Mariuccia
Ciotta
I
giurati di Sam Mendes, divisi in tutto, non prendevano neppure il
caffé insieme. E se Lav Diaz, l'unico Leone possibile, ha prevalso,
i leoncini precipitati a pioggia sui film più disparati ha provocato
una forte dispersione critica, anche a causa di un regolamento
(assurdo) che non permette a un solo titolo di accumulare premi.
Così,
ecco che il più grande cineasta di oggi dopo Diaz, e prima di
Terence Malick, è lo stilista Tom Ford che con il suo Nocturnal
Animals vince il Leone d'argento – Gran Premio della giuria. In
questa opera seconda, Ford, per non rischiare, confeziona due film in
uno, il primo distillato di haute couture, come l'elegante esordio di
sette anni fa, A single man, e il secondo un “giustiziere
della notte” con feroci stupratori dalla camicetta firmata e
sceriffi killer, storia che non pone problemi né di stile né morali
essendo un racconto che la protagonista legge e visualizza in incubi
a occhi aperti, dando fondo alla memoria cinematografica collettiva.
Va bene il ritorno dei generi, anche degenerati, ma gli autori di
oggi, in prevalenza europei, rischiano la citazione farsesca dei
classici, e addirittura di Tarantino.
Un
altro Leone d'argento, questa volta alla regia, è stato diviso in
due tra il polipo alieno pansessualista del messicano Escalante e la
requisitoria in bianco e nero del nazismo, riveduto da dio e da
Konchalovsky direttamente in Paradise, la produzione, però, è
russo-tedesca, come si può notare dal fascinoso giovane
aristocratico che crede negli ideali SS, una specie di Eichmann in
bella forma, e dalla seducente aristocratica russa fuggita dai
bolscevichi, fatta santa anche se collaborazionista (poi pentita).
Il
premio più inconcepibile, però, è andato a Jackie del
cileno Pablo Larrain, in cima alle stelline dei critici dopo La La
Land di Chazelle, che insegna a fare i musical senza coreografie
né ballerini, basta la performance solitaria e atletica, come in
Whisplash.
Il
premiato, in realtà, è per Noah Oppenheim, autore della
sceneggiatura sui quattro giorni dopo l'assassinio di John F.
Kennedy vissuti dalla vedova, interpretata da Natalie Portman, che ha
perso la Coppa Volpi, andata a Emma Stone (La La Land), sempre
nel gioco perverso di incastri. Jackie, infatti, era il
miglior candidato per la categoria miglior attrice protagonista. E
invece gli è toccata lo script, che Larrain ha affidato a Oppenheim,
newyorkese, produttore e sceneggiatore di serie tv ambientate in un
mondo distopico, The Divergent e Maze Runner, e
co-ideatore del programma Mad Money, al quale si ispirò
Jodie Foster per Money Monster, contro Wall Street.
La
sceneggiatura di Jackie attraversa in segreto l'abbagliante
trama visiva di Larrain, al quale non piacciono i film che rispondono
alle domande perché è il pubblico a dover riempire i vuoti. Il suo
Jackie è un tale cumulo di risposte sbagliate che in effetti
è meglio evitare le domande. Oppenheim si affida innanzitutto alla
Commissione Warren per raccontare l'assassino di John F. Kennedy, un
presidente così fatuo, solo glamour e mondanità, che non si capisce
chi può averlo ammazzato se non lo spostato Lee Oswald, il
“comunistello”, il quale fu ucciso da un altro fuori di testa,
Jack Ruby, mentre Jackie si stava provando i completini Chanel e
cercava di dare un po' di sostanza presidenziale al marito
sciupafemmine leggendo Lincoln.
L'uomo
al quale nel film viene attribuito, dal fratello Bob, il tentativo di
invadere Cuba, mentre John si oppose alla Baia dei Porci, e per
questo, è l'interpretazione più accreditata, fu ucciso da agenti
anti-castristi in combutta con la Cia, era, si legge nella
sceneggiatura premiata alla 73 Mostra di Venezia, un vanesio incapace
di intervenire su diritti civili, razzismo, guerra in Vietnam. Il
presidente che voleva essere Re Artù e ogni mattina ascoltava le
musiche di Camelot, il suo mondo ideale, l'America in forma di
musical.
Il
film ha molto commosso per l'intensità di Natalie Portman, e
oscurato l'obiettivo di un regista che ha raccontato superbamente il
Cile politico e che a sorpresa sceglie per il suo primo lavoro
americano Jacqueline Lee Bouvier. Ma è sul capezzale di Kennedy che
si protende, dopo il Post mortem di Allende. E lo fa nel modo più
sprezzante possibile e più subdolo, spingendo in primo piano le
lacrime di una donna, colpevole di aver condiviso una presidenza di "puro spettacolo", così come i funerali del presidente ucciso a
Dallas. La speranza democratica Usa, dopo gli anni del maccartismo,
si fermerà con l'omicidio di Bob Kennedy e di Martin Luther King nel
1968, e s'infiammerà nello stesso anno in tutto il mondo.
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