giovedì 29 agosto 2013

"L'inferno di Dante". Apre il concorso di Venezia 70 "Via Castellana Bandiera" esordio della scrittrice e drammaturga Emma Dante

Roberto Silvestri

Via Castellana Bandiera di Emma Dante, con Elena Cotta, Emma Dante, Alba Rohrwacher. Italia 2013. In competizione
 

E' proprio "L'inferno di Dante", commenta alla fine del film, mentre il pubblico applaude, il decano francese della critica Positif Michel Ciment, azzardando in italiano un gioco di parole su Alighieri e Emma Dante, aggiornato nell'epoca dell'Imu sulla prima casa. Battuta niente affatto  gratuita, visto che attraversiamo e ammiriamo, nella prima parte del film due spazi urbanistici antitetici. La morsa barocca della Palermo multistratificata di Villa Igieia, del cimitero dei Rotoli, e della chiesetta di San Ciro a Mare Dolce (i luoghi che la scrittrice e drammaturga Emma Dante non ha mai voluto abbandonare). E, contemporanemente, la Palermo della morsa mafiosa, William Friedkin la chiamerebbe : "Il braccio violento della Legge", compresa l'autostrada dall'aeroporto dove hanno fatto saltare in aria, vantandosene, "quella fogna di Falcone" e delle speculazioni selvagge e indolore. Le due Palermo che si affrontano ogni giorno, una contro l'altra. Non tutti i migliori siciliani sono dunque emigrati... Letizia Battaglia, Emma Dante, Ciprì e Maresco, Battiato (anche se mal provocato) restano. E una delle due Palermo sembra stia morendo, magari risucchiata da organizzazioni criminali più moderne ed efficaci nell'interpretare la globalizzazione di epoca Versace, Gucci, Pucci....
L'Inferno di Dante, dunque. E non è questione di simboli e metafore. Come la Mercedes di Ciprì. Sono fatti. Piccole cose insignificanti dai grandi significati. E' il cinema, no?
E in quale il Girone stiamo? In un 'burb' di Palermo, una favela immaginaria-reale sotto il monte Pellegrino, dietro l'Ucciardone, in una 'Via Castella Bandiera' (che esiste davvero, ma che la scenografa Emita Frigato ha impercettibilmente delocalizzato e via via deformato) rampicante e brulicante di 'brutti, sporchi e cattivi' cui è sottratta anche la benedizione populista, e dove non passa che una macchina sola: e che l'altra, 'jus soli' coniugata alla reazionaria, faccia retromarcia. Impossibile uscire dal girone. Troppa la povertà (soprattutto di immaginazione).
Quale è la temperatura? Afosa, superumida, infernale...una domenica di scirocco che se non ti butti in acqua muori o impazzisci. 
Quale è il peccato? Le 'corna dure'. L'ostinazione. La tradizione. Il fondamentalismo delle radici e della subcultura della proprietà privata.
Elena Cotta
Quale l'eresia? E' un inferno per sole donne. Un dramma di donne, che finirà con una sfida all'ultimo colpo di clacson, all'ultimo sangue, all'O.K.Corrall - in stile Sergio Leone o Allan Dwan - con tanto di scommesse, quote e bookmaker all'inglese, del vicinato. 
I duellanti? L'anziana Samira (Elena Cotta, che ha i capelli come Casaleggio) e la più giovane Rosa (Emma Dante, dalle espressioni che non hanno mai un inizio un centro e una fine), indocili a ogni sopraffazione, a costo di morire. 
Emma Dante (a sinistra) e Alba Rohrwacher
Dice Samira. Qui è casa mia, non mi sposto neanche morta. Replica Rosa: qui era casa mia molto prima che tu arrivassi, non mi sposto di certo. Come se recitassero, incorporandole, parti altrui, la tragedia dell'identità, del più 'macho' del 'macho', dell'italiano vero contro l'italieno, il forestiero, lo straniero. Come animali le due donne delimitano il proprio territorio inviolabile, a tracce di pipì. Come supereroi resistono al sonno, alla sete, alla fame. Due 'siciliane', oltretutto, in stato di allarme. L'inferno è nel mondo, non abita solo qui.  
Palermitana, solo di adozione, è infatti la prima, che viene da Piana degli Albanesi, la 'Stalingrado della Sicilia', dove è imperituro il culto di Enver Hoxha, ed è impazzita per la morte prematura della figlia che onora ogni domenica al cimitero; e ormai è una forestiera anche la seconda, che si è trasferita in continente da anni, ma che bambina, alle pendici del Monte Pellegrino, prima che venissero così maldestramente edificato e 'imbrattato', aveva proprio lì, in quella via Castellana Bandiera, il suo rifugio segreto, e come vicino di casa il 'genius loci'. 

Simmetrici i destini.  Samira accompagna controvoglia tutta la famiglia a casa, dopo una defatigante giornata al mare che ha drogato tutti di jodio puro. I bambini e le bambine, sovreccitate, si fanno anche di birra. Rosa accompagna al matrimonio di un amico, litigando continuamente, fino all'esasperazione e alla virtuale rottura, forse per gelosia, l'amante Clara (Alba Rohrwacher mai come questa volta partigiana della sua parte, metà nera metà bionda, metà estroversa metà oscura), dal tatuaggio conturbante che pare disegnato da Brus, e che fa una baronessa dimezzata, di mestiere illustratrice, una fumettara che non la smette di fare schizzi a matita dei suoi piedi e della sua donna, che "ha bellissime gambe, un bel culo ma soprattutto dei magnifici seni".  Un personaggio lontanamente autobiografico, Rosa, che Emma Dante ha tratteggiato e poi ap
Emma Dante e Alba Rohrwacher (destra)
profondito in un romanzo omonimo del 2008.

Le due testarde, indocili al buon senso e alla gentilezza, si fronteggeranno con le loro automobili (Panda contro Multipla) in quel vicoletto-budello in salita (o in discesa), provocando spintoni, parole grosse, risse, smottamenti, ferimenti, prima di restare, nel buio della notte, sole, ferme e 'mobili' come erano le donne delle antiche canzonette. Padrone del sistema simbolico. O solo 'gestanti' di un sistema simbolico sempre patriarcale? 
 
Emma Dante e Elena Cotta (a destra)

Ovvio che il film cresce, la suspense è innestata, si va verso un baratro cruento, nonostante i tanti freni a mano attivati per uscire dal format film d'arte/telefilm: lo stratagemma del coro (le vicine, il 'camorrista', i Calafiore capitanati da un grandissimo Renato Malfatti, l'intero quartiere che sfila sui titoli di coda...) serve a separare il sonoro dal visuale, e a spostarci più sul piano tattile, gustativo o olfattivo. Tanto più che il duello è muto. Che Samira è pressoché senza battute e Rosa si irrigidisce nel silenzio più tattico. Finalmente, come sognava Artaud, un cinema parlato che è densità sonora anarchica oscura e inespressa e non un sistema mercantile congegnato per uccidere con la parola l'immagine e viceversa. Qui ci si scontra con la morte. Non c'è nessuna trattativa, nessun patteggiamento, nessun accordo clandestino sottobanco stato-mafia.

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