giovedì 28 novembre 2013

La pazza della porta accanto. Alda Merini secondo Antonietta De Lillo. Al 31TFF

Antonietta De Lillo




Roberto Silvestri

La pazza della porta accanto - Conversazione con Alda Merini. 
Di Antonietta De Lillo. 
Anteprima mondiale al 31°TFF. Sezione "E intanto in Italia". 

Alda Merini
Nella sua casa di Milano, ai Navigli, in una stanza disordinata, la sua, famosa perché sottosopra come quella di un beatnick ("quando non ci sono più convitati perché pulire i piatti, la tavola e per terra?"), contigua alla camera da letto, quella tutta imbrattata, con le scritte gigantesche e lettriste sulle pareti (ma che qui non vedremo), davanti a una tavola dominata da una gigantesca bottiglia di Coca Cola e al pacchetto di Marlboro, filo di perle al collo, anello e orecchini d'oro,
il poeta Alda Merini racconta, non senza momenti di blasfemia pura, coraggiosi per una artista sedicente religiosa, la propria vita. I traumi di una esistenza mortale non trovarono mai radiografa così accurata, spietata e imbarazzante. 

Con Roberto Benigni
Non proprio troppo facilmente decifrabile, poi, quella vita. Il flusso di parole è un sussulto a ruota libera, si sprigiona come getto geiser, bolle e zampilli, nonostante il perfetto lavoro al suono di Silvia Moraes. Due giorni interi di intervista con Antonietta De Lillo (che è sempre fuori campo), realizzata nel 1995, diventano meno di 50 minuti. Si parla di (quasi) tutto. Interventi densi, saggi, massime a volte frutto di uno stato di trance, con passaggi improvvisi all'invettiva (soprattutto sulla mafia dei manicomi: "quelle madri che mandarono i loro figli in manicomio per farne fare esperimenti, io le manderi al muro!"). Di una dolcezza furibonda e di una crudeltà inaspettata. 

Viveva sola, i suoi mariti erano tutti morti, i suoi 26 amori svaniti, anche le figlie (ha partorito perfino in ospedale psichiatrico) le erano state portate via tutte. Per fortuna ci sono i giovani che la assistono, più dei coetanei. Danno e ricevono. In genere si prende solo senza dare. "Un sacco di ragazzi mi circondano, facendo ingelosire, chissà perché le loro bellissime fidanzate ventenni. Ovvio che vengano da me. Ho settant'anni, molta più esperienza, la vecchiaia mi piace, riemergono dal passato così tanti traumi, snetimentali e no, somatizzati... Loro sono ventenni, ancora cuccioli".

Antonietta De Lillo
"Io sono una donna molto facile, molto normale, hanno fatto una costruzione enorme, ma in fondo sono una persona di tutti i giorni, sono proprio la pazza della porta accanto. Avrei voluto diventare una psichiatra, una psicoanalista o una imbalsamatrice, mi piacciono molto i lavori che mettono a contatto con la morte".  

Alda Merini e la figlia
"In fondo noi però eravamo la contraddizione assoluta - aggiungerà -  la società non era ancora preparata ad accogliere chi vuole stare nello stesso tempo in compagnia ma anche nella solitudine più assoluta, chi desidera ardentemente il denaro, ma solo per poi buttarlo via". Non esistono poeti masochisti. I poeti sono goderecci. E comunque sono inconoscibili. E inoltre se ne vogliono andare da questa società - e qui il tono si fa artaudiano - sempre più horror: fuori dal manicomio, dove impera la proprietà, ecco aggirarsi solo canne bramose che vogliono solo saziarsi di carne umana. Dentro derelitti che non riescono neanche a piangere trasformati in ladruncoli di calzini, pantofole, piatti e forchette perché lì dentro non possiedi nulla. Se non un antico ricordo dell'istinto di vita.
 

La pazza della porta accanto. Certo, è il libro in prosa scritto dalla Merini per Bompiani nel 1995. Ed è una delle prime frasi che dice nel film (di prossima programmazione televisiva, si spera), in quella sua lingua a cadenza nordica, più emiliana che meneghina, parlando molto anche con i gesti e con gli occhi ("dovremmo averne dappertutto, di occhi, per capire meglio quel che osserviamo e sentiamo e non riusciamo a vedere e a patire"). E spiegandoci così il titolo di questa seconda parte dell'omaggio della cineasta napoletana - esperta nell'altalena fiction non fiction -  alla scrittricie più martoriata della modernità (per i lunghi soggiorni, 27, in manicomio, per le troppe sedute di elettroshock sibite), dopo Ogni sedia ha il suo rumore (1995). Che poi era terzo ritratto d'artista di De Lillo, dopo quelli dedicati al fotografo Angelo Novi e al cineasta Lucio Fulci. 

Molto materiale girato in quella occasione non era stato utilizzato nel montaggio finale di un documentario che alternava le parole della Merini alle performances graficovocali di Licia Maglietta. Questa volta sono invece le immagini di Luca Musella rubate al Naviglio e a Milano, ombre che camminano, alberi scheletriti, papere compunte, acqua che scorre riflettendo i palazzi, a ritmare topograficamente la seconda parte della conversazione, prodotta da Marechiaro (la società di Antonietta De Lillo nata per favorire l'incontro e lo scambio tra generazioni diverse e che sta realizzando in questi mesi il film partecipato - sul tema "l'amore" - Oggi insieme domani anche), grazie all'aiuto di RaiCinema.  


Nei suoi interventi esistenzial-filosofici, intervallati da letture della stessa Merini di brani dai suoi libri, si discute o meglio si monologa con apparente semplicità di ispirazione e poesia, arte e vita, parto e orgasmo, amore e incubi, infanzia e vecchiaia, anarchia e gelosia, figli e educazione (insegnare a elaborare i propri segreti, si cresce solo tutelandoli), Madre Teresa di Calcutta (di cui amava l'invettiva contro l'indifferenza, che è peggio del crimine) e certo femminismo (perché voler essere come gli uomini?), vizi e peccato ("i primi sono monotoni e ripetitivi, il secondo invece, come provano la vita di parecchi santi prima della conversione, è 'la più bella invenzione della vita' "), fornicare e elettroshock, materassi mal messi e portieri di casa dal volto orribile "che mi portarono al delirio", Renato Curcio (con cui ha cercato di raccontare in un libro di Sensibili alle foglie cosa è l'atroce esperienza dell'elettroshock, è come un uscire e rientrare insensato, e a frammenti, dalla morte) e religione. "Dio? E' proprio come la mia casa, con tante cose messe a casaccio di cui non ci si ricorda neanche l'origine". 

Alda Merini in "La pazza della porta accanto" di Antonietta De Lillo
Di Cesare Accetta sono le immagini devote, tutte in primo, primissimo piano e dettagli (degli occhi, delle mani, delle unghie smaltate, del corpo 'espanso') della scrittrice che fu adorata da Manganelli, Spagnoletti e Quasimodo. Le sequenze sono ritagliate, ingigantite, allontanate e avvicinate con la appassionata consulenza della montatrice Valeria Sapienza, mentre la melodia inquietante eppure affascinante di Philippe Sarde (La vie devant soi) avviluppa con calore il tutto. In fondo, sui titoli di coda Ascanio Celestini intona una sua canzone, striata di umorismo nero, L’amore stupisce. 
Alda Merini in "La pazza della porta accanto2 di Antonietta De Lillo





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