Mariuccia Ciotta
La commedia freme nell'adolescenza
vista da Roan Johnson di Piuma (concorso), il “film più
leggero della Mostra”, fragile duetto tra due quasi bambini in
attesa di un altro bambino, a colpi di battute scoppiettanti, dentro
una famiglia scombinata, in quella zona dove la normalità domestica
diventa fantascienza. Il regista del bellissimo I primi della
lista, però, si affeziona troppo ai suoi personaggi e li fa
girare su se stessi, ripetitivi nella recita di un'innocenza degna
del John Landis di Stupids. Il che riempirà le sale, dopo le
risate fragorose al Lido.
L'adolescenza c'è pure in Tommaso
(fuori concorso) di e con Kim Rossi Stewart, uno dei nostri grandi
attori che si tiene in disparte dal cinema mainstream, e che qui offre un'opera aperta e danzante con se stesso sdoppiato, interprete
e regista, nella parte di uno mai cresciuto, affamato di donne. Con
le “donne”, però, non si gioca bene (nemmeno con la stupenda
Jasmine Trinca) perché chiedono sempre ai compagni di crescere come a
Peter Pan, mentre lui è un anarchico del desiderio, è un teenager
dentro, anzi è un “magnifico quarantenne” di una generazione
dopo. L'imitazione dichiarata di Nanni Moretti è un esercizio al
limite, ma Kim sa come estremizzarne la vena surreale, e lo fa
magistralmente nella seconda parte del film quando incontra una
ragazzetta nata sulla Luna e dal linguaggio cifrato. Incontro
generazionale tra alieni, terzo passaggio di testimone, dopo Nanni, e
godimenti al di là del tempo.
Ed ecco Questi giorni di
Giuseppe Piccioni, terzo e ultimo film italiano in concorso. Ancora
teenager, quattro amiche in viaggio, materiale e immaginario, verso
un futuro che non si può indovinare, anche se una di loro lo
intravvede nella luce delle candele. Piccioni (Il rosso e il blu,
indimenticabile) infonde una densità emotiva speciale alle sue
creature, uscite dalle pagine di Marta Bertini (Color betulla
giovane), alle quali dà la parola e non il solito gergo
adolescenziale, entra nelle teste, spettinate, delle quattro dalle
personalità lontane, ma vicine per potenza di vita. A rimettere a
posto le capigliature ci penserà Margherita Buy, parrucchiera,
madre di Liliana, l'astro Maria Roveran, un po' innamorata del
professore Filippo Timi, che finalmente può rispondere alla
studentessa timida “anch'io non ho parole”, e il suo saltellio
lessicale è un modo poetico per comunicare. Una corrente sensuale
attraversa Questi giorni, che da gita a Belgrado per
accompagnare l'amica decisa a espatriare in Serbia, in controtendenza
“clandestina”, si trasforma nel road-movie della giovinezza,
dove ci può ammalare, separare, amare, occupare un cinema (unica maniera per vedere Verginità indifesa di Makavejev capofila della grande scuola serba di cinema) e improvvisare un'”uscita
di strada”. C'è chi suona il violoncello, chi, giovanissima, è
incinta di un compagno di scuola un po' tonto ed è presa da pulsioni
erotiche serbe, chi è innamorata della più bella e non sa come
dirlo, chi sospetta a ragione di un fidanzato troppo macho... La
macchina da presa si ferma sulla superficie marmorea di Maria
Roveran, sul suo viso bianco, sulla visione della morte che riflette
in poche ore l'intera esistenza.
I film italiani in gara e non (Le
indivisibili nella sezione Giornate degli autori, per esempio)
sono stati accolti qui al Lido con un certo distacco critico, eppure,
al di là della loro riuscita, il cinema si fa sentire, e apre
nuovi spazi, come fa il malinconico Questi giorni.
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