Lindsay Lohan |
Mariuccia Ciotta
Venezia
Il cinema è tutto nel mirino di
Paul Schrader, produttore, regista, critico cinematografico e nel suo
Canyons (fuori concorso), lussuoso omaggio zero budget alla
New Hollywood e ai quei cinema romantici con il frontespizio
triangolare dove scorrevano i titoli al neon. Fotogrammi in bianco e
nero di uno di questi monumenti al 35mm (“cos'è?” chiede
un quindicenne nel film di Sono Sion) intercalano la storia scritta
da un altro teorico del “trascendente” Bret Easton Elllis
(American Psycho). Noir su noir, i due autori compiono
slittamenti semantici dal “genere” anni '40, oggetto di un
insuperabile saggio del regista di American Gigolo, alla morte
del grande schermo per mano di quelle telecamerine invasive di cui
Schrader si ricopre passeggiando per Manhattan nel suo corto per i 70
anni della Mostra. Nulla in contrario al digitale e al web, il
cineasta interviene all'incontro stampa a fianco di Easton Ellis, ma
certo le rivoluzioni generano caos, almeno all'inizio. Anche se da
Internet e da un sito per progetti creativi e indipendenti sono
arrivati i dollari per Canyons, durata delle riprese una
settimana.
E dunque ecco Los Angeles perlustrata
in ogni suo set leggendario, scandita dalla Sunset Plaza a Venice, da
Westwood a Santa Monica, da Melrose alle colline di Hollywood con le
sue gettate di ville faraoniche, meta dei turisti, visita alle
dimore-mausolei dell'era d'oro del cinema. Ed ecco divi e divine
ridotti a ectoplasmi, gonfi di nostalgia e di altre sostanze
psicotrope come si vede dalla faccia di Lindsay Lohan, l'attrice più
ricercata, dalla polizia. Le sue foto, di fronte e di profilo,
infestato le riviste di gossip, ritratti della multicarcerata per
violazione del codice stradale e per risse in stato di alterazione
alcolica. Nessuna meglio di lei, un tributo alla Marilyn degli
Spostati, dichiara Schrader, poteva interpretare il
personaggio della disfatta Tara, ex aspirante attrice, finita nelle
mani sporche di Christian, produttore di infimi filmetti web,
interpretato dal vero campione del porno James Deen, amato dalle
adolescenti che ne apprezzano i caldi virtuosismi sessuali in Rete.
Nessuno più ricorda il visetto
bambino di Lindsay sdoppiato nelle gemelle di The Parent Trap
(Genitori in trappola, '98), remake Disney del mitico film con Hayley
Mills di David Swift (Il cowboy col velo da sposa, '61) e il seguito
sempre in casa di Mickey Mouse, Herbie il super maggiolino
(Herbie Fully Loades, 2005). Carriera deviata verso Scary Movie 5
e lo schedario della Lapd. Schrader la vuole icona del suo poema nero
sul cinema in disfacimento in mezzo a una trama incrociata di
gelosia e vendetta con lei ridotta a dar spettacolo erotico per
voyeur solitari, carne in mostra per l'onanismo da tablet. Perché
l'alternativa al gioco domestico del suo “produttore” amante con
piscina, possessivo e compulsivo smanettattore hi-phone, sarebbe la
sua precedente vita accanto a un ragazzetto disneyano, anche lui,
però, irretito dalla voglia di successo, all'oscuro della fine
del cinema e pronto a prostituirsi per una particina.
Schrader omaggia Brian De Palma, come
lui espulso dalla macchina blockbuster e costretto a finanziamenti
esili (ed europei) per l'ultimo, bellissimo Possession,
riflessione matematica sul cinema perduto attraverso un'altra storia
nero-erotica. E mima Vestito per uccidere con il suo James
Dean-Deen che indossa tuta e guanti neri per trucidare una bionda.
Nella magnifica fotografia di John DeFazio a colori pop, la città
degli angeli dispiega la sua malinconia bellezza, e segue la
videocamera ubbidiente alle traiettorie del regista che sogna quella
sala buia con le insegne a luce intermittente.
Philip Groning, autore tedesco di Il
grande silenzio, documentario estenuante (162') sulla vita in
convento, tenta ancora un “film estremo”, quasi tre ore, con La
moglie del poliziotto (concorso) diviso in capitoli di due o tre
minuti l'uno, una specie di corsa ad ostacoli per l'occhio dello
spettatore, costretto a un lavoro di montaggio in diretta al seguito
della vita domestica di una giovane coppia con bambina nella
religiosa provincia bavarese. Ogni frammento è chiuso dalla
scritta “fine del capitolo 1” e dal seguente “inizio del
capitolo 2” in un lento susseguirsi di moduli narrativi che, dice
il regista, fanno da avvertimento a chi guarda: attenzione all'anima
delle cose, soprattutto della bambina minacciata dal crescendo di
violenza del dolce papà afflitto da un'impotenza sentimentale.
La “preghiera” di Groning si articola in tanti fioretti, bimba
che impara a far germogliare le piante, metafore della vita
interiore, bimba che impara ad apprezzare perfino il padre cattivo,
picchiatore della moglie, alla quale urla : “Sei tu la base della
mia logistica”.
Lo stile rigoroso e “spirituale”
di Groning rischia l'autoritarismo dello sguardo. E viene in mente,
purtroppo, Jerome K. Jerome in Tre uomini a zonzo, viaggio in
bicicletta nel paese di Groning, quando descrive i tedeschi,
ciecamente perfezionisti , tutti in fila, dalla fine del primo
capitolo all'inizio del secondo. Molto “logicistici”. Molto
devoti. Era il 1900, e Jerome spaventosamente prevedeva l'attitudine
teutonica all'ordine del '33.
Sorprendente Joe del 38enne
David Gordon Green (vincitore del Torino film festival 2000 con il
debutto George Washington) che entra in gara con una
istantanea sul Texas, dove è cresciuto. La sorpresa è
nel giro a vuoto di un film emozionalmente ambizioso che si disgrega
fotogramma dopo fotogramma dopo un affondo sul degrado di un
postaccio ai confini del nulla con un Nicholas Cage come sempre allibito.
Impariamo però che i commercianti di legname abbattono
illegalmente gli alberi dopo averli avvelenati, e ripiantano
alberelli più robusti per più pingui incassi, evento
che costituisce l'happy end del film, dove si susseguono scene di
repertorio del genere, alcolizzati, bruti, cani cattivi, puttane,
mogli e fidanzate oppresse. E dove il macho sfida l'altro macho fino
alla resa dei conti. C'è qualcosa di marcio nel Texas.
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