martedì 27 agosto 2013

L'arbitro, quando era bianconero, apre Venezia 70

Roberto Silvestri

L'arbitro e il palazzinaro. Un film sul calcio semipastorale di provincia e sul 'grande calcio' della Lega Europea (quella che Platini sta conducendo nei verdi pascoli del superbusiness), che, per il capriccio del destino, si ritrovano fusi insieme nell'orestanese più selvaggio, dove impera ancora lo stile di Banditi a Orgosolo e la faida familiare....E' quello che tutti abbiamo sperato qualche anno fa, quando perfino la Vecchia Signora in bianco e nero si trasformò, non solo per merito di Moggi, in una molto maliziosa Gran Dama...

Difficile fare film sullo sport, con il calcio poi non ne parliamo (anche Alberto Sordi si è arreso). E sugli arbitri solo qualche buon documentario (ricordiamo quello di Srtefano Mordini). Questa volta mescolare il campetto di terra battuta con la gang del calcioscommesse, lo stadio San Nicola di Bari con l'Anderlecht furioso, l'oriundo argentino  Matzutzi, che farebbe vincere il campionato perfino a un undici di capre dirette da un allenatore cieco come Brai (un Benito Urgu nemico del 'fazendero' Alessio Di Clemente) formidabile), con una fioraia inseducibile con i vecchi trucchi come Geppi Cucciari,  e due squadre scalcagnate di terza categia sarda, l'Atletico Pabarile e il Montecrastu, l'equipe dei padroni e quella dei pastori e dei braccianti 'indie', ha funzionato.  Perfino l'ingresso di Francesco Pannofino, come 'arbitro Moreno', la più esibita e farsesca scena di cinema bis del film, aveva il compito didattico- rosselliniano di spiegare a tutti in cosa consisteva l'innocenza della Juve. E che, come diceva il centravanti del Verona Hellas di tanti anni fa, Penzo, 'l'arbitro decide il risultato di una partita per il 90%". Come il crupier decide il destino della roulette.

Certo lo stile è Ciprì e Maresco super Light, tra orrore selvaggio ben vestito e crimini efferati con la coppola, ma è la qualità del dettaglio, dalle scene (Rais, Sciveres, Tambornino) ai costumi (Stefania Grilli)  dalla musica (Andrea Guerra) al bianco e nero tra De Seta e lo spot-football più patinato della fotografia di Patrizio Patrizi a sorprendere, per la mancanza di sentimentalismo, di patetismo, di spirito dell'oratorio, nonostante qualche perplessità tecnica (nei quarti di finale di una champions league arrivano solo squadre 'prestigiose', forse ci voleva un po' più di coraggio e dire esplicitamente quale era la squadra per la quale si muovevano valigie piene di soldi...).

Il film, una commedia all'aceto, è in bianco e nero (e dichiaratamente 'anti dc') proprio come Le mani sulla città di Francesco Rosi, festeggiato (sotto la pioggia e davanti a 150 spettatori irriducibili) a 50 anni dal concente flop in campo San Polo nella preinaugurazione di ieri sera. Certo che ci sono flop, come questo, che sopravvivono alla propria epoca perché la sanno raccontare indelebilmente e super incassi che invece svaniscono nel nulla e si perdono nei menadri della memoria. Per questo esistono i festival del cinema (crescete e moltiplicatevi), altro che Netflix e Internet e box office. E sanno riempire persino il Lido, quoziente di difficoltà mille, e persino in un'epoca di crisi nera come questa. 

Le due opere, di un vecchio e di un giovane regista, hanno aperto 'all'italiana' la Mostra numero 70. Che anche questa volta sembra resistere bene alla doppia tenaglia di Montreal e soprattutto di Toronto. Se nessuno (tranne i sessantottini non ancora rinco) oggi ricorda chi è Rumor, il ministro dc che tentò - ci ha raccontato ieri il Corriere della Sera - di far fuori perfino quel film, corrompendo il suo incorruttibile produttore, perché inchiodava alle proprie responsabilità giuridiche e morali una classe politica che, da allora a Berlusconi, ha interpretato il potere come 'quella cosa che logora chi non ce l'ha', con ogni mezzo necessario (furono palazzinari di Piacenza ha inventare la macchina del fango, che da Briabanti a Valpreda, ci accompagna fino a oggi), senza farsi ancora neppure un giorno di galera, chissà quanti si ricorderanno di Concetto Lo Bello, fischietto internazionale di calcio degli anni 60, quando l'arbitro era vestito, come un prete, solo di bianco e di nero. E sembrava impeccabile e incorrutibile. Invece.

Geppi Cucciari
Finalmente Concetto Lo Bello ha avuto il suo meritato omaggio cinematografico. E il suo alias, Cruciani (Stefano Accorsi), fischetto nobile della 'Fefa' - come dire Uefa ma non posso per impicci di copyright - offre tutta la sua classe mimetica e un interno 'full back' scultoreo sotto la doccia  (un full fronty divistico al contrario) per rendergli omaggio. Cattolico irriducibile e di masochistica devozione (anche alla dc), conosceva l'arte di arbitrare e contemporaneamente quella di salire nel più alto dei cieli, grazie al braccio destro di Andreotti, Evangelisti pezzo grosso dell'Uefa....Marco Messeri (non a caso ha il nome di Candido) ce ne offre un ritrattivo di squallore definitivo.
Paolo Zucca

Alessio Di Clemente
L'opera prima di Paolo Zucca (scritto con Barbara Alberti), che Sarah McTeague e Walter Fasano hanno tagliato e cucito con il metodo del 'montaggio totale' (anche i difensori segnano, anche le piccole parti hanno il loro momento di gloria, perfino le vecchiette tifose col velo nero e il bastone roteante) fa dunque del post moderno dolce e in stato d'allarme. Omaggio al dramma e alla commedia classica italiana di ieri, alla televisione eretica (Pannofino e Cucciari) e alla nevrotica e ossessiva controinquisizione d'immaginario di oggi, caprolavoro di Frammartino incluso.  La Sardegna non ha solo una film commission (che fecero partire con tanto ritardo come la legge regionale del cinema). Continua a sfornare talenti uno dopo l'altro. Proprio come nel calcio, Cuccureddu, Zola, Sau,  Virdis, a cui si fa nel film un doveroso omaggio....

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