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Solaris di Andrei Tarkovski, fotografia di Vadim Jusov |
di Roberto Silvestri
Un altro lutto in questa tremenda estate 2013.
A 84 anni è scomparso un simbolo della Mosfilm,
Vadim Ivanovic Jusov, il pluripremiato direttore della fotografia dei primi 4 film di
Andreij Tarkowskij e di quelli del suo allievo
Ivan Dichovicny.
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Vadim Jusov |
E poi delle commedie agre di
Georgij Danelja, dei kolossal di Sergej Bondarchiuk, e del
Karl Marx di Leo Kulidzanov... Del cinema sovietico più istituzionale come di quello più provocatoriamente o sottilmente antagonista e dissidente. Del cinema di genere, d'autore e di regime. Di quello sovietico e post-sovietico.
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Georgij Danelia |
Ci sono gli Academy Awards. Ma ci sono anche i premi Nika, gli Oscar russi. Jusov lo ha vinto due volte, per
Passaporto di Danelja (1990) e per
Prorva (
La Parata di Mosca, 1992) di Dichovicny. E' stato membro della giuria di Cannes (1984) e Berlino (1995). Allievo al Vgik (la più antica scuola di cinema del mondo) di
Anatolij Golovnia, insegnava negli ultimi anni di vita nello stesso Istituto
dove si era diplomato nel 1954. Al suo fianco alla Mosfilm, e spesso anche sui set, l'ingegnere del suono Inna Zelentsova, sua moglie.
Nato a Klavdino (San Pietroburgo, ma al tempo era Leningrado) il 20 aprile 1929, premio Lenin nel 1979, Jusov, secondo
Stefano Masi (autore di un monumentale dizionario dedicato ai direttori della fotografia di tutto il mondo), che scrive il suo cognome Yusov, appartiene alla categoria dei luministi
pittorico-
impressionisti, specialista nella creazione di ambienti e atmosfere catturate al volo e liberate da ogni espressività effettistica e compiaciuta, da ogni citazionismo pittorico. Yusov sa creare
mondi a sé,
a parte,
soggettivi (anche se fabbricati in pool, in diretta simbiosi con il regista e con gli apparati emotivi degli spettatori), ma più veri del vero.
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L'infanzia di Ivan |
E' nel 1960 che Tarkovskij chiede la sua collaborazione per il mediometraggio Sovcolor di diploma
Il rullo compressore e il violino, da una sceneggiatura scritta con Adreij Michalkov Konchalovsky. La collaborazione quasi telepatica tra i due continuerà con il bianco e nero e i chiaroscuri del film di guerra antinazista
L'infanzia di Ivan (1962)
, che si avvale anche della neo diplomata fonica Zelentsova;
con il film epico, con sequenze finali a colori,
Andrej Rublev (1966) e con un film di fantascienza dal cromatismo iridato ma funebre,
Solaris (1971).
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Solaris |
Contemporaneamente ai set 'trascendentali' (nel senso ascetico e di Bresson) di Tarkovkij, alle immagini che conducono la bellezza verso le metamorfosi più orrorifiche, Jusov - quasi un tradimento politico-poetico - dava luci e ombre anche alle commedie al vetriolo, di maggiore charme comunicativo, più
nouvelle vague nello stile arguto e ironico, del georgiano Georgij Danelja, a cominciare dal poema del disgelo
A zonzo per Mosca (1963)
, che ammicca alle foto 'rubate' e romantiche di Robert Doisneau.
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Vadim Jusov |
Seguiranno l'indigesta, per il regime, satira sociale
Tridcat tri (1965) e
Ne goryu! (che è la versione russa di
Mio zio Benjamin di Claude Tillier girata nel 1969 quasi contemporaneamente alla versione francese interpretata da Jean-Paul Belmondo). Danelja è un regista caro agli spettatori dell'Estate romane. Invitato da Marco Melani nella rassegna
Ladri di cinema raccontò come si possono
caricare le immagini anche senza farsene accorgere, senza virtuosismi e esibizionismi. Più Aldrich e Siegel che Kubrick. Un obiettivo che ha sempre perseguito anche Jusov.
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Andrei Tarkovski |
E nel 1974 la grande rottura con Tarkovskij. Li dividerà per sempre
Lo specchio, il progetto più estremo e difficile, più poetico e indecifrabile, fino a quel momento, del cineasta russo. "Ha invaso il mio territorio", racconta all'intervistatore Hiroshi Takahashi, alludendo alla richiesta del regista di ricreare una iconografia 'fiamminga' sovraccarica di citazione. Anche il regista racconta la sua versione, ancora più esplicita, nel suo bellissimo libro
Scolpire il tempo (Ubulibri 1988):
La cosa più importante e complessa nel rapporto con lo scenografo e con l'operatore consiste nel fare di loro (come del resto come di tute le altre persone che lavorano con te alle riprese del film) dei complici, dei responsabili dell'idea di partenza. E' di fondamentale importanza che essi in nessun caso rimangano degli esecutori passivi e indifferenti, ma al contrario che diventino dei compartecipanti e dei creatori a pieno diritto con i quali tu possa condividere tutti i tuoi sentimenti, tutti i tuoi pensieri. Tuttavia al fine di fare del tuo operatore un alleato talvolta occorre usare diplomazia, fino al punto di tenergli nascosto il tuo intento, il tuo obiettivo finale, allo scopo che quest'ultimo trovi la sua realizzazione nel trattamento della fotografia in maniera ottimale. A volte ho dovuto tenere del tutto nascosto ciò a cui miravo per riuscire a spingere l'operatore verso la soluzione necessaria. Abbastanza significativa in questo senso è la storia dei miei rapporti con Vadim Jusov, l'operatore con il quale abbiamo lavorato fino a Solaris compreso.
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Manifesto di Andrei Rublev |
Dopo aver letto la sceneggiatura dello Specchio Jusov si rifiutò di girare il film. Motivò il suo rifiuto col fatto che gli ripugnava dal punto di vista etico il suo aperto autobiografismo e che lo lasciava perplesso e lo irritavano la troppo esplicita intonazione lirica di tutta la narrazione e il desiderio dell'autore di parlare solo di se stesso. Jusov naturalmente si comportò, a modo suo, in maniera franca e onesta. Evidentemente giudicava effettivamente immodesta la mia posizione. A dire il vero, più tardi, quando il film era ormai stato girato da un altro operatore, Georgij Rerberg, non ricordo in quale occasione mi confessò: "Per quanto sia spiacevole ammetterlo, Andreij, tuttavia questo è il tuo migliore film". Mi auguro che anche queste parole fossero sincere.
Forse proprio perché conoscevo Vadim Jusov da molto tempo avrei dovuto essere un po' più furbo. Invece di rivelargli fino in fondo i miei pensieri fin dal pincipio avrei dovuto dargli la sceneggiatura a pezzi...Non lo so. Non sono capace di essere ipocrita. Non sono diplomatico con gli amici.
Certo è che nel suo libro teorico e di memorie non parla altre volte del contributo creativo e indispensabile, come ottimo "scultore del tempo", di Vadim Jusov.
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L'infanzia di Ivan |
La carriera di Jusov prosegue, curiosamente, e provocatoriamente, con un film tv diretto da Samson Samsonov, lo stesso regista con il quale nel 1955 aveva iniziato la sua carriera, come assistente operatore di
Fyodor Dobranzavov del film
Poprygunya (La cicala).
Ma ancora più provocatoriamente collaborando con
Sergej Bondarchuk, l'ex attore, il divo del cinema mainstream nel kolossal bellico e patriottico del 1975, ambientato durante la seconda guerra mondiale,
Oni srazhalis za rodinu. Sarà al suo fianco anche in
Messico in fiamme (1982) e
Dieci giorni che sconvolsero il mondo (1983) dal libro autobiografico di John Reed. Ma è con Georgji Danelja che il rapporto continuerà ad esssere più sperimentale (anche se non vistosamente) come si vede nelle due commedie 'tra Billy Wilder e Ken Loach'
Sovsem propashchiy (1974) e Pasport (1991), anno nel quale il cineasta georgiano diventa cittadino russo. L'ultimo suo film è
Apelsinovyy sok (2010) di
Andrej Proskhin. Ha lavorato anche con
Nikita Mikalkov in un paio di film televisivi (anche il
Cechov) e in un ritratto della figlia Anna (tutti e tre nel 1993).
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Il rullo compressore e il violinista |
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Andrei Rublev |
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