Boguslav Linda in After Image di Andrzej Wajda |
Roberto Silvestri
Come si guarda un quadro, per
esempio di Van Gogh? Come funziona il nostro occhio? E la visione cos’è? Sono i
colori che ci fanno muovere lo sguardo? Quali colori attraggono di più, i caldi
come il rosso o i freddi come il blu, e quali sono gli altri punti di
attrazione dello sguardo? Che gioco mnemonico si mette in moto quando entrano
in campo i neuroni specchio?
Prendere la parola e attaccare il ministro |
Risponderà a queste domande
che la civiltà dell’immagine impone con sempre maggiore forza (anche perché, come diceva Virginia Woolf è
così difficile dire qualunque cosa di fronte a un quadro) un bellissimo film su
Wladislaw Strzeminski, insigne artista polacco più che comunista (fu attivo
nell’Urss bolscevica fino al 1931, quando si trasferì a Lodz) che ebbe non
pochi problemi con i comunisti polacchi al potere. Un’opera bellissima, emozionale e concettuale, diventata, contro
voglia, un film-testamento. Anche perché è non poco autobiografica questo meditare sulla responsabilità morale dell'artista, ed era un progetto
che Wajda covava da moltissimi anni…
Doveva essere qui alla Festa di Roma (13-23 ottobre) Andrzej
Wajda, e non è arrivato alla conferenza stampa annunciata di questo suo nuovo film, AfterImage, ultima e ormai postuma
lezione di controstoria e di estetica, presentata in
anteprima europea dopo Toronto e in concomitanza con Busan/Pusan, in sud Corea, candidato da
Varsavia all'Oscar per il migliore film straniero.
C’erano però Pawel Edelman, il direttore
della fotografia del Pianista di
Polanski e di Katyn e l’attore
protagonista Boguslaw Linda (vagamente somigliante ad Antonio Catania), che con
Wajda ha già lavorato in L’uomo di ferro
e Danton e, come José Ferrer quando
faceva Toulouse-Lautrec, è costretto a far acrobazie con la gamba e con il
braccio perché di trucchetti digitali neanche a parlarne. Cinema serio quello polacco.
gli studenti |
After Image è la traduzione
inglese di Powidoki, cioé “dopo
l’immagine”. Il titolo del film dedicato alla vita e alle opere di questo grande
artista d’avanguardia del secolo scorso (e, dietro di lui, agli artisti
rivoluzionari sovietici della prima ora, fatti a pezzi via via dalla
controrivoluzione staliniana dell’immaginario) è stranamente lo stesso di una
sofisticata rivista teorica d’arte visuale newyorchese, arrivata al numero 44 (è anche on line).
Dopo l’immagine,
nella teoria della ricezione, ha un senso buono, positivo. Quello di
considerare l’immagine forma vitale e non forma vuota, un accumulatore
d’eccitazione, un modo “per politicizzare l’arte e non per abbellire la
politica o imbellettar contenuti”, il movimento che confina, deturpa e disturba
lo stato di cose vigente. “L’arte non è qualcosa di utile, è semplicemente
qualcosa di superiore”, sintetizzava Strzeminski, artista suprematista del cenacolo Malevic, nato a Minsk, in Bielorussia, ma
polacco - come Malevic era nato a Kiev ma da un fattore di origine polacca -
non per proteggere la sua casta, ma perché la funzione estetica fa esplodere di
potenza metamorfica tutte le nostre facoltà, comunicative e emozionali, portandoti
all’estasi, al di là dell’umano, nella non-oggettività, che è una forma di
conoscenza, non utilitaristica, né scientifica né religiosa, ma oltre, del mondo. Arte automa,
e non subordinata alla politica, ma nel senso che le sue implicazioni con la
vita sociale e con l’attività umana sono molto più estese. Non a caso
Stzeminski si è occupato contemporaneamente di poesia visiva, tipografia,
scultura, filosofia, scienza della percezione, architettura…
Una rivista di combattimento,
dalla parte di chi fa della ricerca di nuove forme e concetti spazio-temporali,
una missione che non permette compromessi e opportunismi. Uno strumento morale
dell’avanguardia.
Wajda e Pawel Edelman (a destra) |
Wladislaw Strzeminski, i quadri dell'ultimo periodo |
Dunque l’arte “è collegata
non allo spirito, all’irrazionalità creativa, ma alla fisiologia”. Alla scienza
del guardare, del vedere, dell’osservare ben dietro e dopo le
apparenze. Alla crescita dell’occhio, quella continua evoluzione biologica
della lacrima (proprio come sosteneva Alberto Grifi). Rischando anche di perderla la vista perché nella fase finale della sua ricerca, ha creato una serie di dipinti chiamati "Solaristic" che si basavano sulle "immagini residue", ricordi di forme e colori che sono simili a quelle (pericolose) bloccate sulla retina se si fissa il sole. Un modo per aggirare i dettami del realismo, attraverso la creazione di nuove regole di rappresentazione diversamente astratte.
Wladislaw Strzeminski, primo periodo suprematista |
Wajda e la figlia di Strzeminski |
E proprio di un altro furibondo
scontro sull’arte, avvenuto però dopo, durante la guerra fredda, non teorico,
non tra riviste contrapposte, ma esistenzialmente devastante, tratta il film.
“Dopo l’immagine” può avere anche un altro significato, più negativo. Cosa c’è dopo l’immagine, dopo il suo essere senso-non senso, strumento scientifico (post quantista) che ne critica ogni strumentalità tecnologica e di classe? C’è il segno. A decifrazione obbligatoria. Come nella segnaletica stradale. C’è la parola d’ordine. C’è il polisenso umiliato e degradato a senso unico e obbligatorio. C’è l’arte asservita all’utile, o peggio, alla poetica imperante, o alla linea di un partito… C’è il visivo e non l’immagine, direbbe Jean-Luc Godard.
Quel frangente della nostra
storia, attorno agli anni 50 del secolo scorso, fu il vero momento magico del nichilismo capitalista, privato e di stato (si
era pronti, consensualmente, giocondamente alla deflagrazione nucleare, non
fosse stato per un possente movimento di contestazione dal basso, all’est e
all’ovest), altro che anime belle anarchiche e sovversive, e come appendice
culturale quel movimento nichilista fu pure iconoclasta, sia nell’est europeo
cristiano ortodosso, sia nel mondo angloamericano protestante. L’Isis
apprenderà da Mosca e Washington, come si fa a distruggere le opere d’arte
senza provare alcun pentimento. Da una parte, negli Stati Uniti il maccartismo
ricopre e distrugge i murales “comunisti” di Rivera, Siqueiros & Co.,
commissionati da Eleonor Roosevelt, e si cacciano le streghe dagli uffici
pubblici, dalle scuole, dalla radio e dal cinema, Andy Warhol elabora grazie
alla sua ricezione dada del figuratismo realista la Pop Art. W il consumismo
che, eccitato troppo, distruggerà il consumismo (sta per esplodere Berkeley…).
Una scultura della moglie di Strzeminski, Katarzyna Kobro |
Intanto, per ordine di Mosca
le democrazie popolari, da Praga a Bucarest, da Budapest a Varsavia, sono
obbligate a imporre ai propri artisti i dogmi non più aggirabili del “realismo
socialista”, lasciando increduli e sbigottiti di fronte all’incompetente
catechismo di Zdanov pittori, scrittori, scultori, cineasti… Le giustificazioni
di Zdanov? L’Arte deve essere comprensibile e non elitaria. Dunque. L’Arte deve
fare colore, colorizzare, riempire di caldi cromatismi gli slogan politici (neanche
rivoluzionari, anzi proprio inneggianti alla schiavitù salariale, stakanovisti)
per coprire, si scoprirà a Berlino 1953 e a Budapest 1956, lo sfruttamento
intensivo degli operai e dei contadini (L’uomo
di marmo) ad opera del partito-stato, aberrazione teorica che avrebbe fatto
vomitare Marx, Engels e Lenin e i proletari tutti, scippati da sempre del loro
diritto alla dittatura festiva.
Ma Andrzej Wajda, che in
gioventù voleva diventare pittore, e aveva frequentato l’Accademia d’arte di
Cracovia, incrociando poi fatalmente Luis Bunuel sulla sua strada e trovando
un’altra via di espressione e comunicazione con le immagini, più spirituale
ancora, perché capace di vivisezionare meglio importanti elementi della vita, purtroppo
è morto qualche giorno fa, lucido e attivo fino agli ultimi minuti, come Dario
Fo.
Katarzyna Kobro |
1949-1952, prima della morte
di Stalin e della caduta in disgrazia di Bierut, segretario generale del
Partito Unificato Operaio di Polonia. Parte la persecuzione - durerà quattro
anni, fino alla morte del più prestigioso artista polacco - contro Wladislaw
Strzeminski, in prima fila tra gli artisti sovietici nel dopo rivoluzione
d’Ottobre, collaboratore della rivista Blok.
Membro progressista degli a.r. (“artisti rivoluzionari”), professore alla
scuola nazionale d’arte di Lodz, che ha co-fondato, iscritto al sindacato pittori,
maestro adorato di un gruppo di studenti che lo considerano una leggenda
vivente dell’arte moderna, Strzeminski osa contraddire platealmente, durante
una di quelle manifestazioni ufficiali dove solo l’ipocrisia regna, il ministro
della cultura in persona e ha già irritato il partito perché ha squarciato un
gigantesco ritratto di Stalin su fondo rosso che aveva coperto la finestra del suo
appartamento, disturbandolo mentre era al lavoro. Non obbedirà mai all’ordine
di allinearsi al dogma del “realismo socialista”, visto che ha già combattuto
le illusioni del dinamismo spaziale e affermato l’autonomia del piano del
quadro, ma non certo per santificare spalmandoglielo sopra, un leader baffuto
di serie b come Bierut.
Katarzyna Kobro |
Wladislaw Strzeminski, ultimo periodo |
Per chi, come Strzeminski, ha
partecipato ai movimenti cubisti, suprematisti e costruttivisti della prima ora
Vitebsk e Smolensk, indicando nella non oggettività, nelle superfici
concrete, a tonalità bicolori, e a geometria posteuclidea, una più accurata
riproduzione dei processi fisiologici della visione e, nei primi anni trenta,
ha fondato l’unismo (unità organica di trama, colori e composizione),
anticipando di trent’anni l’optical art e l’arte cinetica, accompagnando la sua
ricerca con scritti teorici di sulfurea potenza, allinearsi vuol dire smentire la
sua vita, le sue opere e i suoi insegnamenti. Che obbligano alla libertà della
ricerca individuale. E i suoi allievi a metterlo in discussione continuamente,
mai a imitarlo (tranne quando improvvisa degli happening rotolandosi dalla
vetta delle colline giù per il declivio). Sarebbe stato come se Richard Meier avesse distrutto la sua Ara Pacis dopo aver
ascoltato le critiche del sindaco Alemanno (quello che aveva davvero rotto - il
patto di fiducia coi cittadini - ma quel bradipo di Pd se n’è accorto in
ritardo e se l’è presa con un altro). Al fianco di Strzeminski, per molti anni,
la moglie scultrice, un’altra leggenda vivente dell’arte polacca, Katarzyna
Kobro che divide con lui la sala neoplastica del museo Sztuki di Łódź, che ha
fondato nel 1934, allestita nel 1948 dallo stesso Strzeminski e che non a caso
viene chiusa d’autorità nel 1952 (e poi sarà riaperta dai comunisti nel 1969,
dopo le prime lotte di Gdansk e Stettino). Divorziato da Kobro, che mai vedremo
nel film, tranne nella cassa da morto il giorno del suo funerale, seguita solo dalla figlia teenager
con il cappottino rosso, l’unico che ha, assistiamo alla caduta solitaria di
Wladislaw, descritta alla Umberto D.
Cacciato dall’Accademia e dal sindacato perde tutti i lavoro perché gli viene stracciata la tessera
professionale, tranne quando chi lo assume non sa neanche chi sia. Assistito
solo dalla giovane figlia, che viene anche cacciata di casa, viene lasciato
morire di fame, gli è proibito perfino acquistare i colori, vengono assaltate
da teppisti “rossi” le mostre dei suoi allievi, cancellati i murales
anticoloniali dai luoghi pubblici (un bellissimo bar tropicalista), non gli
rinnovano la tessera per acquistare la carne contingentata nei negozi (e qui
vediamo che le lunghe file della propaganda occidentale erano davvero lunghe
file disperate), la badante che lo aiutava lo abbandona, nonostante sia un mutilato
di guerra, un ex ufficiale patriota che aveva perduto una gamba e un braccio
sul fronte 15-18, mentre a poco a poco anche i suoi studenti scappano perché
vengono terrorizzati dalla polizia segreta che vorrebbero impedire la
pubblicazione del libro teorico più importante di Strzeminski, Teoria
della visione, scritto solo grazie al furto di una macchina da scrivere
(eseguito dall’allieva più innamorata, irresponsabile e senza speranza) perché,
come oggi Internet, la dittatura del Poup controllava e schedava tutte le macchine
da scrivere, pericolosissimo oggetto sovversivo.
Wladislaw Strzeminski |
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