Roberto Silvestri
Una donna e i suoi due
uomini…Norman Talmadge nel melodramma bellico The Woman Disputed (La donna contesa) di Henry King e Sam Taylor,
fa l’antesignana di Jeanne Moreau in Jules
et Jim. Il film prodotto dalla
United Artists nel 1928, con l’Europa ricostruita in studio dal geniale William Cameron
Menzies, risente infatti ancora del clima esiziale della grande Guerra e della
crollo "politico"della donna europe dal 1918 in poi.
Mary Ann Wagner (la Talmadge aveva 35 anni e
somiglia sorprendentemente a Juliette Binoche) è una prostituta, odiata dai
benpensanti ipocriti, di un piccolo centro austriaco che i due amici
salvano da una sicura (e sbagliata)
imputazione di omicidio e poi diventano suoi amici per la pelle. Ma, un bel
giorno sono chiamati al fronte e si combatteranno per superiori motivi patrii. Con
particolare ferocia e sadismo il russo perché, prima di partire per la guerra,
ha scoperto che lei ha scelto, (vigliaccamente, alle spalle, lui crede)
l’austriaco. Oppure per gelosia maschile. E decide di vendicarsi conquistando la cittadina dove Mary Ann
vive, prendola prigioniera e strappandola, almeno per una notte, all’amato. Lei
non ci starebbe, a costo della vita, sua e di altri prigionieri, che la
detestano ma poi la invitano a scopare con il nemico pur di salvare la loro pelle,
perfino un prete, che alla fine la convince. Che orrore! Ma poi si scopre che è
una spia travestita da prete, e se non sarà libero quella notte non potrà
svelare le postazioni russe da bombardare per riconquistare la città. Lei si
sacrifica (ma in realtà il suo amico ufficiale russo le era sempre piaciuto…) e
quando l’amato la riabbraccia, a città ripresa, e scopre l’infame cedimento,
l’abbandona. Non fosse per la scena più a effetto e sorprendente del film.
L’esercito schierato nella piazza viene invitato dal generale a inginocchiarsi
e a rendere omaggio alla prostituta Mary Ann Wagner, che saluta la folla dal
balcone, “senza il cui sacrificio mai avremmo vinto la battaglia”. Tutti si
inginocchiano, anche l’amante riconquistato.
Sarà piaciuto a Karl Kraus, l’happy end.
E’ questo un film tipico del
nuovo corso di un importante e bellissimo festival che ha un poster di erotismo maschile sbandierato al vento. Stiamo parlando di Pordenone 35, giornate del cinema muto secondo il
nuovo direttore Jay Weissberg e la sua band di espertoni (Cherchi Usai, Jacob,
Montanaro, Codelli, Colussi, Crozzoli, e Patat). Quale è il filo, l’idea forza
del festival, la scoperta dell’anno? Probabilmente enfatizzare meno l’autore, il regista e
il super divo e più i creativi solo apparentemente minori, come gli scenografi
(Menzies, appunto), gli operatori (moltissimi i cinegiornali e le attualità
documentaristiche in programma) e i duetti artistici, Vigo/Kaufman;
Niblo/Garbo; Disney/Iwerks di Oswald, il personaggio inventato prima di
Topolino e poi scippato a Disney da un infame producer; Collins/Viola Dana, le cowgirls come Lillian Christy del western primitivo… Nutrito il cartellone, anche troppo. Perché non solo possibili le repliche.
Livio Jacob e Jay Weissberg |
Film, omaggi, retrospettive,
incontri, convegni, mostre collegate (l’archivio hollywoodiano Kobal, 150 foto
di super star del cinema, a Villa Manin, tra poco a Roma, al Palazzo delle
Esposizioni), presentazioni di libri, proiezioni speciali per i ragazzi delle
scuole, cocktail (a inviti), le masterclass e il 18° Collegium che ormai porta
in Friuli i giovanissimi ricercatori di ogni continente (che abbassano, ormai
da anni, l’età media del pubblico). E, infine, il piccolo mercato di rarità
bibliografico-filmiche, al primo piano del teatro, un tempo era un vero suq
popoloso ma ormai i libri e i film chi li compra più senza Internet? (Abbiamo
comunque acquistato, non di solo muto si vive, un libro sulle donne cattive e buone nei film di Disney, i primi corti di Piavoli, Io sono curiosa giallo e blu e avrei
voluto comprare il cofanetto Robbe-Grillet, 52 euro, un Chris Marker, alcune
foto di star sovietiche degli anni 30….).
Greta Garbo in The Mysterious Lady |
Di grande richiamo popolare
cosa c’era? Il Greta Garbo (The
misterious lady di Fred Niblo, 1928), che ha aperto e il Douglas Fairbanks,
che ha chiuso. Due Buster Keaton, un Jean Vigo che rende omaggio alla città di
Nizza, sotto attacco oggi degli stragisti (A
propos de Nice); le scenografie di William Cameron Menzies, che ha fatto Il ladro di Baghdad, insegnando che si
può essere giganteschi nel minimalismo, sontuosi nella sintesi, poi farà Atlanta
in fiamme in Via con Vento e dirigerà
sublimi horror e fantascianza negli anni 50. Erotikon, non fosse per il titolo, Nanà… Per gli specialisti che il canone dei classici lo conoscono
bene, soprattutto importanti i ritrovamenti, anche di corti e cortissimi, le
scoperte e i restauri. O i frammenti dedicati allo scontro Hillary-Trump, dei
presidenti americani in campagna elettorale (da cui si evince che i nordisti industriali
repubblicani d’epoca Theodore Roosevelt-Coolidge, usavano i mezzi di comunicazione
di massa meglio dei sudisti democratici terragni e già facevano più affari e disastri);
il documentarista cosmopolita Luca Comerio, che trasforma il reportage in un
contatto “da uomo a uomo” da ricognizione da entomologhi e autoritari vigili
urbani….
A propos de Nice di Jean Vigo |
Per i più sofisticati ancora
la retrospettiva polacca (ma il 90% del patrimonio cinematografico è andato
perduto durante la seconda guerra mondiale e il vassallaggio russo-tedesco un po’ si sente in quel che resta),
l’omaggio al regista nordamericano John H. Collins, morto a 28 anni nel 1918 dopo
aver diretto una ventina di film d’ambientazione rurale, star la sua compagna
bionda e dagli occhioni prensili Viola
Dana. Ne abbiamo visti però solo tre: in Girl Without a Soul del 1917 fa due ruoli di gemelle dal carattere
opposto, come Bette Davis, mentre in Blue
Jeans, dello stesso anno è una vagabonda orfana, quasi una wobblie
disoccupata dell’Indiana, innamorata di un imprenditore conservatore che si dà
alla politica, che poi scoprirà essere suo zio, e molestata pesantemente da un
liberale prepotente e criminale, pre-berlusconiano. In Riders of the night del 1918 ambientato in Kentucky in polemica con
Nascita di una Nazione di Griffith si parla del KKK come di una organizzazione
di contadini ribelli, angariati dai latifondisti e dai loro esossi pedaggi. In
qualche modo collegato a Collins, che face davvero strane cose coi cowboys, prosegue
una sezione seriale sulle origini del western, questa volta con i mediometraggi
del 1912-1913, perché tra I magnifici 7
e l’oscar a Inarritu il genere sta rinascendo. In realtà ebbe un momento di
grave crisi, mentre i personaggi femminili erano centrali e dotati di forte
personalità, proprio durante gli anni della prima guerra mondiale, sostituito
dai drammi bellici “solo maschili”.
Insomma.
Un festival esplosivo. Sala
piena zeppa ed entusiasta, anche alle 9 di mattina. Applausi sempre, anche a
scena aperta, perché davanti a un Lubitsch, a un Milestone o a un Ozu o a un Sidney
Franklyn anche chi non li conosce si inchina. Inoltre. 17 musicisti solisti da impazzire:
direttori d’orchestra come il mitico Carl Davis, pianisti come Donal Sosin,
grandi orchestre di 60 elementi (ma perché mancava quest’anno il decano dei
pianisti italiani Antonio Coppola?).
Un festival “live” e
performativo dentro un festival d’arte riproducibile (già, non si potrebbe
premiare la migliore esecuzione musicale l’anno prossimo?).
La caduta dei Romanoff di Esfir Shub |
La città si risveglia dal
torpore (come succede durante le giornate di Pordenone Legge) grazie al doppio
gioco (la cultura schermica è spionaggio, guardare al di là del consentito, al
confine tra ciò che si conosce e ciò che si ignora) del cinema e
dell’immaginario. Il sindaco è un ex Msi, la sa lunga, lascia fare. Solo il
Movimento 5 Stelle (locale), che pare un sindacato ragionieri, non se ne
accorge, occupato come sempre a far solo conti e verificar scontrini malandrini,
e tuona sulla stampa di provincia contro il Muto: sarebbe chiuso a riccio, non
fa educazione scolastica, non fa mostre, non fa cocktail “aperti”…. Come un tempo blaterava l’ignorantissima
Lega. Ma non si vive di solo pane, senza un po’ di Muti (prima lezione da
consigliare: Greed) si rischia di
diventare pure difensori delle tradizioni culturali chilometro zero. Il
problema è che il festival non può crescere. La sala è quella, e di più non ne
potrebbe contenere. La rissa per le proiezioni a inviti (raddoppiate per forze
di cose) lo dimostra.
The Mysterious Lady con Greta Garbo, regia di Fred Niblo |
Jay Wessberg, il direttore
nordamericano, critico di Variety,
che succede al più esperto inglese David Robinson, oggi direttore emerito, ne
ha rubato il ritmo scattante e il carattere allegro e vuole ringiovanire non solo
il pubblico ma anche l’idea-forza del meeting che ogni anno – questa volta
dall’1 all’8 ottobre - raccoglie al teatro Verdi (deturpato anni fa da un
restauro disgraziato di amministratori leghisti e trasformato in un gigantesco
Vespasiano) gli studiosi dei silent movies
(1895-1927. E oltre) provenienti da tutto il mondo, Giappone, Australia, Stati
Uniti, America Latina…. Se il New York
Times colloca Pordenone nel Gotha dei superfestival di nicchia, per
specialisti e addetti ai lavori esigentissimi, Weissberg risponde: no, è un
festival di cinema tout court, anzi ancor più spettacolare e emozionante perché
pre-codice di autocensura, senza censura, non ancora embedded e bromurizzato
come quello che ci circonda e tedia oggi. Ed è per tutti i pubblici: il “muto”
parla, eccome, non è mai stato muto né sordo, le didascalie urlano, la musica sa
assordare e il bianco e nero è sempre stato a colori densi e assoluti, se
necessario.
E poi, brivido in più, è l’unica arte, la settima, di cui possiamo
quasi toccare con mano le origini: è nata con i nostri nonni, le scenografie
usavano i mobili, gli armadi, le specchiere, le tende e i tavoli che sono oggi
modernariato ancora vegeto. Qualcuno dei pionieri è ancora vivo, come Baby
Peggy (ex bimbetta paffuta e pestifera in buffe comiche, devastanti spazi e
oggetti, come Jerry Lewis, e che ha 98 anni) o è scomparso, come Manoel de
Oliveira, da poco.
Norman Talmadge in The Woman disputated |
Silent vuol
dire vedere il mondo con occhi e corpi sovversivi, come Chaplin e Micky Mouse,
o da rivoluzionari disillusi come Keaton o come la sovietica Esfir Shub nel
film di montaggio La caduta della
dinastia dei Romanov del 1927 (annata buona), o con animo ribelle come quello
delle suffragette insorgenti e delle cowgirl che sparavano come Calamity Jane.
Il conte di Montecristo in due travestimenti ... |
Silent sono
i kolossal sexy biblici, che per qualche anno ci dettero la supremazia
commerciale nel mondo, le tragedie d’amore con l’aristocrazia morente, le saghe
epico-storiche (altro che serie tv) che svelavano a tutti, anche agli
analfabeti, verità e tradizioni patrie (come il cool movie – nel senso della perfezione decadente - Il conte di Montecristo da Dumas, del
provenzale Henri Fescourt, del ‘29, ormai quasi in era sonoro, ha inchiodato
per 4 ore alle sedie il pubblico, tra bonapartismo, esotismo passionale e
orientalismo coloniale, proprio come Lav Diaz a Venezia; e le commedie metropolitane
esplosive e piccanti che oggi farebbero svenire qualunque funzionario di Rai
Cinema, come se mentre il San Francesco
di Elio Germano fa i miracoli apparissero in sovrimpressione le miracolose pose
erotiche del Kamasutra…. Nella commedia sofisticata urbana (tratta da un dramma
ungherese) Verso la felicità di
Maurice Stiller (1920), il regista che condurrà la Garbo a Hollywood ma qui
controlla un cast di donne spregiudicate e “forti”, come la star svedese Tora
Teje, un entomologo anziano non ha tempo e voglia di occuparsi della moglie,
spendacciona e piena di corteggiatori, soprattutto perché è innamorato della
più giovane, casalinga e adorante… nipote. E la sposerà.
Tora Teje in "Verso la felicità" di Maurice Stiller |
Insomma ritrovare un certo
stile (anche fortunatamente) perduto, una atmosfera di eleganza ipocrita, una
civiltà mondiale in stato di allarme e in metamorfosi che sta per affidarsi a
dittature feroci o a democrazie più astute, pur di non accettare l’avventura
comunistao il capovolgimento dei ruoli tra uomo e donna, ha il suo sottile
fascino ludico e sadomaso. Dunque grande spettacolo, ritmo indiavolato proprio
come piace adesso, nell’epoca Transformers,
cascate di emozioni a ripetizione, di shock, di sorprese, geometrie di sguardi e azioni di dinamismo vorticoso
assoluto. Certo il montaggio effettivo non è frenetico e indiavolato come oggi.
Ma solo in apparenza. Se le immagini sono perfette (il cinema è una scienza
ottica esatta, ha l’età del microscopio e del telescopio) è la testa che fa il
final cut, che si mette in movimento compulsivo e raccorda gli attimi fuggenti
con, direbbe Bruno Fornara, gli attimi
sfuggenti, quel che si vede con il fuori campo, con l’invisibile. Ciò che
fa il grande cinema sia del XX o XXI secolo.
Un film della retrospettiva polacca Yanko Muzikant di Ryszard Ordynski (1930) |
Certo non tutti i film sono
kolossal di new dance, quasi coreagrafati da una Pina Bausch ante litteram (e
Raoul Walsh sembrerebbe la sua antitesi, anche se la boxe fatta bene è
danzante) oltretutto proiettati con l’esecuzione della partitura originale di
Mortimer Wilson, da poco ritrovata, come Il
ladro di Baghdad (di Raoul Walsh, 1924) che ha chiuso la manifestazione
sabato e domenica scorsi con l’acrobatica potenza atletica di Fairbanks nel
ruolo dell’allegro mascalzone che prende tutto quel che gli piace ma quando si
tratta di afferrare l’amore, cioè la principessa adorata, con le sue ditone
voraci, non ci riesce, si blocca entra in crisi di identità e ci vorrà un
miracolo, più sorprendente ancora del tappeto volante o del cristallo magico o
della mela d’oro che resuscita i morti per vincere e conquistare l’eroina delle
Mille una notte. Il niracolo (Trump,
veditelo) è l’Islam, ma non quello mederato che ci raccontano e che è criminale
e mostruoso come i loro raccattapalle reazionari dell’Isis, ma quello radicale
nel senso che va alla radice delle cose, e che solo può aiutare ad affrontare i
mostri della mente, i nostri lati dark e debellarli. Insomma la religione che
unisce e non che divide, che diventa arma per la distruzione delle classi e non
per il loro sfruttamento. Il vero islam radicale, non quello che ci raccontano
i giornali, quello che smuove le dittature, come ha fatto in Tunisia. L’islam
rivoluzionario, a cui Walsh e Fairbanks rendono un incredible omaggio (punendo
nello stesso tempo l’islam dispotico dei califfi, dei sultani e dei tiranni
mongoli) e a cui Menzies regala spazi di incredibile maestosità e nello stesso
tempo di quotidiana spiritualità.
Anna May Wong in "Il ladro di Baghdad |
Tra le riscoperte, circondato
dalla fama di film maledetto e insostenibile, dalle immagini demoniache, è il
dramma marinaro anti tedesco Behind the
door, dietro la porta, di Irvin V. Willat (Usa, 1919) che esibisce le
ferite ancora non cicatrizzate della grande guerra e del trauma dei 10 milioni
di giovani ammazzati su entrambi i fronti. Qui siamo in mezzo al combattimento
tra un sommergibile tedesco, capitanato dal, come sempre, sadico leader Wallace
Beery e perseguitato da un ufficiale della marina americana di origini
tedesche, Hobart Bosworth, che vuole vendicare lo stupro e l’assassinio della
moglie, salvata da quel sommergibile alla deriva in mare aperto, ma poi
consegnata alla violenza sessuale e multipla di un intero equipaggio selvaggio,
mostruosizzato dal conflitto.
Hobart Bosworth in Behind the door |
La vendetta dell’ufficiale sarà all’indiana, come si rifiuterò di fare
Kirk Douglas nel kennediano Il giorno
della vendetta di John Sturges (1959): una lenta tortura, lo scorticamento
completo della pelle, fino alla morte. Anche perché Bosworth era scampato a
stento a un linciaggio patriottico nel suo villaggio americano in quanto di
origine crucca e nonostante le sue alte onorificenze militari conquistate
durante la guerra ispanico-americana.
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