà l'Europa internazionalista sognata da Olof Palme e Dag Hammarskjold (tò, uccisi tutti e due dai neonazisti).
Abbiamo oggi un'occasione d'oro per ristabilire almeno il nostro equilibrio psicofisico. Non sono gli spettri dei nostri crimini quei signori e quelle signore che si aggirano per le fabbriche e per le strade comunali e extra comunali d'Italia. Sono lavoratori in carne ed ossa, cittadini del mondo immigrati, oltretutto una buona fetta di Pil, avrebbe aggiunto il premier cristiano democratico tedesco Helmut Kohl. Depennare subito la Bossi-Fini dalle nostre teste, ecco il disegno. Ma come fare? Non è un atto parlamentare. Si tratta di una rivoluzione psichiatrico-culturale.
Mussolini a Tripoli |
C'è da chiedersi per esempio, tornando indietro nel tempo, come mai dopo il fosco caso Matteotti, Mussolini che si era vantato spudoratamente di averlo fatto assassinare, riuscisse a rimettersi letteralmente in sella, facendosi riprendere e fotografare a cavallo (leggendo l'autobiografia di di un'ufficiale dell'epoca, Amedeo Guillet, le bellissime scene a Tripoli di Mussolini a cavallo, diventeranno un vero spasso) solo trascinando il paese nell'impresa imperiale, alla quale aderirono entusiasticamente perfino i più critici e i frondisti. L'alta missione spirituale che unì il nostro popolo quale era? Non più di un: mica siamo più fessi degli inglesi, dei portoghesi, dei tedeschi, dei francesi, degli olandesi e dei danesi. Vendichiamoci, come Hitler, delle umiliazioni di Versailles. Come se in quelle trincee non fossero morti e non avessero combattuto dalla nostra parte, al fianco dei nostri negri di colore bianco, migliaia e migliaia di soldati negri di colore nero. I 10 milioni di morti bisognerebbe iniziare a raccontarli meglio, blocco su blocco.
C'è qualcosa che non va, dunque, un bel po' prima e un bel po' dopo del Dux. Un bubbone maligno che va rimosso. C'è, ma non si vede. E' da molto tempo che dialogando con un brutto presente, sempre più catastrofico, i nostri due cineasti, chirurghi dell'immaginario, combattono per tutti noi una guerra di civiltà contro le immagini (anche mentali, anche sonore, anche subliminali) che ci avvolgono e ci intossicano esizialmente, e che hanno avuto il compito, per più di un secolo, di nascondere quel che è successo, di mistificarlo, deviarne il senso, imbellettarlo, truccarlo, falsarlo. Reportage televisivi, film commerciale e d'arte, saggi storici, libri scolastici, foto e collezioni private di oggetti esotici, chiacchiericcio da talk show, documentari ufficiali, ma anche home movie, romanzi autobiografici... Una valanga di cazzate, direbbe Celentano, che, come telespettatori o lettori, ci obbligherebbero a pretendere un salario di cittadinanza piuttosto cospicuo, visto che, infarcite come sono tutte queste informazioni deformate di spot pubblicitari, contribuiscono (come sosteneva Alberto Grifi) ad alzare anche i prezzi dei beni di consumo indispensabili alla sopravvivenza.
Questi due cineasti esploratori, muniti delle armi da fuoco degli artisti, una tavolozza di colori con cui ricolorare i frame, gli ingrandimenti ove necessario per mettere in primo piano ciò che l'inconscio nasconde e il tempo che passa uccide, una maestria musicale nel controllo dei tempi del rimontaggio - Marco Bertozzi, autore di un bel libro sulle immagini perdute e le visioni ritrovate (Recycled cinema, Marsilio) la chiama la potente macchina ermeneutica, e questa camera analitica che interviene plasticamente, cromaticamente e nella rimessa in quadro, è simile a quella usata in Ghostbusters per domare spettri e fantasmi - dopo aver trovato, da cacciatori provetti di archivi anche domestici, diversi film privati di un medico, iniziano a catalogare il materiale.
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi a Locarno |
Ormai le nostre autorità militari non negano più l'uso infame di quelle armi di sterminio di civili. Anzi. Ci hanno messo più di 70 anni per trovare la scusa per quella iprite. E adesso per salvare la memoria di Montanelli bisbigliano e minimizzano: "Non è stata che una trascurabile arma insignificante utilizzata a vittoria ormai avvenuta. E poi è stata utile nella guerra di trincea, ma spargerla dall'alto era troppo pericoloso perché il vento la poteva sospingere verso le zone occupate dagli italiani...".
Mussolini a Tripoli |
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