di Roberto Silvestri
Dalle due Sicilie, quella dei poveri e quella dei ricchi, ai due Brasile, quella dei super ricchi e quella dei super poveri. Hanno molto in comune, anche la ricchezza di un patromonio musicale e coreografico profondissimo. Ma. Chiamatela pure mafia ma non chiamatela mai più più favela, non fidatevi delle 'truppe d'elite' armate fino ai denti, che sparano all'impazzata nei quartieri poveri arrampicati sul panorama più bello del mondo, e chiunque uccidano lo chiameranno 'gangster' o 'negro' o 'terrorista' anche se sono assistenti sociali impegnati nella lotta contro la povertà e per l'affermazione della dignità dei cittadini emarginati. Prima legalizzate la droga, poi chiamatela 'comunità' e poi la droga come mafia, non come sostanza ricreativa, sparirà.
Il filo storico-politico, un senso sociale forte, materico, non manca in Transeuropae Hotel, opera indipendente, realista e simbolica nello stesso tempo, che, reduce dai festival di Montreal e Rio de Janeiro, ha iniziato il 9 ottobre scorso, al Nuovo cinema l'Aquila di Roma, il suo giro commerciale nelle sale italiane dopo aver vinto il R.i.f.f. 2013.
Luigi Cinque e Pippo Delbono |
E qui siamo in pieno mélo. La melodia agrodolce di una storia di amori impossibili.
Identica la sensibilità di Byrne, rispettosa dell'altro, a quella di Maya Deren, che voleva danzare a Haiti insieme al sacro sound del 'cavallo divino'. Non farne vetrino da entomologa. Qui però si sprigiona una più che decennale comunicazione con i musicisti tropicalisti e antropofagi. Non sappiamo se Luigi Cinque, compositore di musica contemporanea, folk e jazz, conosce così a fondo le favole popolate di santi consacrati da Nelson Pereira dos Santos. Ma geneticamente è un po' stato modificato da quelle immagini black, delocalizzate rispetto al codice lusitano, e mai riconciliate. Forse Luigi Cinque no, ma certamente la costumista Stefania Benelli sì, perché strappa dai corpi tutti i vestiti che fanno tanto "film di interesse nazionale e culturale" e si aggrappa alla filologia novista. Se confrontiamo i costumi di Luiz Carlos Lacerda in L'amuleto di Ogun che Nelson Pereira dos Santos firmò nel 1974, ritroviamo la stessa passione per il "fantastico invisibile", per il capo originale mai vistoso e elegantemente obliquo, che è la chiave segreta del film stesso. In ogni camicia e in ogni paio di occhiali scuri si palleggiano cromatismi emozionali convergenti o divergenti tra i personaggi e i paesaggi.
Non manca una drammaturgia forte, seria, da giallo-noir, e dunque piena di humor. Non è un documentario. E' piuttosto un ipertesto. Non a caso hanno contribuito alla sceneggiatura il poeta Valerio Magrelli e la scrittrice Rossana Campo.
Jurema Da Matta |
Siamo in pieno, vibrante, road musical.
Keuri Poliane |
Alex Balanescu (a sinistra) e Badara Seck |
L'originalità del film è assicurata. Ogni bel film musicale è un urlo di rabbia per la scomparsa misteriosa di Robert Johnson, il cui blues è invisibile ma sta dietro al jazz e al rock....
Preto de Linha (in mezzo) |
Le prove di una big band trans-jazz, di quelle classicamente e avant-gardmente world, nonostante il luogo sia sacro alle contaminazioni - nel cuore del mediterraneo fenicio arabo turco latino armeno berbero ashanti ebraico ateo - subiscono un intoppo davvero strano.
Senza strumento Peppe Servillo, maitre d'albergo dallo sguardo obliquo, ha accolto tutti gli artisti nella pace fuori dal mondo dell' hotel Transeuropae. In Sicilia, tra montagne di sale, battigia, mare e profumi d'agrumi. Ma qualcosa non funziona. Basta guardare il tavolo dove si beve. Così borghese, ordinato, bicchieri di vino bianco solo sorseggiato... Si vede che manca furia artistica e tensione creativa. Fossero l'Art Ensemble of Chicago lì intorno si troverebbero almeno 30 bottiglie claudicanti di Budweiser o Forster.
Luigi Cinque sul set |
A Marina Rocco, reduce dal film romano di Woody Allen, il ruolo di assistente video bionda e riccia, ed è proprio lei, maneggiando le vecchie registrazioni del gruppo, che ritrova le immagini di un vecchio percussionista sudamericano che deve unirsi alla session, così impongono due fatine venute dal Brasile, Keuri Poliane, l'Angela Davis del Samba, e Jurema da Matta, l'anziana antropologa militante, che trascinano Luigi - sopraffatto dai sensi di colpa perché non lo ha ancora fatto - a cercare l'amico e collega a Copacabana e dintorni.
Restano a far le prove i membri della band: colti e misteriosi violinisti rumeni (Alex Balanescu), pianisti sardi cui l'etichetta di super-virtuoso sta stretta (Antonello Salis), cantanti mandingo dalle voci extraterrestri (la giovane Diarra Guye e il griot Badara Seck), percussionisti bahaiani con l'amuleto di Ogun, soliste sinti dai capelli biondi (Basia Witchsloska), clarinettisti klezmer orfani di Molly Picon (Merlin Sheperd), tastieristi ex Area (l'antropofago di Cesenatico Fabrizio Fariselli), polistrumentisti come Gianluigi Trovesi, 'ufficiale della repubblica italiana', pianisti siciliani come Sal Bonafede, a cui intrecceranno anche i lamentatori di Montedoro e Ensemble Candomblé Terreirao de Luisinho do Jeje... Il concerto è imminente. La deviazione dal programma lo mette a rischio. Prima della prima quel viaggio alla fine del mondo, in America Latina, non ci voleva. L'agente dei musicisti, la produttrice dell'evento, Ilaria Drago, trema e si infuria, non si dà pace. Ma chi può fermare un assolo di jazzman?
Marina Rocco |
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