La luna su Torino, anzi dietro Superga |
ROBERTO SILVESTRI
Visto che il pensiero dominante obbliga al climbing sociale, all'arrampicata selvaggia, l'equilibrio è tutto. Domina la paura di cadere, di scivolare sempre più in basso, la necessità di aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno, per non precipitare e per meglio far precipitare prima gli altri. Amici, amanti, partiti, volontariato, coinquilini, genitori, avvocati, sport, lavoro anche se precario, parroco, società segrete, superenalotto, squadra del cuore sono i sostegni prediletti del vivere precario...
Davide Ferrario |
Ma quando tutto sembra diventare nero assoluto ci si può sempre buttare dal ponte, con l'elastico di protezione, o senza. Capita. Soprattutto in un brutto anno bisestile. E fino a quando si smetterà di credere che in questo climbing in solitaria consista il darwinismo evolutivo. Oppure basterà fuggire non a nord non a sud, ma a est o a ovest seguendo però sempre la linea immaginaria di un identico parallelo, magari in bicicletta... Davide Ferrario, il John Sayles del cinema italiano, in La luna su Torino, gioca a semplificare queste questioni complesse, in cerca di leggerezza. Fare del buon cinema di evasione intelligente è una buona scommessa (senza intelligenza infatti niente evasione riuscita).
I tre personaggi principali di questo film (ma ognuno ha un suo 'doppio' o almeno una sponda) d'ambiente sabaudo (ci sono pure le mondine di Novi in coro, a ricordarci che qui siamo nella regione di Riso amaro) e che si pone una serie di domande dandosi una serie di risposte, filosofiche, esistenziali (per esempio: quale è il nostro posto nel mondo?) oppure insignificani, con l'equilibrio hanno, per fortuna, parecchi problemi. Li aveva anche la Mole Antonelliana, ex sinagoga e attuale sede del museo del cinema, come si vede in una scena di questo film, che infatti ha perduto per svariati anni la sua bella punta, colpita da un fulmine.
Manula Parodi, nel film Maria |
Walter Leonardi (Ugo) |
Eugenio Francschini (Dario) |
Dario e Walter incrociano i guanti |
Daria Pascal Attolini (Eugenia) |
Lontano da dove di F.Marciano |
Anche se le tre avventure sentimentali intrecciate in La luna su Torino, che perdono via via tutto ciò che hanno in comune tra di loro, e si avviano su triplici sentieri incomunicabili (è la maturità, bellezza), si svolgono invece proprio oggi, in una bella villa olpre Po sulle colline, precisamente sul 45° parallelo, a metà strada tra il gelido Polo nord e il torrido Equatore, tra leggerezza e pensosità, che solo Italo Calvino nelle Lezioni americane seppe riunificare (lezione prima). Ma che, per esempio, Renzi e Cuperlo sono ancora incapaci strutturalmente di annodare e così hanno divideso di nuovo la sinistra.
Una collocazione geografica che per Davide Ferrario, il regista produttore e sceneggiatore che è anche scrittore giornalista romanziere, ex critico colto e militante, spesso documentarista politico, al nono lungometraggio di finzione, è diventata una ironica passione, quasi una ossessione autobiografica, visto che si intitolava proprio così una delle sue prime sceneggiature del 1986, per Attilio Concari, e che la nativa Casalmaggiore nel parmigiano divide con la città della mole antonelliana non solo lo stesso parallelo ma anche lo stesso grande fiume. Chi abita sul 45° parallelo ha molte più cose in comune con il deserto del Gobi che con varesotti e avellinesi.
La commedia giovanilistica, ironica, romantica, lucida e impotente a cambiare le cose (Leopardi, oltre a Calvino, è un punto di riferimento esplicito del film) al festival di Roma fuori concorso, è stata distribuita da Academy 2, e all'estero da Lion Picture, ed è interpretata da un pugno di giovani attori di provenienza teatrale e non televisiva (reference system!? fuck you!) bravi nel combattimento corpo a corpo e mai prevedibili e naturalmente, avendo l'appoggio della Film Commission Piemonte, si dilunga per gran parte, negli esterni, tra i pezzi pregiati di una metropoli postindustrializzata ma ancora magica e metafisica.
Rendendo più facile per questo film vincere ai punti rispetto alla "commedia giovanilista e sentimentale romana", alla Moccia (citato) almeno fino al penultimo round (l'ultimo è appena iniziato al botteghino), assai più pesante nel gioco di gambe e prevedibile nei colpi al bersaglio grosso. E poi molto meno arguta nei dialoghi e nelle allusioni. Anche per il buon lavoro della sezione ritmica: Dante Cecchin alle luci (le meno torinesi possibili, anche se è una luce brillante, da città del cinema, da Los Angeles), Claudio Cormio al montaggio, pieno di controbalzi, Paola Ronco ai costumi che un tempo avrebbero scandalizzato le signore borghesi di via Roma e Francesca Bocca e Valentina Ferroni alle scenografie, come sopra.
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