Mariuccia Ciotta
VENEZIA
Il volto attraversato da
nuvole, Emir Kusturica ha un'espressione che dissente dalla commedia
quasi slapstick On the Milky Road (Sulla via lattea), ultimo
titolo in concorso, e che a prima vista sembra uno scanzonato
balletto fracassone (musica del fratello Stribor) in tempi di guerra
(dei Balcani). Tratto da un racconto dello stesso regista e
interprete, il film è diviso in tre capitoli e parte con la solita
fanfara dispiegata a mille, tra un moltiplicarsi frenetico di
metafore, oche bianchissime precipitate nel sangue del maiale appena
sgozzato, una gallina che non riconosce se stessa e salta a vuoto
davanti allo specchio.... e un bestiario vario fatto di asini
intelligenti, rapaci che ballano al ritmo delle tastiere, serpenti
grati al lattaio Kosta (Kusturica) e un gregge di pecore destinate al
massacro.
Monica Bellucci parla
serbo ed è un piacere vederla liberata dal glaciale sussiego, in
coppia buffa e d'amore con il malinconico venditore di latte. Ma nel
caos generale, tra matrimoni andati a monte, militari spudorati, gag
di ogni tipo, Kusturica ci infila la lama tagliente della vera
guerra, la carneficina della fiorita Krajina, regione della Croazia
popolata da serbi dove all'inizio degli anni 90 morirono ventimila
persone. La commedia cede a un realismo magico e disperante, a una
surrealtà a volte dipinta con colori (e uccellini) disneyani, a
volte lugubre e truce, lanciafiamme all'opera e corpi carbonizzati.
Il regista serbo non dimentica Underground, e tra i miracoli
di un'ascensione in cielo dei due amanti intrappolati su un albero
sotto la pioggia, arriva il vero colpevole, un generale della Nato
che, tradito dalla bella italo-serba Monica, manda il suo squadrone
della morte a distruggere e uccidere. Forse per questo j'accuse
Cannes ha rifiutato il film nel maggio scorso.
La libertà di fraseggio
di Kusturica fa coppia con quella di Terence Malick, due cineasti
lontanissimi tra loro ma in grado di irritare la platea con
l'iperbole di se stessi. Registi che non temono l'esposizione dei
loro desideri di trasfigurare il cinema. Kusturica al quadrato, dejà
vu eppure sorprendente. Malick con la sua cosmogonia celeste Voyage
of Time: Life's Journey (concorso),
come tradurre National Geographic in un poema dantesco, e scrivere la
genesi della Terra, la Madre dalla voce carezzevole di Cate
Blanchet. Il “sogno dei sogni” di Malick risalente agli anni '70,
e del quale abbiamo visto brandelli in The Tree of Life. La
nascita del mondo nel ruotare delle stelle, nell'esplosione rossa dei
vulcani, nel movimento languido dei mari, nel moltiplicarsi delle
cellule fino alla maestosa balena. Malick mette all'opera Bach,
Beethoven, Haydn, Arvo Part, e Dan Glass per gli effetti speciali...
Il dinosauro bambino uscito dall'albero della vita, incerto
dentro un canale sassoso, così come sarà l'uomo preistorico che
Malick visualizza a rischio di citare La guerra del fuoco.
Malick all'ennesima
potenza per un film né documentario né narrativo. Così
fragorosamente libero da generi e anti-generi dal cinema pop e da
quello d'autore, così spericolato nel sentirsi dio, così avulso
dalle tabelline dei critici, palline e stellette, da meritarsi un
inchino da chi la nascita del mondo la vede proprio così, riflessa
sullo schermo. L'immortalità materica di Spira Mirabilis vola
leggera in Voyage of Time.
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