mercoledì 19 ottobre 2016

Il sibilo della donna obliqua. Maria per Roma. Alla Festa l'esordio nel lungo di Karen Di Porto, con una commedia acida


Gesù in "Maria per Roma"



Roberto Silvestri 

La doppia morale è: Finiremo tutti sotto i ponti? Ma quando si riprenderà il mercato immobiliare? 
Un film angosciato ma ottimista,  girato a basso costo, con gli amici e i colleghi del corso di recitazione affiancati da creativi di alto livello. Prodotto da una forza della natura, Galliano Juso. Libero, anche se finto improvvisato. Un tempo avrebbe sedotto solo festival più off off, visto alcune battute: "Ah Gesù! nunce rompe er cazzo". Ma la qualità della messa in scena e della messa in inquadratura è alta. L’attrice solista e protagonista (che è anche la compositrice e direttrice d'orchestra della suite audiovisiva) regge tutto sulle sue spalle, più di Carla Benedetti in Matilda (di Antonietta De Lillo, 1990) per non andare a Io la conoscevo bene. Il ritmo è griffato Mirko Garrone. E poi questo film ha l’originalità di ripopolare Roma centro dopo che To Rome With Love (che un giorno si scoprirà essere costato 13 miliardi, esattamente quelli finora spesi da Giovanni Malagò per conquistare la candidatura ai Giochi) l'aveva regalata tutta a una manciata di turisti americani.
Già. Ve lo ricordate il film romano di Woody Allen? Avete almeno apprezzato il modo in cui il direttore della fotografia,  Darius Khondji affogò la città in un liquido amniotico dorato-barocco fatato e Allen ha fatto sparire  completamente dal centro storico della città eterna tutti i suoi abitanti?


Grande, geniale visione, che avrà sicuramente ridestato la fame di Fori Imperiali, S. Ivo alla Sapienza, Colosseo, San Pietro e di Olimpiadi qui in tutto il mondo (non fosse poi per la questione immondizia-puzza, che ha riportato l’Urbe l’estate scorsa sotto Milano e Venezia nel gradimento turistico, e tagliato le gambe alla giunta di “pulizia rapida” del Movimento 5 Stelle, che poi, comunitaristi come sono, l’idea di vedere tutte quelle medaglie d’oro vinte da kenioti ed etiopi a spese dei cittadini Spqr…).
Riportare per miracolo quelle strade e quei palazzi e chiese, ora soffocate da un traffico perverso, all’epoca della pittura e architettura non meno conturbante di Borromini, Bernini e Caravaggio, è stata la finezza di chi considera arte il testo e non il pretesto, non fa mai del pittoricismo, non fotocopia i quadri, non ruba le luci suggestive altrui, semmai fa cultura figurativa ex novo, cattura, per esempio, tensioni interne e scansioni figurative antiche e dimenticate, di epoche rivoluzionarie in fatto di bellezza e di forma. Anche se non piacerà ai cattolici, il cinema è una continua Riforma. Nico D’Alessandria, (L’imperatore di Roma), Stefano Franchina (Morire gratis), Gianni Di Gregorio, Stefano Roncoroni (Giallo alla regola), Stefano Agosti (Quartiere), i Vanzina, Magni, Moretti, Sordi e Antonioni, senza esibire i loro riferimenti pittorici e fotografici, hanno saputo costruire immagini forti su questo luogo dell’arte.  E Maura Morales, che dipinge con le luci, non è da meno nel cogliere quella duplicità, ambiguità, doppiezza “in movimento” di Roma nell’epoca della prima architettura e urbanistica barocca. Quel gioco di interno e di esterno, di naturalezza sbandierata e intimità protetta che è anche il fascino della protagonista del film. Un one woman show movie


Maria fuori dalla Casa del Cinema

Questo ritratto di donna romana di oggi deve molto agli autoscatti in sovrimpressione della fotografa brasiliana Nadia Maria (e soprattutto il celebre doppio primo piano con una Maria che ti guarda diritta al cuore mentre l'altra getta lo sguardo via, fuori quadro, perché il grande sì alla vita più il piacere di un altro sguardo possibile sommati producono il sibilo della donna obliqua).
Ai romani piacerà questa irrealistica visione? Rimasero freddi davanti all’omaggio di Allen, che era più dedicato a Nina di Minnelli che a Visconti e Zeffirelli (nel cinema americano cool l’arte moderna è protagonista, più che altrove), l’hanno giudicata anche imperialista e perfino  da “bomba N”, come ha scritto, soddisfatto e sadicamente ammirato, Goffredo Fofi.
Autoritratto di Maria Nadia
E chissà cosa diranno adesso di questa piccola grande commedia acida e distorta, diretta scritta e recitata da Karen Di Porto, (affermatasi a Corto Dorico con Cesare nel 2012), tutta immersa negli stessi vicoletti pregiati di Roma centro, tra piazza Navona e via Vittoria, piazza di Campitelli e il Grillo, Campo de’ Fiori e piazza di Spagna, via Giulia e il Corso, pullulante di sartine di Emmer e ragazzini di Castellani, prima, e di bed & breakfast oggi, perché solo così i romani  sopravvivono a questi 8 anni di grande crisi, affittandosi le case o facendo come la protagonista del film la keyholder. Chi ti dà la chiave dell'appartamento affittato. E racconta la giornata stressante e frenetica di una giovane donna, Maria (un tempo tutte le ragazze romane si chiamavano Maria), troppo occupata e alienata per essere problematica come la Vitti di Antonioni 50 anni dopo o per affermare la propria maschia impetuosità egemone come Anna Magnani (con cui divide però una passione sfrenata, e disagevole, per i cagnolini da grembo). Maria non ha tempo neppure per essere femminista e politicamente impegnata, ma siamo sicuri che nel fuori campo... E’ rampolla di un ceto medio alto decaduto. Ha amato in vita sua solo il papà defunto (il corto satirico, Nicolino, del 2011, sui fannulloni incestuosi già nuotava nei territori psicotici della famiglia). Il reddito di cittadinanza non l’ha ancora ottenuto. E deve mangiare, contando solo sulle sue caparbie forze (e sulla generosità delle mamme degli amici).
Maria si sbronza al bar della Casa del cinema
Giovane attrice, è in cerca perenne di parti. Ha una tecnica del respiro che farebbe la gioia della maestra britannica Linklater, e della lacrima a comando che neppure Mia Farrow. Gira come una trottola su un vespino col cagnolino di razza vecchio e malandato di cuore nel cestino. Forse con la bici farebbe prima, ma c’è il problema dei casting, a volte fuori porta.
Già tra un provino e l’altro, tra la posa di un corto e una comparsata tv, Maria, impiegata in una agenzia che affitta case e camere, accoglie i turisti, perfino quelli sardi che sono micidiali, controlla le carte di credito, sfonda le porte per i turisti distratti che lasciano le chiavi dentro, porterebbe perfino la carta igienica se a un certo punto non dicesse: no, questo no; fa i contratti, coccola i turisti più indifesi, incassa i soldi; tiene a bada i più spocchiosi proprietari nobili,  costretti a immaginare obesi d’Israele sbriciolare le loro sedie stile impero, e vorrebbero morire; snocciola alle americane dritte sui bar con le migliori margarite e sui ristoranti kosher, e si accolla i bagagli pesanti di un bramino che per religione non può trasportare valige. Litiga con la mamma antiquaria e in bancarotta, che la vorrebbe accasata, incrocia più volte nel corso della giornata un suo amico gentile, ex attore e forse futuro fidanzato, ormai probabile vagabondo, che travestito da Cristo tra i centurioni di stanza al Colosseo, si fa fotografare a pagamento. Forse strapperà quella parte tanto agognata, “finalmente un ruolo di donna a tutto tondo” come se fosse di Monica Strambrini, se solo parteciperà, tacchi 15cm, e vestito da sera nero adeguato, a un party alla Casa del cinema, grondante produttori veri, produttori falsi e produttori  provoloni.    Rischa, paradossi della vita, di non trovare un letto per passare la notte...
Karen Di Porto in "Maria Per Roma" 
L’attesa anteprima mondiale di Maria per Roma, scritto, diretto e intepretato  da Karen Di Porto, la Nanni Moretti d’epoca airb&b, ha stipato la sala gigante (Sinopoli) mentre in contemporanea (il palinsesto è opera di un pazzo furioso) uno stupefacente Kubo (altro che Pets e succedanei) veniva snobbato dal popolo dei web critici, di cui si è parlato proprio ieri in un incontro internazionale tra critici e si è scoperto che i critici non esistono più, e tra chi scrive di cinema sulla carta stampata sindacalizzato (Sncci e Sgci) e chi sul digitale non sindacalizzato l’unica differenza non è più tra tromboni e ultrà, adepti del cinema ascetico e crapuloni fanatici di Stracult solamente, ma è che i primi scrivono, se ci riescono, due righe di critica, spesso consociativa (mi piace, delude, orrendo) sulla carta quotidiana e gli altri quanto vogliono ma nella zona nicchia di  rete. Che tutti sono sottopagati, tranne una ventina, e tutti sono sottomessi al grande ricatto di trattare solo quello che i grandi distributori vogliono, se no niente pubblicità. Qui, in Francia e negli Stati Uniti.      
Karen Di Ponte e Andrea Pianamente (dietro)

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