Donald Ranvaud, creatore di cinema italo-inglese |
di Roberto Silvestri
VENEZIA
E' in post produzione il suo ultimo film, Blue Weekend di Anastazja Davies. Su Tesla. Ma il suo produttore, Donald Ranvaud, è improvvisamente scomparso. Era "Donald" e interpretava la parte di se stesso in Visioni private di Francesco Calogero e Ninni Bruschetta. L'avevo conosciuto come redattore di Framework, la rivista londinese di tendenza estrema che aveva fondato nel 1975 eda cui era uscito nel 1988.
Ma era nato a Firenze. L'umorismo graffiante era nostrano. Il tifo fedele per il Milan, nonostante tutto, pure. Molto poco british. Era allora un funzionario del cinema
britannico pubblico, o almeno così mi sembrava, ma era furioso, e pronto ad andarsene, la prima volta
che ci ho parlato, a Monticelli Terme, ospite del festival di Ungari
e Aprà, in polemica con la politica del governo laburista che, prima ancora e
forse più della Thatcher, stava distruggendo il cinema “indie”
del Regno Unito. Aveva infatti deciso (anticipando il becero metodo del postcomunista Veltroni) di finanziare con soldi pubblici solo pochi grandi progetti
multimilionari, meglio se tromboni, e pochi festival di grande eco mediatica assicurata,
piuttosto che molti piccoli film e manifestazioni di ricerca.
E' stato al festival di Cannes, nel maggio scorso, l'ultima volta che ho visto Donald Ranvaud, il geniale critico e
produttore "creativo" e distributore super indipendente italo-britannico cui si
deve Central
Station
di Walter Salles jr. e decine di altri magnifici film, era ormai emigrato da oltre 20 anni prima in Asia poi in Brasile, perché il cinema
europeo statalista è “senza futuro”.Nel 2013 ha prodotto in Italia Sta per piovere, ma il regista era l'algerino Haider Rashid , perché se aspettiamo che il ministro Franceschini dia una mano ai cineasti italieni stiano freschi. Ai politici contano i sondaggi, e con il M5s, a giudicare dalla caccia agli zingari di Torino sarà peggio.
Volevo salutarlo, a Cannes, ma è scomparso, all'improvviso.
Come all'improvviso riappariva di tanto in tanto, con i suoi sempre
spiazzanti, visionari e avveniristici progetti (le idee che aveva
erano sempre avanti mille anni luce al corrente modo di esprimerci
degli umani, ma il suo linguaggio non verbale era chiarissimo). E
come all'improvviso è scomparso, non si sa ancora bene come e
perché, nella sua stanza di albergo a Montreal, dove era giurato
della sezione competitiva del prestigioso World Film Festival e dove
è stato trovato, esanime, lunedì. Ecco perché non era ancora
arrivato qui al Lido. Se andiamo a curiosare nella pagina Imdb scopriamo che era in piena attività, e che stava lavorando molto negli Stati Uniti. Una vera forza indomabile della natura. Al Pacino lo aveva voluto come executive per il suo Wilde Salomé, non a caso, nel 2011.
Donald Ranvaud con Amir Naderi, a sinistra, all'hotle Excelsior del Lido di Venezia |
Donald
Ranvaud, 62 anni, scrive Hollywood Reporter, ma forse ne aveva un po' di più,
era da 40 anni uno dei punti di riferimento della mappa emozionale
del nuovo cinema fecondo e rivoluzionario. Odiava standard e format non solo nel calcio, come il suo amico Galliani, drogato di cultura carioca, forse per merito della moglie, ma anche nella narrazione visuale, anche se detestava i solipsismi e le immagini ermetiche (attenzione non considerava certo Straub e Naderi degli spaccapalle). E ho cercato, sempre con
successo, di farlo collaborare alle pagine di politica culturale del
manifesto
(anche
se nel suo necrologio Hollywood
Reporter, commosso,
ha un momento di amnesia e non se ne ricorda).
Vediamo qualche pezzo della mappa. A Londra c'era lui, Laura Mulvey
e Peter Wollen. In Francia Bernard Eisenschitz, Noel Simpsolo, Serge
Daney e Nicolas Saada. In Tunisia Tahar Cheeria; in Senegal Paulyne
Vieyra; in Germania Ulrich Gregor e Filmkritik; in Portogallo Paulo
Branco, Antonio Reis, Augusto Seabra e Rui Nogueria (in diaspora). In
Italia, oltre al Filmstudio/Politecnico/Occhio Orecchio Bocca,
Straub/Huillet, Gianni Menon, Gianni Buttafava e Marco Melani; in
Svizzera Leo Mingrone, negli Stati Uniti le rivista “Velvet Light
Trap”, “Camera Obscura” e Film Comment, lAmos Vogel, o studioso
di noir più pericoloso del suo omonimo terrorista, Carlos, il prof
dell'Uca Steve Ricci; in Filippine e Hong Kong Roger Garcia, in
America Latina Fernando Birri e gli udigrudi....Insomma faceva parte
della Internazionale del cinema sovversivo.
Non a caso ha poi
partecipato alla produzione, nei primi anni 90, di
Il mondo sul filo e Addio mia concubina
di Chen Kaige e di altre produzini della “quinta generazione”.
Dal 1994 ha lavorato in America Latina ed è stato uno degli artefici
della crescita di tutte le cinematografie del continente, sostenendo
non solo opere da Oscar come La
città di dio
e The
Constant Gardener di
Fernando Meirelles, ma anche dando entusiasmo e aiuto preproduttivo
ai piccolissimi filmaker della Bolivia, dell'Equador, del Cile e
della Colombia, riuscendo a completare con la sua Buena Onda (un nome
a cui sono affezionati anche Golino/Scamarcio)
Familia Rodante, Xango, Lavoura Arcaica, Babilonia 2000 e Madame
Sata.
Si è occupato di vendite attraverso le società Videofilmes, Bouquet
Multimedia e Sogepaq collaborando anche con Wild Bunch. Come critico
e giornalista ha collaborato anche a Sight
and Sound, The Guardian, La Repubblica, Cahiers du cinema, American
Film. E
ai più importanti festival italiani.
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