venerdì 2 giugno 2017

Il Venerabile W., i buddisti cattivi di Barbet Schroeder


a proosito di quello che succede in Birmania ......


Mariuccia Ciotta

Cannes

La trilogia del male di Barbet Schroeder, francese, origine svizzera, si conclude con un inaspettato “cattivo”, Il venerabile W. Che segue Imir Adi Dada ('74), sul dittatore dell'Uganda e L'avvocato del terrore (2007) sull'avvocato Jacques Vergès, il legale di Klaus Barbie, e difensore storico di terroristi.
Proiezione speciale per il grande regista apolide (è nato a Teheran nel '41) simpatizzante buddista ma qui all'attacco del bonzo Ashin Wirathu, responsabile di massacri e distruzioni di interi villaggi a danno della minoranza musulmana in Birmania (Myanmar), i rohingya, profughi del Bangladesh.
Il “leader spirituale” che ha la faccia di un bravo bambino (Mandalay, classe '68) materializza nell'obiettivo di Schroeder la genesi dell'odio etnico per mezzo della religione. Non diverso dall'Isis, dagli odiati musulmani che con aria serafica “il venerabile W.” indica come violentatori di donne birmane, minaccia per l'integrità della razza (sono solo il 4%), invasori e nemici da eliminare.
Il monaco dispensa i suoi sermoni ai fedeli e ne accende l'odio verso gli islamici anche attraverso una cospicua produzione di video dove vengono drammatizzati crimini in genere inventati. Wirathu è presente massicciamente sui social media, libero dopo i 7 anni passati in carcere sui 25 della condanna ricevuta nel 2003 per aver provocato la morte violenta di 200 mila “kalar” (termine dispregiativo, equivalente a nigger) e l'incendio di abitazioni e insediamenti rohingya. Un'amnistia del 2010 gli ha aperto le porte del carcere e Wirathu ha ripreso l'attività del “Bin Laden birmano”, immortalato nel 2013 dalla copertina del Time con il titolo “Il volto del terrore buddista”.
I pacifici monaci, il popolo devoto al non-dio Buddha, ripresi nel film di Schroeder come un'orda pronta al linciaggio, avvolti nel mantello rosso bastonano, sventrano e bruciano corpi vivi spinti dalle parole del soave venerabile. Nell'inquadratura-santino, però, sul volto dell'uomo passa, come su quello di Adolf Eichmann, la smorfia psicopatica.
L'immagine contraddice le dichiarazioni a sua difesa riportate sui giornali in risposta all'attacco del Time, dove nega ogni responsabilità delle violenze. Wirathu, sostenuto dall'allora presidente-dittatore Thein Sein (“è una persona nobile”), a capo della giunta militare, sbandiera i principi del suo movimento 969 in difesa della razza contro i matrimoni misti e per il boicottaggio delle merci musulmane, il divieto di vendere e acquistare case, la limitazione delle nascite (un figlio ogni 3 anni). Il gruppo oggi si chiama Ma Ba Tha, associazione per la protezione della nazionalità e della religione.
Ma lo shock del Venerabile W. deriva dalla folla dei seguaci, dalle donne adoranti, dal seguito di massa, dai singoli che inseguono una ragazzo e lo abbattono a bastonate, e accatastano i cadaveri in un rogo apocalittico.
Sono buddisti. Non da meno altri integralismi poco spirituali.
Schroeder chiama a raccolta le voci dissonanti di anziani monaci che “scomunicano” il predicatore sanguinario. Parla anche l'inviata delle Nazioni unite Yanghee Lee, definita da Wirathu, con la sua aria diligente, una “puttana” invitata a “dare via il culo ai kalar”. Fuori campo, il Dalai Lama consola e dice “uccidere in nome della religione è impensabile”. Nel 2015 la Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi vince le elezioni, Wirathu si attribuisce il merito della “rivoluzione”. Smentito, accuserà la leader, segregata per anni, di simpatie per i rohingya.


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