mercoledì 28 agosto 2013

Gravity. La Mostra di Venezia vola nello spazio profondo di Alfonso Cuaron



Sandra Bullock "Gravity"
Mariuccia Ciotta

Venezia

Mostra n. 70, cinema ibrido non più classificabile per generi. Né documentari, né animazione, né “classici”, barriere infrante, e non da oggi. Eppure c'è ancora chi si meraviglia e si congratula per i due titoli firmati da Gianfranco Rosi Santo Gra, e da Errol Morris The Unknown Known in concorso, il primo un giro di valzer sul Grande raccordo anulare, nello spirito di Renato Nicolini, al quale il film è dedicato, l'altro un “ritratto” dell'ex complice di George W. Bush nella guerra in Iraq. L'unico inconveniente del cinema ispirato a “una storia vera” è che l'ex criminale segretario alla Difesa sarà presente qui al Lido.

E qualcuno si stupirà anche di Hayao Miyazaki in gara con il suo Kaze Tachinu (The Wind Rises), 126' di “cartone animato” sull'aviazione nipponica ai tempi della seconda guerra mondiale, e disegnato a mano dal creatore di Totoro, che evoca anche lui una “storia vera”, quella del padre, costruttore di motori per aerei kamikaze, e dunque sospettato di simpatie per Hirohito, mentre si conosce la cultura marxista del grande regista giapponese, estremo avversario di Abe, primo ministro atomico e guerrafondaio di Tokyo. Non un film d'animazione “per soli adulti”, altro genere in disuso, come ci tiene a specificare il napoletano Alessandro Rak, autore di un pensoso e raffinato L'arte della felicità, che apre domani la Settimana della critica.

Infine, i “classici”, ovvero una retrospettiva random, tanti, quasi 30, titoli restaurati “senza filo logico” (non ne sentiamo il bisogno). Al pregevole “cofanetto” George Cukor di Locarno si affianca la pioggia veneziana di Alberto Barbera e delle cineteche di mezzo mondo, senza barriere geografiche e d'autore.

Sfilati ai critici i “territori protetti”, lo spazio si apre all'interpretazione e alla sospensione di sé, come accade nel film portabandiera di questa edizione transgender, Gravity, fuori concorso, prodotto, scritto, diretto e montato dal cineasta messicano internazionalista, Alfonso Cuaròn, che ha osato la composizione per immagini di Charles Dickens in Paradiso perduto, omaggio allo scrittore inglese, inventore del montaggio parallelo per parole e visioni.

2001 Odissea nello spazio incontra Alien... Cuaròn pensa anche ai fotogrammi in dissolvenza di Brian De Palma, quando in Mission to Mars, Tim Robbins svanisce lentamente nel vuoto nero dell'universo, scollegato dal legame con la realtà, e al protagonista di Radiazioni Bx: distruzione uomo di Jack Arnold, su magico testo (Tre millimetri al giorno) del genio appena scomparso Richard Matheson. La morte è abbandonarsi alla notte, fondersi con il nulla o con lo schermo scuro di un film finito, dove il sogno non si può più sognare, e neppure George Clooney potrà tornare in scena a dettare i comandi giusti a Sandra Bullock, unica superstite di uno Shuttle colpito dai frammenti di un satellite per telecomunicazioni distrutto da meteoriti. Le autostrade del cielo ingombre di macchine disintegrate, discariche di monili tecnologici alla deriva sono l'aldilà violato dalla corsa alla conquista di un impero liquido dei due astronauti, Ryan Stone (Bullock) e Matt Kowalski (Clooney), fluttuanti nel vuoto senza gravità, naufraghi in cerca del pianeta dove abita dio, indirizzo mancato dal Ridley Scott di Prometheus. “Kowalski!” il richiamo rimbalza dal set di Un tram che si chiama desiderio al dark profondo dove si perde il desiderio di vivere e dove nessuno risponde al jingle “Houston, abbiamo un problema”.

“Tutti devono morire, ma io morirò oggi” sussurra al microfono Sandra Bullock, collegata con un radioamatore cinese, ignaro e scherzoso terrestre circondato da cani e bambini, mentre lei si eclissa nel confine della vita eppure convinta che lassù c'è uno sguardo rivolto a quell'oggi, istante folgorante del passaggio dalla luce al buio. Viaggio a ritroso, fin dentro le tenebre del non essere, e ritorno. Il nastro si riavvolge e Cuaròn ci inebria di potere immaginifico, filma la “nuova nascita” affidata metaforicamente ai cavi che continuano ad avvolgersi e a svolgersi, legami ombelicali con la tuta degli astronauti, in un alternarsi di “immagini movimento” e “immagini tempo”, da Abissi al trascendente, dal gigione Clooney, armato di buffe storielle autoreferenziali, al mondo rarefatto ed emozionale nella sua assenza di frontiere, globo interattivo di navicelle spaziali, ciambelle di salvataggio russe, cinesi e americane, gioco di ruolo spaziale per il dott. Ryan, una Sigourney Weaver inseguita da alieni ben più rapaci, le ombre dell'esistenza. E sarà un'Eva dal paradiso ritrovato che imprimerà la sua prima orma sulla Terra.







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