lunedì 16 maggio 2016

Cannes 2016. Assayas e Almodovar


Cannes, 17 maggio 2016


Sulla Croisette Personal shopper di Olivier Assayas, mentre il cineasta spagnolo si presenta con Julieta. Entrambi candidati eccellenti per la Palma d’Oro

ROBERTO SILVESTRI

Oggi è il giorno di Olivier Assayas e di Pedro Almodovar con due film in concorso molto attesi, la ghost story eccentrica Personal shopper e una tragedia meno fiammeggiante e pop del solito, forse perché tratta dai racconti poco rococò della scrittrice canadese Alice Munro, Julieta. Molti li danno superfavoriti per la Palma d’oro, soprattutto il primo. È vero che il dramma sulla paranormalità, i fantasmi, gli ectoplasmi e lo spiritismo del regista francese che viene dai Cahiers du cinema è stato tra i più fischiati della selezione. Ma del pubblico di Cannes non ci si può più fidare, né quando delira di entusiasmo né quando si indigna rumorosamente, perché le proiezioni stampa sono ormai deformate da un pubblico di invitati (di Lescure) scelti scrupolosamente tra i non addetti ai lavori, .

È anche vero che da indiscrezioni autorevoli il direttore del festival Thierry Fremaux dà per favorito proprio il dramma teosofico che Kristen Stewart interpreta come un assolo di violino, dall’inizio alla fine. Quasi un documentario sul corpo e la tecnica recitativa della superstar di 26 anni, ma veterana del set, che entra ed esce dai blockbuster (il più famoso resta Twilight) con una nonchalance invidiabile. Tanto che ha vinto un Cesar per Le nuvole di Sils Maria, la precedente stravaganza “vettista” di Assayas.

Qui Kristen Stewart è Maureen, americana in Europa, che di mestiere fa, annoiata, lo shopping di classe e la stilista per una celebrità parigina, non poco narcisista, e che intanto cerca, traumatizzata, di rientrare in contatto con lo spirito del fratello gemello, morto giovanissimo di infarto. Entrambi erano medium, sensitivi capaci di comunicare con ogni mezzo necessario, al di qua e al di là della vita.

Durante questa ricerca, tra Praga, Londra e Parigi, complicata da un fidanzato genio dei computer che lavora nel Golfo wahabita, dall’assassinio della sua datrice di lavoro (nel quale viene quasi implicata, per colpa di una sua avventata amicizia on line), dall’amicizia con la ex del gemello, che ora ha un nuovo fidanzato, Maureen evoca strani e minacciosi poltergeist, che abitano i misteriosi spazi di una villa abbandonata in campagna, e altri elementi fantastici che stridono con il resto del film, un thriller tradizionale ma sfrontatamente realistico. Da cui lo scandalo della ricezione, che considera insopportabili le basse incursioni di genere horror dentro un testo prodigo di citazioni colte come le sedute spiritiste di Victor Hugo e il rapporto tra teosofia e nascita della pittura astratta, frutto delle ricerche di Kandinskij e prima di lui da Hilma af Klint, pittrice svedese che iniziò a comporre i suoi mille giochi cromatici nel 1906 sotto l’influsso dell’occultismo.

Arrivare a prosciugare dalle immagini il senso, ampliando nello stesso tempo la gamma delle suggestioni sensorie, è il procedimento che pure Assayas sperimenta. Anche perché il cinema è un’arte occultista, non nel significato spirituale o mistico. Ma perché nasconde strutturalmente il fuori campo. Il migliore cinema è proprio quello che di questo fuori campo si fa traghettatore.

Almodovar invece cambia il proprio registro. Il suo Julieta è un film sobrio. I colori sono accesi perché il regista della Mancha nasce al cinema con i technicolor hollywoodiani degli anni ’50, con Sirk e Minnelli. Ma questa volta niente movida e niente elogio del kitsch. I drammi segreti, invece, di una signora madrilena di 50 anni che ha perduto la figlia tanto tempo fa, non perché è morta ma perché è fuggita di casa incolpandola della morte dell’adorato padre, un pescatore galiziano buttatosi nella tempesta a causa di un litigio di gelosia e per esser stato scoperto amante di un’amica pittrice e scultrice.

Tanti anni dopo riemergono tracce della figlia e il film va indietro nel tempo a ricostruire il complicato puzzle esistenziale di questa donna esausta, giocato sui mezzi toni e sui mezzi sentimenti. Julieta ha due corpi (echi di Bunuel e Hitchcock), da grande quello di Emma Suarez e da giovane quello di Adriana Ugarte; è un’insegnante di filologia classica, esperta di miti, emula di Ulisse, che solca il mare dell’avventura rifiutando l’agio e la tranquillità, la ricchezza e la lussuria. Perché la vita è mare in tempesta, non calmo mare da cartolina.

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