Roberto Silvestri
Dieci anni dopo, ancora Ken
Loach. Il più impegnato e drastico politicamente dei narratori europei per
immagini, che ha rischiato non pochi guai nella sua carriera, soprattutto per
essersi messo contro la sua adorata Inghilterra nella repressione
anti-irlandese, ha vinto la Palma d’oro di Cannes 2016 e adesso presenta questo
suo nuovo film in Italia, I, Daniel
Blake, sul male d’Europa.
La fame nel quinto paese più
ricco del mondo. Come si maltrattano i lavoratori oggi. Non solo nelle tasche ma sopratutto nella dignità. Come stia saltando il
welfare. Che fu una conquista, non una concessione. Come oggi chi lavora è perduto, soprattutto se si ammala. Come nel
mondo dell’1% che ha potere e del 99% che non ne ha, e paurosi spettri di
fascismo stiano volteggiando di nuovo nel cielo, e non solo d’Austria, beffando
proprio quei lavoratori che il fascismo distrussero (e quel welfare
conquistarono battendo i nazi). Senza però mai dire direttamente tutte queste cose. Facendocele
entrare nella pelle.
Ken Loach |
Si entra proprio nella pelle
di Daniel Blake, si gira nei suoi pub, lo si incontra a casa, e si va con lui
negli uffici dell’assistenza sociale e a giocare con i figli della sua amica e
compagna di sventure, Rachel. Dave Johns, attore, drammaturgo e regista della scena artistica West End londinese (suo un Qualcuno volò sul nido del cuculo con Christian Slater), nel ruolo del grande Blake, non sbaglia una sfumatura, un fremito, uno sguardo. La piccola (di statura) Hayley Squires, che fa Rachel, viene come Johns dal teatro londinese e dalle serie tv e il suo accordo con Johns è coreograficamente magico.
Ecco perché il film piace anche a chi
non piace Loach. E’ politicamente corretto? No, è obliquamente feroce. Produttivamente
si tratta di una triangolazione anglo-belga-francese, alla faccia del Brexit, contro
i tagli alla spesa pubblica aumentati con Cameron, e si ispira platealmente ai
pamphlet politico-morali rooseveltiani (ma non completamente) di Frank Capra.
Questo Joe Doe però è molto
più disincantato. Il tono della tragicommedia, che quasi espelle l’arma operaia
micidiale della satira e l’invito alla rivolta collettiva, è infatti più nero e
pessimista del solito. Scritto da Paul Laverty, da anni l’alter ego, non sempre
in forma smagliante, del regista, racconta le peripezie kafkiane (e soprattutto
on line) di un falegname malato di cuore, ma di gran cuore, che a 59 anni è alle prese
con l’assistenza sociale che lo deruba dei contributi perché la burocrazia sa
sempre come trasformare un invalido (che non conta nulla) in un “non invalido”.
Obbligato a cercare lavoro,
salvo sanzioni pesanti, per ordine del medico dovrà rifiutarli tutti, mentre
assiste impotente alla disgregazione esistenziale di una amica, Rachel,
disoccupata, due figli a carico, sbattuta a 450 km da Londra, sua città natale,
per non essere obbligata a entrare in un centro d’accoglienza. Insomma peggio che Equitalia (vedi la scena del computer obbligatorio), anche se quel che resta dell'estrema sinistra italiana infraparlamentare - ancora sotto shock per il trionfo dei M5S - pensa che sia stato un giustiziere anti-evasori.
L’australiano George Miller e
il canadese Donald Sutherland, pilastri della giuria di Cannes 69, amano lo
stile sobrio, feroce dentro e l’umorismo nero subliminale di Loach (e di Ozu, Rohmer e Fassbinder). E ben conoscono e temono
sia i nefasti intrighi dell’impero britannico che la magnifica vitalità
democratica del Regno Unito. Sono stati sicuramente loro i timonieri del
verdetto finale di un film che ha perfezionato la tragedia operaia come oggetto
contundente e non spettacolare, da anni ossessione unica del binomio “Loach-Laverty”
.
Non c’è più l’ottimismo egemone di Riff Raff . Lo sberleffo lascia in campo
alla disperazione, però fertile. Ma
cambiare è necessario, è ancora possibile. Chissà, se la Scozia e L’Irlanda
inita facessero secessione? Daniel il
falegname di Newcastle, lascia a Rachel, la sua amica altrettanto tartassata dalle
leggi sul lavoro, e altrettanto infuriata, il timone (assieme ai giovani ragazzi west indies che smanettano al computer come dei). Magari Hillary? Magari il Newcastle tornerà grande in Premier League? Bò. La
lotta continua. Loach anticipa spesso i tempi. E, a 80 anni, è sempre un
neofita.
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