Roberto Silvestri (*)
Tra
una proiezione l'altra passano 80 minuti, non più 45. E sono arrivati i
metal detector. Gli ingressi ai Grand Hotel sono sbarrati. L'allerta è
d'obbligo. E le file per entrare in sala si allungano...
Ma Monica Bellucci, per l'ottava volta sulla
Croisette, e per la seconda volta, dopo il 2003, madrina del festival,
nel suo discorso non fa allusioni politiche dirette o polemiche, come
successe l'anno scorso (il cinema sa parlare di politica soprattutto con
linguaggi non verbali, dice), ma sottolinea la presenza di ben 12 cineaste
nella selezione ufficiale. Alla Quinzaine il gap è ancora più ridotto,
14 a 7: anche nella sezione sessantottina siamo però ben al di sotto
delle ambizioni immense di Macron. fifty fifty. Per motivi di sicurezza si
accorceranno anche i film (ma 5 in competizione superano le due ore)?
Matthieu Amalric |
Membro della terza generazione nouvellevaguiste
degli anni 90, dopo Godard/Truffaut e Garrell/Doillon, l'ormai veterano
francese Arnaud Desplechin, con taglio d'autore, ha ridotto a 114', in
una versione che definisce sarcasticamente “francese” per non dire più
commerciale, Les fantômes d'Ismaël, il
suo 11° lungometraggio, visionario e spettrale (come esplicita il
titolo), nervoso e frenetico nella recitazione e a incastro complicato e
frammentato. È di Roubaix, Desplechin, e i suoi film si muovono sempre
pericolosamente sul pavé.
Cotillard, Desplechin e Gainbourgh |
In epoca di competizione con Netflix, poi, il cinema
d'autore risponde con immagini pluristratificate e polivalenti: dramma
intimo su autoritratto autobiografico su puzzle spionistico su critofilm
che rifletta di teoria, spazi e forme cinematografiche. In più si alza
il quoziente emozionale di ciascun frammento, collegando esplicitamente
Bibbia, Shakespeare, Kim Novak (La donna che visse due volte),
Picasso&Pollock, spazio fiammingo e prospettiva rinascimentale e
soprattutto Freud, la cui “interpretazione degli incubi è
inguaribilmente punitiva”. I pilastri della cultura occidentale (Corano
compreso). Cementa il tutto la partitura hitchcockiana di Gregoire
Hetzel.
Alla vigilia delle riprese del suo nuovo thriller
spionistico centrato sulla misteriosa sparizione di un diplomatico del
Quay d'Orsay di nome Paul Dedalus, la vita di un cineasta, Ismaël, è
sconvolta dalla riapparizione della moglie Carlotta, svanita nel nulla venti
anni prima, e ormai data per morta. È la figlia – d'incontenibile
vitalità, volatilizzatasi in India, e che riappare sulla spiaggia
atlantica – di un cineasta ebreo, Bloom (ancora Joyce?), terrorizzato
dai fantasmi dell'olocausto e dalla vecchiaia (Providence?) che, insonne come Ismaël, viene perseguitato da insostenibili incubi.
Scelto fuori concorso per l'inaugurazione, come atto dovuto, dopo la bocciatura nel 2015 dal concorso principale di Trois souvenirs de ma jeunesse (poi César), il film, definito dai Cahiers du cinema uno
“strano feuilleton intimo”, è uscito oggi nelle sale francesi anche in
versione “director's cut” lunga 130 minuti che, secondo i colleghi
francesi è più comprensibile perché l'episodio tragicomico e straziante
di Tel Aviv, qui sforbiciato, metterebbe meglio a fuoco la complicata
architettura di un'opera basata sulle relazioni sottili e sub-cutanee
tra personaggi indocili a ogni prospettiva conosciuta: il regista
alccolizzato Ismaël – Mathieu Amalric, mai così nevrotico e fracassone –
in totale crisi creativa (Otto e mezzo?); Ivan (Louis Garrel,
senza capelli), diplomatico francese per caso e stralunato
doppiogiochista involontario, protagonista dell'intrigo spionistico
tagiko che Ismael a fatica cerca di “chiudere”; Carlotta, la donna della
sua vita (Marion Cotillard, di carnosa spettralità) assieme
all'astrofisica Sylvie (Charlotte Gainsbourg, di intellettuale
sensualità), l'attuale donna della sua vita e all'attrice-amante Arielle
(Alba Rohrwacher, di giocosa scapigliata ambiguità), la donna di ogni
suo set. Nel tentativo di trasformare il film e l'uomo in un oggetto o
addirittura in un soggetto vivente.
(*) Pubblicato il su Alfabeta 2
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