Sieranevada, di Cristi Puiu |
Roberto Silvestri
Sieranevada di Cristi Puiu (Romania)
Pithecanthropus erectus è il titolo di un famoso album anni cinquanta di Charlie
Mingus che rendeva omaggio al nostro antenato di Giava, non proprio wasp,
capace però di camminare già su due piedi. Avesse
avuto anche una cinepresa in mano l’avrebbe probabilmente utilizzata “ad
altezza d’uomo”, tanto per marcare qualche differenza di sguardo con gli altri primati, non umani.
Ma il numero dei neuroni interconnessi del
suo cervello non era ancora, come adesso dieci alla decima, dieci miliardi
circa. Ma solo dieci alla nona……Si viveva nella natura e non secondo se stessi
e il proprio estro. E all’inizio lo smarrimento doveva essere stato immenso.
Paura da intelligenza eccessiva. Non ci sarà per caso in giro, in questi tempi,
un desiderio di regressione che ci porta tra le braccia di Orban o di Trump,
della May o di Erdogan, vista la difficoltà di comprensione del mondo,
complicatissimo, di oggi?
Esce in Italia un anno dopo aver aperto la
competizione di Cannes 69, un
film rumeno caratterizzato proprio dalla collocazione “umanista”, in senso fisico, della cinepresa (o della telecamera), fissata come è al
soffitto di un appartamento nel centro storico di Bucarest come se fosse il
periscopio di un sommergibile, che da lì controlla tutte le stanze
dell’appartamento e assiste senza nevrosi alla chiusura e apertura delle porte,
facendo non poca ironia sulla sophisticated comedy hollywoodiana.
La macchina da presa del regista dalla
grinta rinascimentale è usata come arma deterrente di difesa per tenere a
distanza i comportamenti semi-umani,
meno umani, preumani e postumani,
o le manifestazioni ferine che si moltiplicano attorno a noi. Perfino durante le feste di Natale. E la
cinepresa registra anche le risposte alla domanda: “come fa l’uomo, oggi, ad
adattarsi ai cambiamenti vorticosi del mondo circostante?”
Ci vuole creatività, rispondono. Creatività non è roba metafisica,
slancio extravitale. Ma. Dominio
delle regole. Per saperle
scavalcare, superare. Essere capaci di eseguire mosse sorprendenti, se il gioco
è già noto, oppure saper ideare giochi
del tutto nuovi. E poi. Rifiutare
la “professionalità” perché la competenza professionale che si richiede è per
viaggi in territori sconosciuti, che portano ai confini dei propri set mentali.
Dunque l’avventura estetica è assicurata. Se siamo ancora curiosi abbastanza.
Però, basta prendere le cose un po’ alla
larga e si può perfino parlare della rappresaglia nazi-islamista contro Charlie Hebdo. Lo fa il film
rumeno Sieranevada,
scritto proprio così con una erre di meno, per evitare che nel mondo si cambi
il titolo, già storpiato a bella posta, del film, ispirato alla neve e alle catene
montuose iberiche, ma anche alle orribili e gelide case grigio cemento che
edificò Ceausescu negli anni 60-70.
Un ex medico di 40 anni, che preferisce
vendere farmaci perché oggi è più redditizio, passa un sabato sera in famiglia,
coi fratelli, i nipoti, la mamma, i vicini di casa, per commemorare il papà,
defunto quaranta giorni prima. La tradizione rumena vuole che al termine del rito l’anima
del defunto che gironzola ancora
nella casa finalmente lasci
questo mondo, e il suo vestito migliore venga indossato da un erede (con le
necessarie modifiche, in questo
caso). La scena si svolge attorno
e davanti a una tavola che verrà
presto imbandita, ma solo dopo che il Pope, che si fa troppo
attendere accentuando un nervosismo già esplosivo, avrà compiuto i riti e i
canti greco-ortodossi prescritti, e davanti alla tv, poche ore dopo
l’aggressione squadrista al giornale satirico parigino. Di cui si discute,
mescolando questioni rimosse e persino drammi di famiglia con la guerra nell’ex
Jugoslavia; la recita in costume della figlia con il ruolo equivoco di Iliescu, comunista, nella caduta di Ceausescu, comunista; l’intrusione improvvisa di una ragazza
estranea, drogata, croata con il ruolo benefico che può
esercitare, per la Romania, Obama rispetto al pericoloso Putin.
Ma soprattutto con quella libagione rituale sempre rimandata (eppure cosa c’è di
più caratteristico nel cinema balcanico e dell’est della tavola imbandita a
cementare antiche comunità patriarcali? Kusturica non ne è lo specialista?). E
ci si concentra su un doppio accapigliarsi acceso sia sulla storia del comunismo reale (i suoi alti meriti,
le sue basse miserie) sia sull’11 settembre (è stato o no un complotto di Bush
per alterare l’ordine mondiale?) che degenera presto in violento litigio, un
tutti contro tutti che finalmente può essere il preludio alla nascita di un individualismo non celibe ma democratico. Mentre una colonna sonora superba
riassume il meglio della civiltà musicale occidentale dal settecento a De
André, da Blondie a “Il capitalismo dà di matto” di The Mighty Sparrow, star del calypso trinidadiano…
Una baruffa autobiografica analoga è
proprio all’origine del film che l’esponente più laico della nuova onda di
Bucarest, sulla soglia dei 50 anni, porta a Cannes, dove è stato scoperto dalla
sezione Un Certain Regard nel 2005, ed è tra i migliori discepoli del capofila
della nouvelle vague anni 70 di Bucarest, Lucien Pintilie (qui produttore, e da
cui Puiu eredita una sapiente direzione degli attori, già impeccabili per conto proprio). E’ la quarta
sceneggiatura e regia di Cristi Puiu. L’opera è una coproduzione a 5, Romania,
Francia, Croazia, Bosnia e Macedonia.
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