Mariuccia Ciotta
VENEZIA
Film di genere e remake, la Mostra non
si tira indietro e registra la vocazione al ritorno sui set storici,
a fumetti e anche letterari e storici, stile Frantz di Ozon
che rievoca Lubitsch. E ora è il francese Stéphane Brizé a tornare
sulle ombre di Alexande Astruc con Une vie (concorso), tratto
dal libro d'esordio di Guy de Maupassant, anno 1883, romanzo
d'appendice con forti riflessi autobiografici, il protagonismo di una
donna ingannata e della menzogna come peccato capitale. I residui
aristocratici marci, l'ipocrisia borghese e le sue vittime.
Brizé cambia registro rispetto al
premiato (a Cannes e ai César) La legge del mercato, con il
suo anti-eroe in cerca di lavoro e di comprensione umana, un po' alla
Ken Loach, ma continua con l'identikit della virtù calpestata e
segue la scrittura ellittica di Maupassant. Via i raccordi narrativi,
ed è tutto uno scrutare ombre e luci sul volto di Jeanne, una Judith
Chemla che calamita la macchina da presa, e incide i fotogrammi con
il suo profilo da medaglione d'ambra, infiocchettata in abiti fioriti
e poi lugubri del lutto.
Siamo in Normandia, 1819, e Brizé
ritaglia le sue belle statuine (fotografia di Antoine Héberlé) nel
formato stretto, quadri di un naturalismo inquieto in cui irrompe la
macchina a mano e certi flash-back che richiamano i filmini
domestici, immagini mute alle quali Brizé affida l'azione. Perché
tutto in Una vie è congelato nell'estetica della
fanciulla-colomba, uscita dagli studi in convento, figlia di un ricco
proprietario di fattorie, sposa del visconte spiantato Julien de
Lamare, che presto si rivelerà traditore e bugiardo. Prima la
cameriera poi la vicina di casa, il viveur Julien semina figli e uno
ne dà anche a Jeanne, prima di farsi ammazzare dal marito della sua
amante. La carneficina è sintetizzata in tre fotogrammi, lei nuda
nel prato con un fiore di sangue sulla schiena, lui riverso e
pugnalato, il marito suicida nell'erba, incorniciato dai colori del
giardino.
La secca cronaca di Maupassant si
annacqua negli acquarelli di Brizé, nella lunga agonia di Jeanne che
avrà un figlio degno del padre, avido e senza cuore, mentre lei come
Penelope aspetta sulle scogliere battute dall'oceano il ritorno di
qualcuno da amare. Così è la vita di una donna dell'Ottocento.
Eppure qualche anno prima (1856), Flaubert, caro amico di
Maupassant, aveva esordito con un altro romanzo a centralità
femminile, Madame Bovary, una “scandalosa” anti-Jeanne.
La pura e santa Jeanne, che perdona e perdona, assediata dagli uomini
perfino in tonaca, un prete che viola allegramente il segreto
confessionale e che le ricorda in continuazione come la menzogna
offenda dio più di ogni altra cosa, più del tradimento. Sembra un
promemoria per la giunta di Roma.
Nessun commento:
Posta un commento